10 giugno 2013

ERMES, DIO AMBIZIOSO “TUTTOFARE” PER I VIVI E PER I MORTI

L’instancabile frenesia della divinità greca per entrare a pieno titolo nell’Olimpo. Da un umile antro, tra astuzie, invenzioni, prodezze, decine di amanti illustri e una virile discendenza, marca la sua impronta su ogni aspetto dell’esperienza umana

DA UNA CAVERNA IL DIO TRA GLI UOMINI
Messaggero degli dèi; dio della comunicazione e dell’inganno, di oratori, letteratura, poeti, atletica, invenzioni e commercio; protettore di viandanti, vagabondi e ladri; psicopompo (accompagnatore dello spirito dei morti) e molto altro ancora… Insomma, ha il suo bel da fare Ermes, che non è completamente dio di nascita – procreato in una caverna e non sull’Olimpo – ma lo diventa in seguito grazie all’insieme e all’imposizione delle sue caratteristiche. Si configura quale intermediario fra gli uomini e gli dèi con specificità a loro modo contradditorie dovendo offrire una soluzione a tutti (buoni o cattivi, onesti o corrotti). Egli stesso, quindi, si farà ladro o distribuirà generosità; ma allo stesso tempo è benevolo e filantropo.
La storia, quella documentata e provata, può permettersi di accogliere volti e narrazioni legate al mito e perciò prive di orme realmente segnate nell’esistente? Si potrebbe rispondere che la storia ci aiuta a spiegare fondatamente come e perché l’uomo o un’intera società abbia compiuto un’azione precisa, il mito o la storia sacra invece ci ripropongono l’eterno e irrisolto dilemma del mistero dell’essere umano e della sua natura: “Per il credente, nella nostra civiltà, i racconti biblici – dalla creazione del mondo in poi – sono storia vera, ma anche storia sacra in cui bisogna credere. Anche le religioni non dottrinali conoscono storie sacre: in esse si crede spontaneamente, senza alternative, noi le chiamiamo miti… Ogni mito narra di un evento, per opera di personaggi diversi da quelli attuali, in seguito al quale qualcosa che prima non c’era stato avrebbe preso origine o qualcosa che prima era stato diverso sarebbe diventato com’è attualmente. Per lo più, tuttavia, il mito racconta l’origine di ciò che è ritenuto importante… Da quanto si è detto sulla forma e sul contenuto dei miti, discendono quasi spontaneamente le conclusioni sulla loro funzione o ragion d’essere… Il mito rende accettabile ciò che è necessario accettare (es. la mortalità, le malattie, il lavoro, la sottomissione gerarchica, ecc.)… Il mito, dunque, non spiega, per un bisogno intellettuale, le cose. Ma le fonda, conferendo loro valore… Ogni mito è una vicenda che implica almeno un personaggio, ma normalmente più di uno. Questi personaggi del mito sono extra-umani”. A. Brelich, Introduzione alla storia delle religioni, pp.7-13.
 
Uno di questi è per l’appunto Ermes! E al fine di indagare il flebile anello di congiunzione tra storia e mito sul destino quotidiano degli uomini, giunge in nostro soccorso la cultura greca che vede in lui “la divinità che presiede alla comunicazione, in tutte le sue molteplici forme. Non solo perché lo strumento privilegiato del dio è la parola, ma soprattutto perché la sua azione consegue un atteggiamento mentale medianico che cerca la contiguità del reale. Nella mente greca, l’universo può essere avvertito come una congerie di elementi discreti, staccati l’uno dall’altro e esterni alla coscienza. In alternativa, il cosmo – nella sua articolazione complessa – può essere letto come una trama di parti, connesse l’una all’altra e riconoscibili dalla mente perché compatibili con le sue categorie cognitive. Questa visione del mondo corrisponde alla cifra ermetica, che unisce e compone: Ermes, come figura divina del continuum fenomenico, è una sorta di mediatore universale. Ciò spiega le sue competenze di messaggero e mercante, e anche il patronato sulle attività e le situazioni legate a un passaggio: il viaggio, l’assopimento e il risveglio, il trapasso dalla vita alla morte, il linguaggio e la forza suasiva in esso riposta”. G. Zanetto, I miti greci, p.171.
 
Per i suoi compiti plurimi così prossimi all’uomo, dunque, Ermes si rivela il più umano tra gli dèi; generato da Zeus e dalla pleiade Maia (bellissima ninfa, simbolo della primavera) non direttamente sull’Olimpo ma in una grotta del Monte Cillene in Arcadia (periferia del Peloponneso). Un dio tra gli uomini esecutore della volontà paterna. Infatti nell’Atene periclea del V secolo a.C., lì dove in un certo senso risiedono la libera circolazione delle idee e le fondamenta della società democratica, è il sofista Protagora a narrare che “Zeus temette per la nostra specie, minacciata di andar distrutta; così mandò il suo messaggero, Ermes, sulla terra con due doni che avrebbero reso gli uomini capaci di praticare finalmente l’arte politica con successo e di fondare città dove potessero vivere insieme nella sicurezza e nell’armonia. I due doni mandati da Zeus sono aidos e dike. L’aidos è il senso di vergogna, la preoccupazione per l’opinione degli altri. È la vergogna che prova il soldato nel tradire i suoi compagni sul campo di battaglia, o il cittadino sorpreso a fare qualcosa di disonorevole. Dike in questo caso significa rispetto per i diritti degli altri. Ciò implica un senso di giustizia e rende possibile la pace civile risolvendo le dispute per mezzo dei giudizi. Acquisendo aidos e dike, gli uomini si sarebbero almeno assicurati la sopravvivenza”. I. F. Stone, Il processo a Socrate, pp.54-55.

Il filosofo utilizza questa cronaca mitologica nel corso del processo a Socrate, criticandone le osservazioni sul funzionamento dell’assemblea popolare allorché quest’ultimo sostiene “che quando il corpo governante della città deve occuparsi di un progetto di costruzione, manda a chiamare gli architetti per consiglio. Se la sua flotta o la sua marina devono essere potenziate, l’assemblea manda a chiamare i costruttori navali. Se un incompetente prova a prendere la parola, anche se bello, ricco, nobile, i cittadini riuniti in assemblea si mettono a ridere. Ma quando l’assemblea si riunisce per discutere fondamentali questioni di governo, indifferentemente si leva a dare il suo consiglio un architetto, un fabbro, un calzolaio, un commerciante, un marinaio, un ricco, un povero, chi è di nobile nascita e chi non lo è e nessuno muove loro rimproveri per la loro mancanza di istruzione o di pratica nelle questioni che sono in discussione”. I. F. Stone, Cit., p.54.
 
Questa osservazione viene vista come una mina assai pericolosa sui quei principi democratici che, invece,  sin dai tempi del legislatore e riformatore Solone prevedono il diritto di voto nelle assemblee e nelle giurie per tutti i cittadini maschi.
Un processo democratico ispirato ancor prima dallo stesso Zeus che, alla domanda di Ermes se distribuire aidos e dike proprio a tutti, gli risponde: “A tutti, e che tutti ne abbiano parte perché le città non potrebbero esistere se solo pochi possedessero aidos e dike. Tutti devono partecipare di quei doni perché la vita sociale sia possibile. Istituisci, dunque, a nome mio una legge una legge per la quale sia messo a morte come peste della città chi non sappia avere in sé pudore (aidos) e giustizia (dike)”. I. F. Stone, Cit., p.55.
 
A Protagora il racconto serve per trarre e offrire deduzioni implicite sul metodo decisionale relativo a questioni politiche: “Gli ateniesi hanno ragione nel lasciar parlare tutti coloro che lo desiderano, convinti, come sono, che tutti debbano essere partecipi di questa virtù perché possano esistere in città… Adeguatamente, Socrate, ti è stato dimostrato, come almeno mi sembra, che non a torto i tuoi concittadini permettono che un fabbro, un calzolaio, chiunque sia ascoltato nelle deliberazioni politiche e che non a torto ritengono che la virtù possa essere insegnata e si possa acquisire”. C. Mossé, Pericle, p.170.
 
Ecco l’interventismo, l’immanenza, della divinità greca sui fatti umani. Ermes esegue gli ordini e parte per la terra a distribuire aidos e dike. Ecco un dio “concreto” esattamente opposto al fratello e futuro alleato Apollo, interprete e profeta di Zeus, rappresentazione della lontananza incommensurabile della natura divina: “Queste due divinità rappresentano infatti i due estremi entro i quali pencola il sentimento greco della vita e dell’uomo… La mente greca, posta di fronte al problema religioso, è caratterizzata da una singolare oscillazione: da un lato riconosce l’infinita distanza tra mortali e immortali, dall’altro avverte che una scintilla divina è comunque presente nel cuore imperfetto degli uomini… La differenza tra i due è scritta già, simbolicamente, nelle diverse circostanze della loro epifania: Apollo appare all’improvviso sull’Olimpo, suscitando sorpresa e paura; Ermes esce dalla grotta montana dove Maia l’ha partorito. L’umidità tiepida – che rimanda al tepore della carne irrorata di sangue – è ciò che produce Ermes e impronta per sempre la sua azione”. G. Zanetto, Cit., p.172.
 
INNI ALL’INVENTORE, LADRO, FURBO, GENEROSO E FRATERNO
Ermes svela sin dalla nascita le sue doti, puntigliosamente descritte in alcuni anonimi inni omerici, che nell’episodio della lira e del furto delle vacche di Apollo mostrano chiaramente l’inventiva, la furbizia e la scaltrezza del dio ancora in fasce: “Un dio che non è tra i più grandi tra quelli di primo piano… Bambino appena nato (non da una grande dea, in una grotta) Ermes si alza dalla culla per intraprendere una grande azione che gli assicuri un posto tra gli altri dèi dell’Olimpo. Ma ancora sulla porta si imbatte in una tartaruga e non tarda ad ucciderla e a preparare dal suo guscio la prima lira (invenzione); solo dopo quest’episodio egli parte per realizzare il suo piano: ruba gli armenti del dèi, custoditi da Apollo, e li fa camminare a ritroso per confondere le tracce del furto (astuzia, inganno)… Poi ritorna nella sua culla e, all’arrivo di Apollo, nega e spergiura (Ermes dio del furto e dello spergiuro anche nell’Odissea) richiamandosi all’evidenza che egli è appena nato. La lite finisce davanti a Zeus che ride dell’accaduto, e finalmente i due fratelli si mettono d’accordo: Ermes cede la lira ad Apollo (che così diventa dio della arti musiche) ed Apollo gli dà in cambio le funzioni del pastore divino”. A. Brelich, Cit., pp.209-210.
 
… Ma quando si compì la volontà del grande Zeus e nel cielo si volse per lei il decimo mese, il bimbo nacque, e venne in chiaro ogni cosa.
Essa generò un figlio versatile, dalla mente sottile, un predone ladro di buoi, signore dei sogni: uno che spia nella notte accanto alle porte, destinato a compiere ben presto grandi imprese fra gli dèi immortali.
Nato al mattino, a mezzogiorno già suonava la cetra, e la sera rubò le vacche di Apollo arciere. Quando uscì fuori dal grembo immortale della madre, non rimase a lungo tranquillo nella culla sacra, ma si alzò in piedi e varcò la soglia dell’antro spazioso, cercando le vacche di Apollo.
Là fuori trovò una tartaruga, e ne trasse infinita gioia: Ermes fu il primo a produrre una tartaruga canora…
“… Ora ti prendo e ti porto in casa. Non ti lascio andare: mi servi, sarai la mia prima vittoria”.
Così dicendo, la prese con entrambe le mani ed entrò in casa, portando il grazioso giocattolo. Rovesciò la tartaruga montana e con una lama di grigio ferro ne cavò fuori il midollo…
… Tagliò canne di giunco nella giusta misura e le fissò nel guscio della tartaruga, dopo aver praticato dei fori.
Tutt’attorno distese con arte una pelle di bue; applicò due bracci e li unì con un ponticello, e tese sette corde di minugia di pecora, ben intonate.
Quand’ebbe terminato il grazioso giocattolo, lo impugnò e col plettro saggiò le corde, a ritmo: un tintinnio acuto rispose al tocco della mano. Il dio intonò un canto soave…
… E mentre cantava già meditava altre imprese nel cuore.
Inno omerico a Ermes 1-62
 
Questa invenzione servirà davvero per la sua prima vittoria dopo il furto dei sacri bovini in cui spende grande arguzia e dissimulazione:
Il figlio di Maia, l’Arghifonte dall’occhio acuto, staccò dalla mandria cinquanta vacche mugghianti e le spinse per la spiaggia sabbiosa, per vie traverse, rovesciando le orme; memore dei suoi trucchi, invertì gli zoccoli, quelli davanti dietro e quelli dietro davanti: lui invece cammina di fronte…
… Fece saziare d’erba le vacche mugghianti e le spinse compatte nella stalla…
… Prese un bel ramo d’alloro e lo scorticò col ferro, impugnandolo saldamente: una calda vampa si diffuse; Ermes fu il primo a mostrare l’accensione del fuoco.
Prese molta legna asciutta e dura e l’accumulò in abbondanza in una fossa profonda: la fiamma brillò, diffondendo lontano la vampa del fuoco ardente…
… Spinse fuori vicino al fuoco due vacche mugghianti, dalle corna ritorte: aveva dentro una grande energia; le sospinse a terra entrambe, sulla schiena, ansimanti, poi si chinò, le girò, le trafisse al collo.
Aggiungeva fatica a fatica, tagliando la carne ricca di grasso: la infilzò su spiedi di legno e l’abbrustolì, la carne insieme alle schiene pregiate e al nero sangue chiuso nelle viscere…
… Dopo aver compiuto ogni cosa nel modo dovuto, il dio gettò i sandali nell’Alfeo dai gorghi profondi. Spense la brace e disperse la nera cenere, mentre ancora era notte: risplendeva la bella luce di Selene…
… Si diresse subito ai pingui penetrali della grotta, leggero sui piedi: non si sentiva il rumore dei passi. Rapidamente il glorioso Ermes entrò nella culla: con le fasce attorno alle spalle, giaceva come un neonato, giocando ad avvolgere con le mani la coperta alle ginocchia, e tenendo nella sinistra l’amabile tartaruga.
Ma, sebbene dio, non sfuggì alla madre divina, che gli disse: “Che hai fatto briccone? E da dove arrivi a quest’ora di notte, svergognato… … Va alla malora! Tuo padre con te ha generato un gran guaio per gli uomini mortali e per gli dèi immortali”.
Ed Ermes le rispose con parole abilissime: “Mamma, perché vuoi spaventarmi, come se fossi un bambino che non parla e ha poca esperienza nel cuore, pieno di paura per i rimproveri della madre? Invece io mi dedicherò all’arte più lucrosa di tutte, e provvederò a me e a te in futuro; noi due non dovremo restarcene qui senza offerte e senza preghiere, soli fra gli dèi immortali, come tu vorresti. È meglio passare la vita in compagnia degli dèi, ricco e ben fornito di campi, che rimanere qui, in questa grotta fumosa. E quanto all’onore, avrò anch’io gli stessi privilegi di Apollo. Se mio padre non me li darà, allora cercherò di diventare il signore dei ladri: ne ho certo le doti”...
 
(Apollo non fatica molto a scoprir la verità, ndr)
… “Bimbo che stai nella culla, dimmi subito dove sono le vacche. Se no, aspettati un brutto litigio. Ti scaglierò giù nel Tartaro tenebroso, nell’oscurità maledetta e senza scampo: né tua madre né tuo padre ti riporteranno alla luce, ma vagherai sotto terra, regnando su genti perdute”. 
Ermes gli rispose con un abile discorso: “Figlio di Letò, perché queste parole così severe? E perché vieni qui a cercare le vacche dei tuoi campi? Non le ho viste, non so e non ho sentito nulla; non posso darti informazioni e chiederti un compenso. Ho forse l’aspetto di un robusto ladro di buoi? Non mi occupo di queste cose: ho altri interessi…
… Sono nato ieri: ho i piedi teneri, e il terreno è duro. Se vuoi, te lo giuro solennemente sulla testa di mio padre”…
… L’arciere Apollo accennò un sorriso e rispose: “Bugiardo! Che gran briccone che sei! Da come parli, credo proprio che ti introdurrai spesso nelle case dei ricchi, di notte, e lascerai molte persone sul lastrico, svaligiando la casa senza rumore… … Andiamo da Zeus Cronide: lui ti darà torto o ragione”…
… Presto i bellissimi figli di Zeus arrivarono sulla sommità dell’Olimpo odoroso e alla casa del padre Cronide, dove per entrambi era pronta la bilancia della giustizia…
… “Padre, sentirai ora una storia interessante, tu che mi rimproveri di essere avido di bottino. Ho trovato questo bimbo – un furfante matricolato – sul monte Cillene, dopo un lungo cammino: così sfrontato non ne conosco nessuno, né fra gli dèi né fra gli uomini che sulla terra vivono di ruberie. Ieri sera ha rubato le mie vacche dal pascolo e le ha portate via lungo la riva del mare risonante, dritte a Pilo: ha lasciato due serie di tracce, stranissime e stupefacenti, opera di un dio possente”…
… Dopo queste parole, Febo Apollo si sedette.
Ermes tenne ben altro discorso fra gli immortali, dopo aver salutato il Cronide, signore di tutti gli dèi: “Padre Zeus, sii certo che ti dirò la verità: sono sincero, infatti, e incapace di mentire. È venuto a casa nostra a cercare le vacche dondolanti, stamane, poco dopo il sorgere del sole; ma non portava come testimone oculare nessuno degli dèi. Mi ordinava con molta insistenza di parlare, e più volte minacciava di gettarmi nell’ampio Tartaro, solo perché lui è nel pieno fiore dell’ambiziosa giovinezza e io invece sono nato ieri. Ho forse l’aspetto di un robusto ladro di buoi? Credimi, visto che ti vanti di essere mio padre: non ho portato a casa le vacche – così possa aver fortuna – non ho neanche oltrepassato la soglia: è la pura verità”…
… Rise forte Zeus, vedendo con quanta scaltrezza negava il furto della vacche quel suo malizioso figliolo. Ordinò poi che di comune accordo tutti e due si mettessero alla ricerca, e che facesse da guida Ermes, il messaggero, e indicasse senza più trucchi il luogo dove aveva nascosto le vacche dalla testa robusta…
… I due bellissimi figli di Zeus si diressero in fretta a Pilo sabbiosa e arrivarono al guado dell’Alfeo. Raggiunsero i campi e la stalla altissima dove le bestie erano state custodite nelle ore notturne. Qui Ermes entrò nell’antro roccioso e ricondusse alla luce le vacche dalla testa robusta.
Apollo, guardando di lato, vide le pelli sulla rupe scoscesa, e subito chiese al glorioso Ermes: “Come sei riuscito, furbetto, a scuoiare due vacche, tu che sei così piccolo? Mi chiedo quale sarà la tua forza in futuro. Bisogna proprio che tu non cresca troppo, Cillenio, figlio di Maia”.
Così disse, e gli strinse le mani con saldi legacci di vimini; ma questi si radicarono a terra sotto i suoi piedi, si avviticchiarono fra loro e avvilupparono facilmente tutte le vacche, abitatrici dei campi, per volontà di Ermes dai pensieri nascosti. Apollo si stupì a quella vista.
Allora Ermes scrutò furtivamente il terreno, cercando di nascondere la fiamma del suo sguardo; e facilmente riuscì nell’intento di placare l’arciere, il figlio glorioso di Letò, pur così ostile. Tenendo la lira nella sinistra lo saggiò col plettro, a ritmo: e quella, al tocco della mano, risuonò melodiosa. Sorrise Febo Apollo, deliziato: gli arrivò al cuore il suono armonioso dello strumento divino…
… Apollo fu preso nel cuore da un sentimento struggente, e così gli parlò con alate parole: “Macellaio, faccendiere instancabile, compagno di mensa, questo canto vale davvero cinquanta vacche! Credo proprio che andremo d’accordo… … Ora, poiché sei così sapiente, per quanto piccino, siediti, caro, e ascolta le parole di chi è più anziano.
Presto avrete grande fama fra gli dèi immortali, tu e tua madre. E sta’ certo di questo: ti giuro sulla mia lancia di corniolo che io ti farò diventare glorioso e beato fra gli immortali, ti darò splendidi doni e non ti tradirò mai”.
Inno omerico a Ermes 68-462
 
INNUMEREVOLI FATICHE MA SEMPRE TEMPO PER LE “DONNE”
Ed Ermes sarà un dio a tutti gli effetti, ed avrà certamente molta fama, impressa da Omero nelle sue opere, o ancor di più in un lungo elenco di celebri amanti e figli dotati…: “Manifesta qualche carattere grossolano e indecente, ciò risponde al suo spiccato erotismo cui allude già l’Iliade e ai suoi poteri di datore di fecondità, variamente attestati… Egli viene concepito come un aspetto permanente della realtà, che si manifesta su tutti i piani di questa, e così il cosmo divino greco lo include tra i propri fattori eterni”. A. Brelich, Cit., pp.210-211.
 
Sono diverse, infatti, le relazioni amorose che gli vengono attribuite e che lo rappresentano come dio fallico e fecondo. Tra le sue conquiste: sacerdotesse, principesse, ninfe e amazzoni; la più famosa, e invidiabile, è certamente Afrodite dea dell’amore che “presiede all’attrazione e all’incontro sessuale: è una forza insieme biologica, psicologica e affettiva. La sua azione è inesorabile: nulla, fra tutto ciò che esiste, può resisterle, né uomini né dèi, né esseri raziocinanti né animali bruti. I miti che la riguardano raccontano vicende d’amore, in cui la dea interviene come protagonista attiva o come suscitatrice di desiderio, e talvolta in entrambi i ruoli. Sono storie spesso violente, non di rado tragiche, poiché i Greci avvertivano l’eros come una passione lacerante, capace di travolgere ogni assetto costituito: in esso vi è la radice di una verità nuova e più autentica, ma anche il pericolo dell’accecamento e della follia”. G. Zanetto, Cit., pp.101-102.

Diverse fonti derivanti dai poeti, per quanto indimostrabili o contrastanti, assegnano ad Ermes ed Afrodite un’ampia discendenza tra cui Priapo, simbolo dell’istinto sessuale e della forza generativa, a conferma dell’origine di Ermes come divinità fallica.

E ancora, Ermafrodito, dio bisessuale simbolo di doppiezza dai vasti poteri d’inseminazione e riproduzione, così fatto perché gli viene concesso di congiungersi alla ninfa Salmace di cui si innamora diventando metà uomo e metà donna.

Altra illustre conquista del nostro dio, e se così fosse sarebbe sconvolgente, la famosa Penelope; non è dato sapere se prima del matrimonio o durante l’attesa del glorioso marito mentre disperata tesse e disfa la tela. Ciò naturalmente non arreca alcun danno ai rapporti tra Ermes e Ulisse che al contrario, come desumiamo dall’Odissea, riceverà la sua benevolenza nell’episodio di Circe: “Dove vai solo per queste colline, infelice, senza conoscere i luoghi? I tuoi compagni in casa di Circe sono rinchiusi, come maiali, in solide stalle. Tu sei venuto qui a liberarli? Io ti dico che neppure tu tornerai, ma rimarrai là con loro. Ma no! Voglio salvarti, tirarti fuori dai mali. Prendi, entra nella casa di Circe con quest’erba benefica, che terrà lontano da te il mal giorno… … Quando Circe ti colpirà con la sua lunga bacchetta, tu sguaina dal fianco la spada affilata e balza su Circe, come se volessi ammazzarla. Lei, spaventata, ti inviterà nel suo letto: tu allora non rifiutare il letto di una dea, perché liberi i tuoi compagni e ti dia il buon ritorno”…
Omero, Odissea X 274-309
 
Tra i significati del termine mythos troviamo “discorso” o “narrazione”, nella fattispecie abbiamo narrato di una figura mitologica di cui non possiamo scrivere né data di nascita né di morte. Probabilmente è ancora attorno a noi se per un attimo risaliamo al concetto o al bisogno universale di personificazione, al di là di qualunque fede personale: “Il problema della divinità è stato sempre impostato e risolto nei termini della personificazione. Vale a dire: l’interesse è stato volto a ciò che una determinata divinità dovrebbe personificare. Per es., a proposito della religione babilonese, gli dèi sono personificazione di forze, oggetti e fenomeni naturali e cosmici, e anche di concetti astratti. Abbiamo così il dio cielo (Anu), il dio dei fenomeni atmosferici (Enlil), il dio fuoco (Girru), il dio giustizia (Mesharu), ecc.”. D. Sabbatucci, Seminario di storia delle religioni, p.131.

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