DAI CAMPI DI
BATTAGLIA AI PIACERI DEL CORPO E DELLA MENTE
Articolo a cura di Andrea Rocchi C. di www.talentonellastoria.com
CON SILLA FINO
A ROMA!
Passò alla Storia come l’uomo dei banchetti e dei
simposii, dedito al lusso più sfrenato, agli sfarzi esagerati e magnificamente
ricercati; trascorse gli ultimi anni della sua esistenza dedicandosi totalmente
ai piaceri del corpo e della mente, rinchiudendosi in dorate gabbie e
rifuggendo dalle ambizioni che gli erano state compagne fedeli spesso difficili
da soddisfare. Sto parlando di Lucio Licinio Lucullo, aristocratico romano
della potente Gens Licinia non dimenticando che la mamma apparteneva invece
all’altra grande famiglia romana dei Metelli. Trovare nella Roma dell’epoca
(117-56 a.C.) un aristocratico più aristocratico di Lucullo è impresa ardua, un
perfetto esempio di nobile altezzoso, di fine intelletto, persino idealista in
alcuni frangenti, appassionato di filosofia, talentuoso oratore della tribuna
forense in grado di padroneggiare perfettamente la lingua greca oltre il
latino. Servì come tribuno nella Guerra Sociale (91-88 a.C.) scrivendoci
persino un saggio in greco, nell’88 fu l’unico ufficiale tra quelli di Silla ad
appoggiare la marcia in armi su Roma del futuro dittatore, un atto scellerato,
inconcepibile fino a qualche anno prima, inquadrato nell’ottica dell’immane
scontro civile che si tenne nell’Urbe tra i “populares” dell’homo novus Gaio
Mario e gli “optimates” , ovvero la fazione aristocratica conservatrice di Silla
e compagnia bella. Si dice che Lucullo, da ottuso classista perso nei suoi
ideali oligarchici, incantato dalla personalità carismatica e rabbiosa del suo
capo, abbia messo anima e corpo a disposizione di Silla senza nulla chiedere in
cambio, a ben guardare però da questa alleanza fu proprio il nostro ad uscirne
arricchito di carriera e sesterzi. Non per nulla fu subito “quaestor” aggregato
alla spedizione sillana in Grecia, preludio alla prima guerra contro il bizzoso
re del Ponto, Mitridate. Dall'88 all'85 a.C. Lucullo fu impegnato in una serie
di missioni atte a dotare di una flotta le truppe di Silla impegnate
nell'assedio di Atene e del Pireo, vagando come un disperato per isole ed
isolette e fino in Egitto, sfuggendo tra mille peripezie alle flottiglie
piratesche del re pontico per tornare dal suo capo con un pugno di mosche in mano.
Nel frattempo inoltre, tanto perché i romani non si facevano mancare nulla, due
legioni spedite in Oriente da Cinna (dittatore nell'Urbe nell'87 a.C. e nemico
giurato degli “optimates”) per sbarazzarsi dello stesso Silla, erano passate di
mano in seguito ad ammutinamento, dal generale Flacco ad un tale Fimbria,
braccio destro del legato in questione, che era un acceso mariano, uomo rozzo
ed estremamente violento, uno sterminatore efferato di genti e nemici. Questi
si era messo a sua volta a far la guerra a Mitridate bloccandone l'esercito nei
pressi di Pergamo, da qui fece pervenire la richiesta al nostro questore di
bloccare con la sua misera flotta il porto della città schiacciando dunque
l'avversario tra due fuochi. Ma l'aristocratico Lucullo non avrebbe mai
concesso il suo aiuto ad un truculento mariano, tradendo per di più colui al
quale aveva giurato fedeltà, ovvero Silla. Ne venne fuori che Mitridate se ne
fuggì a Mitilene mentre al fedele "questor" veniva assegnato il
compito di riscuotere le indennità di guerra nelle città ribellatesi e persino
di coniare monete. Lucullo risentì sicuramente del doppio fallimento, sia nei
confronti di Silla non avendo reperito nulla che assomigliasse ad una flotta,
sia verso gli interessi di Roma stessa mancando l'appuntamento con Fimbria, di
sicuro però non si fece mancare l'occasione per assestare un altro deciso colpo
agli odiati “populares” attraverso l'applicazione in tutta la provincia di un
calmiere per i tassi d'interesse sul denaro a debito. In tal modo ad essere
colpiti furono i pubblicani, membri della classe equestre addetti alla
riscossione di tasse e tributi oltre che di soldi a strozzo, che Mario aveva
sempre favorito ma a Roma, anni dopo, gli stessi avrebbero saputo come
vendicarsi dello svampito aristocratico. Svampito perché Lucullo sembrò sempre
oscillare tra la figura di un gran furbone e quella di un goffo mestierante e
questo dubbio mi rimane imperterrito andando avanti nella storiella.
IL SUCCESSO NON
VA MAI D’ACCORDO CON GLI IDEALI
Nell’80 a.C. dopo tanto peregrinare, fece ritorno a
Roma dove lo attendeva la carica di edile oltre la nomina a tutore dei figli da
parte di Silla che stancamente si avviava al suo declino politico. Come edile,
responsabile dei giochi fece quello che meglio poteva riuscire ad un
aristocratico, ovvero nutrire gli umili e i poveracci di panem et circenses ,
infine nel 74 a.C a 42 anni, dopo essere stato “praetor” e “propraetor” in
Africa, raggiunse il tanto agognato consolato insieme all’inetto Marco Aurelio
Cotta, un politicante di poco conto. In ballo però c’era ancora l’Oriente, dove
il solito Mitridate era, tanto per cambiare, tornato alla ribalta con una nuova
guerra, la terza e sfiga volle che a Lucullo fosse assegnato a sorte come
comando proconsolare per l’anno successivo uno dei teatri di guerra più inutili
e sfruttati del mondo conosciuto, ovvero la Gallia Cisalpina, mentre al buon
Cotta era toccata in sorte la Bitinia e necessariamente il comando delle
legioni che sarebbero state impiegate contro Mitridate. Da Lucullo, così
borioso ed altezzoso, intellettuale contrario ai compromessi mi sarei aspettato
una muta rassegnazione al fato infausto, invece no... puntò un ex mariano
convinto, un tale Cornelio Cetego facendo di tutto per entrare nelle sue
grazie, si abbassò persino a richiedere l’intercessione di Precia, amante del
Cetego, riuscì con tanto zelo ad ungere ruote, fare e richiedere favori che
alla fine il Senato con l’escamotage di assegnargli il posto vacante di
governatore della Cilicia, gli concesse il mandato proconsolare per condurre la
guerra contro il re del Ponto in virtù della sua maggiore esperienza militare
rispetto al povero Cotta al quale venne assegnato il rimasuglio di flotta
romana che era rimasto nel teatro orientale. Non sto qui a descrivere tutte le
fasi del lunghissimo conflitto che impegnò le legioni di Lucullo fino al 68
a.C.; per usare ciò che gli storici romani scrissero delle strategie di
Lucullo, egli sapeva colpire con la velocità di Scipione difendendosi con
l’accortezza di Fabio Massimo il Temporeggiatore, dunque in pratica ci troviamo
dinanzi ad un genio della lampada. Che poi la cosa divertente è che Lucullo
partì per l’Asia con un baule pieno zeppo di papiri che narravano delle
battaglie di Alessandro Magno, di Scipione Africano, di Annibale etc etc e si
narra che lungo il tragitto marittimo, si fece una tale chiusa di studi tattici
e militari che sulla nave salì da recluta e ne discese condottiero. Inanellò
incredibilmente una serie di vittorie notevoli contro Mitridate che nel 69 a.C.
con le ossa rotte si rifugiò in Armenia dal genero Tigrane, un altro
castigamatti non da poco; ovviamente a Roma, nessuno era contento della
campagna in corso, per i quiriti era imbarazzante che in così tanti anni di
guerra ancora non si fosse giunti ad una conclusione, inoltre si rimproverava
al grande generale di farsi sfuggire il bizzoso avversario sempre per un
soffio.
FINCHÈ C’È GUERRA
C’È SPERANZA
Quanto sarebbe convenuto al buon Lucullo archiviare
una così importante guerra in poche battute, considerando le ricchezze in
ballo, tra il tesoro di Mitridate e le risorse che potevano essere attinte
nelle varie città conquistate? A dirla tutta l’aristocratico raramente concesse
ai propri legionari di far man bassa, saccheggiando a destra e a manca, anzi si
contraddistinse tra le popolazioni locali per magnanimità e clemenza,
amministrando i nuovi territori come un buon padre e non come un pessimo
padrone: sta di fatto però che le uniche a riempirsi di ori furono le sue
saccocce nel generale malcontento dei legionari che sgamando che qualcosa non
quadrava, cominciarono ad odiare quel pedante condottiero da strapazzo.
Dall’alto del suo scranno inoltre Lucullo si distingueva anche per la severità
delle pene, l’applicazione di un duro codice marziale e la convinzione che il
suo esercito di plebei combattesse al fine di tornarsene a casa a zappare la
terra come all’epoca della prima Repubblica; peccato che i legionari, tutti
nullatenenti o quasi, si erano arruolati solo ed unicamente per un futuro
migliore e per comprarsela la terra grazie ai frutti di bottini e concessioni.
Tra i primi borbottii e avvisaglie di ammutinamenti, Lucullo mosse contro
l’Armenia, dichiarando guerra ad un regno senza l’approvazione del Senato, non
considerando inoltre che l'Armenia stessa era una sorta di confine naturale,
una terra di nessuno posta tra i possedimenti romani ed il potente impero dei
Parti, chi avrebbe conquistato l'Armenia si sarebbe cacciato in un tale
ginepraio che sia a Roma che alla corte di Hecatompylos iniziarono a seguire
con mal celato timore le gesta luculliane. Stavolta i fringuelli da inseguire
erano due, Tigrane e Mitridate che pur sconfitti a raffica riuscirono a darsi
sempre alla macchia in barba al nostro. Come spesso succede, la dea bendata
concede molte occasioni per poi chiedere il conto; tra il 68 e il 67 a.C. le
legioni in questione furono scosse da diversi ammutinamenti sobillati da Clodio
(proprio quello che qualche anno dopo si intrufolò vestito da donna nella casa
di Cesare durante la festa della Bona Dea) che arrestarono la marcia trionfante
di Lucullo permettendo al redivivo re del Ponto di riprendersi tutti i suoi
territori. La commissione romana giunta in Oriente altro non fece che riferire
dei gravi disordini tra gli uomini che erano stati sotto Fimbria e di come la
situazione fosse sfuggita di mano al generale in carica; nel 66 a.C. il novello
Alessandro Magno, ovvero Pompeo giunse a Danala, in Anatolia per assumere il
comando della guerra contro Mitridate mente nell’Urbe gli ambienti politici vicini
agli affaristi e ai pubblicani facevano girare le accuse di malversazione e
conduzione della guerra per scopi personali ai danni di Publio Licinio Lucullo.
Rientrato a Roma nel 66 a.C., gli fu negato il trionfo fino al 63, fu coinvolto
in tantissimi processi, alcuni inventati solo per fargli danno, e la sua
carriera politica e militare ne uscì distrutta. Da qui il conseguente ritiro
nelle sue meravigliose ville, coltivando quello sfarzo che solo nelle corti
orientali aveva potuto gustare, con particolare attenzione per le prelibatezze
culinarie come per le opere d’arte. Morì intorno ai 60 anni, avvelenato
lentamente da una pozione che un suo schiavo gli somministrava giornalmente per
avere il favore del padrone.
CONSIDERAZIONI
FINALI
Lucullo fece sicuramente il massimo profitto della guerra combattuta in Oriente, ammonticchiando una quantità immensa di ori e
tesori. Prolungò il conflitto all'inverosimile sopperendo con il proprio
tornaconto personale al fatto di non riuscire mai a chiudere la partita contro
nessuno dei suoi avversari. Sfuggito Mitridate, sfuggito Tigrane, egli già
mirava ad invadere direttamente la Parthia se non fosse sopraggiunto Pompeo a
levargli il mandato. Si potrebbe considerare l'ipotesi che Lucullo abbia per
cupidigia, opportunamente ricercato una guerra eterna oppure l'andare ogni
volta così vicino alla vittoria senza mai conseguirla potrebbe aver determinato
in lui una sorta di ossessione da trionfo?In ogni caso la sua fine determinò
l'ascesa di Pompeo che si ritrovò tra le mani la grande fortuna di sconfiggere
un avversario già fiaccato da anni di guerra, aumentando a dismisura il suo
prestigio ed ergendosi così incontrastato al ruolo di difensore della
Repubblica contro le future brame cesariane. Per quanto riguarda il nostro, ci
troviamo dinanzi ad un condottiero di talento, in grado di trasporre in pratica
e con successo quanto letto sui fogli di carta, una personalità di grande
intelletto ma dal comportamento ambiguo per quanto esposto poco sopra, condito
di una particolare ottusità mai fine a se stessa. Alle grandi prese di
posizione in danno persino agli interessi di Roma, non corrispose egual sorte
quando in ballo furono i suoi interessi personali o desideri di sorta, stesso
discorso si potrebbe applicare al presunto “odio di classe” nei confronti di
tutti coloro non appartenenti al suo rango e dei "populares" in
particolar modo, osteggiati all’inverosimile fin quando la brama di ottenere il
comando non calpestò ogni principio ed etica morale. La sua colpa più grave fu
quella di non aver favorito nessun tipo di rapporto di fiducia con i propri
legionari, rimanendo un condottiero da piedistallo, sprezzante nei confronti
della plebaglia chiamata alle armi, errore che, anni dopo, non avrebbe compiuto
Cesare che a suon di lasciti e comportamenti “da caserma” si sarebbe guadagnato
la fedeltà delle proprie truppe fin oltre il Rubicone. Lucullo può essere
archiviato come un uomo dalle eccessive contraddizioni, da molti additato come
carente in personalità in seguito alla sua fuga dalla vita politica dell'Urbe
con quel ridicolo rinchiudersi in un'esistenza artefatta che lo consegna alla
Storia come un tipo bizzarro, curioso, appiccicandogli un'immagine che non è
quella del talentuoso e un po' spocchioso condottiero romano. Mi rimane però il
dubbio che ogni sua mossa sia stata dettata unicamente da quell’unico fine di
tornare a Roma talmente ricco da poter conseguire il sogno di vivere nell’ozio
fino alla fine dei suoi giorni…in questo caso, dovrei sostituire l'aggettivo
"svampito" che ho usato nel pezzo con un più appropriato
"diabolico"....
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