Il padre rivoluzionario della
Repubblica di Cina tra una storia che proviene dall’antichità e un’altra che
guarda al dominio dell’avvenire. Passato, presente e futuro condensati in un
programma ideale inapplicato ma opportunisticamente assorbito dal drago nazionalcomunista
che ormai afferra saldamente tra i suoi artigli il XXI secolo
UN RIVOLUZIONARIO
BUONO PER TUTTE LE STAGIONI
Nel primo decennio del ‘900 un uomo e tre
principi assestano il colpo di grazia a più di 4000 anni di storia in Estremo
Oriente. La Cina conosciuta come l’Impero celeste delle dinastie figlie del
cielo non sarà più quel regno ignoto e lontano, ma si proietterà a definire e
dominare gli equilibri futuri del pianeta. Quell’uomo è Sun Yat-sen, padre della Repubblica
di Cina e portatore di profonde idee rivoluzionarie a loro volta assorbite,
suo malgrado, da quella particolare forma di nazionalcomunismo vera rampa di
lancio della Cina che viviamo ancora oggi. Una Cina che troppo presto disperde
la ricca eredità ideale di Sun fondata su democrazia, benessere e popolo, ma che
perfettamente riplasmata dai rivoluzionari comunisti fa da base al nuovo
“impero rosso” di questi tempi. In una terra sterminata dalle obbligate origini
contadine, Sun nasce nel 1866 nel Guangdong, provincia meridionale, e si laurea
giovane in medicina ad Honk Kong. Dopo una breve esperienza da farmacista indirizza
la sua vita al progetto di modernizzazione del suo Paese, già permeato da
influenze occidentali e tradizioni millenarie che un impero dinastico decrepito
non riesce più ad alimentare e tutelare: “Nell’800 iniziò il lento ed
inesorabile declino della dinastia Qing. L’Inghilterra e altri stati europei
premevano affinché la Cina aprisse al commercio, situazione che sfociò a metà
del secolo nelle due guerre dell’Oppio… Le sconfitte subite dalla Cina diedero
agli stati occidentali maggiore libertà in Oriente… Il paese non fu solo
costretto a garantire vantaggi commerciali e a legalizzare l’importazione
dell’oppio inglese coltivato in India: dovette cedere alle potenze europee
anche parte dei suoi territori, inaugurando così l’epoca dell’imperialismo
occidentale nell’Estremo Oriente… All’inizio del Novecento la dinastia avviò
malvolentieri e con scarso tempismo alcune riforme che però si rivelarono
inadeguate. Giunti al 1911, i riformisti e i rivoluzionari chiedevano ormai un
cambiamento più rapido e profondo rispetto a quello che volevano attuare i
Manciù e il 10 ottobre di quell’anno a Wuhan, nella Cina centrale, iniziò un’insurrezione
che dilagò rapidamente nel resto del paese. Quando i vertici delle forze armate
Qing si rifiutarono di reprimere la rivolta, il destino della dinastia fu
segnato”. L. Benson, La Cina dal 1949 ad
oggi, p.24.
È un’antica
Cina che va morendo in una nuova fase segnata dallo scontro tra le potenze
imperialiste e il nascente nazionalismo interno di cui Sun Yat-sen sarà uno dei
massimi interpreti. Egli mira a suscitare la rivoluzione nel suo Paese e
instaurare un governo repubblicano. A ciò dedica la sua vita e le sue energie spese
a sfuggire alla persecuzione dei Manciù, rifugiandosi all’estero tra Giappone,
Stati Uniti e Inghilterra. Grazie ad una certa influenza europea nella sua
formazione, racchiuderà nei Tre Principi
del Popolo – un misto tra lotta di classe e nazionalismo appunto – la base filosofica
per abbattere il vecchio sistema imperiale: Indipendenza
nazionale, Potere del popolo
(democrazia) e Benessere del popolo
(riforma agraria). Un programma ideale in linea con le trasformazioni sociali
in corso verso gli inizi del ‘900, che vedono contrapporsi nuove figure alle
vecchie élite dominanti. Tra le prime “attraverso le relazioni con l’Occidente
si formarono anche nuove categorie sociali all’interno della classe elevata,
non limitate ai militari. Interpreti ed esperti di lingue assunsero
l’importante funzione di mediatori. Essi servivano ovunque si intrattenessero
rapporti con le potenze occidentali… Un esempio di intellettuale di matrice occidentale è Wang Tao (1828-1897) che visse esclusivamente della sua attività di giornalista... Dello stesso gruppo
sono da annoverare anche Liang Qichao,
il traduttore Yan Fu e molti
avvocati e medici; la maggior parte di loro viveva in modo relativamente
modesto, senza grandi riconoscimenti. A questa nuova intellighenzia
appartenevano anche il politico e il rivoluzionario di professione, entrambe
categorie nuove per la società cinese. Un esempio è rappresentato da Sun Yat-sen.
Questa classe di intellettuali si schierò per svecchiare e rinnovare la Cina”.
H. S. Glintzer, Storia della Cina, p.235.
Il
fermento è enorme e favorevoli al cambiamento le condizioni sociali, soprattutto
gli strati giovanili molto attenti agli “scritti politici di intellettuali
progressisti che ai primordi del Novecento aprono una serrata polemica per la modernizzazione
del paese invocando la trasformazione dell’impero in una monarchia
costituzionale, primo segnale della rivoluzione che scoppierà proprio nello
Hunan contro la dinastia manciù e i suoi mandarini… I giovani guardano con
simpatia ai due gruppi di innovatori, i riformatori e quelli più radicali che
propugnano l’avvento della repubblica e fanno capo ad un energico leader, Sun
Yat-sen. La rivoluzione da lui guidata scoppia nell’autunno del 1911, dapprima
tra lo Hunan e Canton, per dilagare poi a Changsha”. A. Ghirelli, Tiranni, pp.175-176.
DA
UNA REPUBBLICA PER IL POPOLO AD UNA REPUBBLICA SENZA POPOLO
I primi fuochi della
rivoluzione si accendono il 10 ottobre 1911 con la Rivolta di Wuchang tra i quadri dell’esercito imperiale, per poi
divampare in un vero e proprio incendio anzitutto tra le province meridionali. Nel giro di pochi mesi, a inizio gennaio 1912, viene proclamata la Repubblica
di Cina con la nomina a Presidente provvisorio di Sun Yat-sen e la caduta del
famoso e cinematografico “Ultimo Imperatore” Aisin Gioro Pu Yi. Da quel momento la Cina non è più un’entità
statale unita ma torna a dividersi tra territori, come nel caso del Tibet e
della Mongolia che si rendono immediatamente indipendenti. Braccio politico del
nuovo regime è il Kuomintang, partito
di ideologia nazionalista fondato nel 1912 su ispirazione dei Tre Principi del
Popolo. Sembra filare tutto liscio, ma vecchi problemi restano irrisolti e
molto presto si vedrà che la Repubblica non nasce nel modo sperato da Sun che,
vittima di congiure di palazzo, è costretto nuovamente all’esilio e la sua eredità
ideale preda del potente di turno: “Il nuovo governo repubblicano, che sostituì
la dinastia, era guidato da Sun Yat-sen, un cinese del sud che aveva studiato
medicina in quelle che all’epoca erano le Hawaii britanniche: l’educazione
inglese ricevuta l’aveva portato a convertirsi al cristianesimo e a darsi come
scopo della propria vita la formazione di un governo repubblicano nel suo paese
di origine. Dopo i primi mesi di presidenza provvisoria, però, emersero
disaccordi fra i rivoluzionari e ciò portò al potere il generale Yuan Shikai… Il suo governo si rivelò
oppressivo: la repubblica che si era formata era ben lontana dagli ideali di Sun
e degli altri leader, le cui speranze venivano vanificate dal potere
reazionario di Yuan. Il generale morì nel 1916, nello stesso anno in cui aveva
pianificato di autoproclamarsi imperatore della Cina. La sua morte creò per un
breve periodo le giuste condizioni per l’instaurarsi di un sistema democratico
ma, benché il governo centrale a Pechino continuasse ad affermare la propria
autorità, il potere passò rapidamente ai comandanti militari regionali,
comunemente chiamati Signori della Guerra”.
L. Benson, Cit., pp.24-25.
La morte di Shikai crea le condizioni per il ritorno di Sun ma il quadro politico è radicalmente mutato, il Kuomintang non ha da solo la forza di ristabilire un senso di governo unitario e all’orizzonte si affaccia una nuova e determinante realtà: nel 1921 a Shangai nasce il Partito Comunista Cinese (Pcc), gruppo politico creato “dalla nuova generazione di attivisti, studenti e professori che interrogavano la filosofie politiche occidentali per trovare una risposta alle vecchie ingiustizie sociali… La sconfitta dei signori della guerra e la riunificazione di buona parte del paese non risolsero però i problemi principali della Cina. I punti deboli continuavano ad essere l’economia, la grande miseria nelle campagne e la diffusione di crimine e corruzione”. L. Benson, Cit., pp.26-27.
La collaborazione tra nazionalisti e comunisti, dunque, è d’obbligo e Sun si impegna in un nuovo programma di governo che contempla, appunto, la cooperazione politica e così nuovi rapporti con l’Unione Sovietica per il suo ruolo di primogenitura nel comunismo mondiale; aiuti rivolti a contadini e operai; riunificazione militare del Paese; e via di questo passo verso una Repubblica democratica. La morte improvvisa di Sun Yat-sen, nel 1925, pone fine a questo esperimento tra forze contrapposte e, venuto meno il suo collante, precipita la Cina in una lunga guerra civile tra gli ex alleati guidati ora da due pesi massimi come Chiang Kai-shek a capo del Kuomintang e Mao Tse-tung leader del Pcc. I nazionalisti perderanno, anche a seguito degli eventi della Seconda guerra mondiale, ritirando le loro forze e le loro prospettive nel piccolo fronte di Taiwan. Una delle ragioni di fondo, invece, che porteranno Mao dopo la sua “lunga marcia” a fondare nel 1949 la Repubblica Popolare Cinese, e con essa il nuovo impero rosso, risiede proprio nella capacità del Pcc di assorbire l’eredità di Sun Yat-sen e farla sembrare una caratteristica meno militarista, innata e popolare: “Le condizioni di sfruttamento che dovevano subire i lavoratori cinesi all’inizio del Novecento rispecchiavano la situazione dei lavoratori europei, ma poiché in Cina molte fabbriche erano di proprietà straniere – principalmente in mano a giapponesi ed europei – le prime organizzazioni sindacali furono tendenzialmente nazionaliste. Il fatto poi che molti dei primi sindacati fossero capeggiati da membri del Pcc rese il nazionalismo un elemento intrinseco del comunismo cinese. Il Partito nazionalista… cercò a propria volta di usare il nazionalismo per raccogliere sostegno ai propri programmi, ma sarebbe stato il Partito comunista a sfruttare il nazionalismo per la propria causa…”. L. Benson, Cit., p.18.
In conclusione, Sun Yat-sen è un visionario dai programmi deboli e irrealizzabili o, in realtà, sin dall’inizio interprete involontario di una specificità politica che consente ad opposte ideologie di trovare quei punti di contatto e di fusione necessari in un paese molto complesso e articolato? Il governo di un territorio smisurato e una popolazione sterminata come la Cina, già allora, può realizzarsi attraverso la piena democrazia? Sembrerebbe di no a leggere il pensiero di Mao, e condiviso a suo tempo da Sun: “Un tempo le parole d’ordine della Rivoluzione francese erano libertà, uguaglianza, fraternità. Le parole d’ordine della nostra rivoluzione sono nazionalità, diritti del popolo, tenore di vita del popolo… Quando lo stato sarà in grado di agire con libertà, allora la Cina sarà uno stato forte. Se vogliamo che lo diventi, dobbiamo tutti rinunciare alla nostra libertà. Se gli studenti sono in grado di sacrificare la loro libertà, allora si impegneranno quotidianamente a lavorare per la scienza. Se i soldati sono in grado di sacrificare la loro libertà, allora ubbidiranno agli ordini e ameranno fedelmente la patria, e così lo stato sarà libero… Perché vogliamo la libertà dello Stato? Perché la Cina è oppressa dalle potenze e ha perso la sua identità di Stato”. H. S. Glintzer, Cit., p.239.
La morte di Shikai crea le condizioni per il ritorno di Sun ma il quadro politico è radicalmente mutato, il Kuomintang non ha da solo la forza di ristabilire un senso di governo unitario e all’orizzonte si affaccia una nuova e determinante realtà: nel 1921 a Shangai nasce il Partito Comunista Cinese (Pcc), gruppo politico creato “dalla nuova generazione di attivisti, studenti e professori che interrogavano la filosofie politiche occidentali per trovare una risposta alle vecchie ingiustizie sociali… La sconfitta dei signori della guerra e la riunificazione di buona parte del paese non risolsero però i problemi principali della Cina. I punti deboli continuavano ad essere l’economia, la grande miseria nelle campagne e la diffusione di crimine e corruzione”. L. Benson, Cit., pp.26-27.
La collaborazione tra nazionalisti e comunisti, dunque, è d’obbligo e Sun si impegna in un nuovo programma di governo che contempla, appunto, la cooperazione politica e così nuovi rapporti con l’Unione Sovietica per il suo ruolo di primogenitura nel comunismo mondiale; aiuti rivolti a contadini e operai; riunificazione militare del Paese; e via di questo passo verso una Repubblica democratica. La morte improvvisa di Sun Yat-sen, nel 1925, pone fine a questo esperimento tra forze contrapposte e, venuto meno il suo collante, precipita la Cina in una lunga guerra civile tra gli ex alleati guidati ora da due pesi massimi come Chiang Kai-shek a capo del Kuomintang e Mao Tse-tung leader del Pcc. I nazionalisti perderanno, anche a seguito degli eventi della Seconda guerra mondiale, ritirando le loro forze e le loro prospettive nel piccolo fronte di Taiwan. Una delle ragioni di fondo, invece, che porteranno Mao dopo la sua “lunga marcia” a fondare nel 1949 la Repubblica Popolare Cinese, e con essa il nuovo impero rosso, risiede proprio nella capacità del Pcc di assorbire l’eredità di Sun Yat-sen e farla sembrare una caratteristica meno militarista, innata e popolare: “Le condizioni di sfruttamento che dovevano subire i lavoratori cinesi all’inizio del Novecento rispecchiavano la situazione dei lavoratori europei, ma poiché in Cina molte fabbriche erano di proprietà straniere – principalmente in mano a giapponesi ed europei – le prime organizzazioni sindacali furono tendenzialmente nazionaliste. Il fatto poi che molti dei primi sindacati fossero capeggiati da membri del Pcc rese il nazionalismo un elemento intrinseco del comunismo cinese. Il Partito nazionalista… cercò a propria volta di usare il nazionalismo per raccogliere sostegno ai propri programmi, ma sarebbe stato il Partito comunista a sfruttare il nazionalismo per la propria causa…”. L. Benson, Cit., p.18.
In conclusione, Sun Yat-sen è un visionario dai programmi deboli e irrealizzabili o, in realtà, sin dall’inizio interprete involontario di una specificità politica che consente ad opposte ideologie di trovare quei punti di contatto e di fusione necessari in un paese molto complesso e articolato? Il governo di un territorio smisurato e una popolazione sterminata come la Cina, già allora, può realizzarsi attraverso la piena democrazia? Sembrerebbe di no a leggere il pensiero di Mao, e condiviso a suo tempo da Sun: “Un tempo le parole d’ordine della Rivoluzione francese erano libertà, uguaglianza, fraternità. Le parole d’ordine della nostra rivoluzione sono nazionalità, diritti del popolo, tenore di vita del popolo… Quando lo stato sarà in grado di agire con libertà, allora la Cina sarà uno stato forte. Se vogliamo che lo diventi, dobbiamo tutti rinunciare alla nostra libertà. Se gli studenti sono in grado di sacrificare la loro libertà, allora si impegneranno quotidianamente a lavorare per la scienza. Se i soldati sono in grado di sacrificare la loro libertà, allora ubbidiranno agli ordini e ameranno fedelmente la patria, e così lo stato sarà libero… Perché vogliamo la libertà dello Stato? Perché la Cina è oppressa dalle potenze e ha perso la sua identità di Stato”. H. S. Glintzer, Cit., p.239.
Nella Cina rossa i Tre principi di Sun non
hanno trovato accoglienza. Diritti, benessere, libertà… non hanno ottenuto alcun
posto comodo nell’ideologia unica. La Cina è diventata quello che è oggi,
nonostante le aspettative del popolo. Il fondamento della politica cinese resta
in quelle parole che, seppur non riescono a risolvere un marcato squilibrio
sociale nello sviluppo economico, conferiscono alla struttura del paese nel suo
complesso, a questo dragone ancora più vivo, una formidabile autorità sul XXI
secolo: “Il suo peso demografico, economico, politico e militare è destinato a
modificare gli equilibri del pianeta e a segnare l’epoca in cui viviamo. I
problemi energetici, il cambiamento climatico, le grandi sfide ambientali che
incombono sull’umanità non si possono risolvere senza un contributo decisivo
dei cinesi. La pace mondiale, la nostra sicurezza, la diffusione o
l’arretramento dei diritti umani dipendono anche dalle scelte compiute a
Pechino. Questa prospettiva sollecita in tutti noi interrogativi assillanti sul
ruolo della Repubblica popolare nelle vicende contemporanee. Sentiamo un
bisogno urgente di capire la natura profonda di questa nazione e del sistema politico
che la governa; di decifrare le intenzioni della sua classe dirigente; di
penetrare nella mentalità dei cinesi e nella loro rappresentazione del mondo”.
H. S. Glintzer, Cit., prefazione.