Un grande condottiero in soli
28 anni, eroe della debole Penisola vittima delle sue divisioni e continua preda di
battaglia. Con la morte del troppo giovane capitano cala il sipario su ogni
ambizione di autonomia degli Stati italiani
UN FULMIME SULLO SPEZZATINO ITALICO
Sul finire del ’400, nel periodo in cui la
sete di conquista di Francia e Spagna mostra tutta la sua pressione sugli Stati
italiani, mentre l’influenza delle Signorie si avvia verso una fase di indebolimento e si
rafforza – invece – quella del Papato; passa e fulmina rapida l’avventura di Giovanni de’ Medici, ultimo capitano
delle compagnie di ventura all’alba del Rinascimento. Una parabola di vita velocissima,
tra il 1498 e il 1526, che porta con sé nella tomba il tentativo di proteggere sotto
le insegne della Chiesa la frastagliata geografia italiana dalla minaccia di Carlo V.
Ma per questo tentativo non è sufficiente
il suo valore. Troppo debole, infatti, è la scena nazionale per resistere a
nemici ben più potenti: “Un’Italia frantumata in una galassia di Stati e
staterelli in lotta fra loro per un impossibile primato… Per tutto il
Quattrocento la Penisola fu teatro di scaramucce e guerricciole cittadine che
indebolirono le parti ostacolando e ritardando di secoli il processo
d’unificazione del Paese. Incapace di diventare una Nazione, esso finirà
infatti, come vedremo per trasformarsi in un campo di battaglia e di rapina di
eserciti stranieri, in una terra di conquista alla mercé del vincitore di
turno”. I. Montanelli, Storia d’Italia
1250-1600, pp.305-310.
Ma
Giovanni ci prova lo stesso, né potrebbe far altrimenti sentendo pulsare nelle
vene il sangue della sua famosa madre guerriera Caterina Sforza, Contessa di Forlì e nel 1500 implacabile
avversaria dei Borgia alla conquista della città: “Asserragliata nella rocca
con un pugno di fedeli, valorosamente rintuzzò gli assalti del nemico, ma dopo
alcuni giorni dovette arrendersi. Il vincitore magnanimamente le risparmiò la
vita, la spedì a Roma e la fece rinchiudere in convento… Una specie di virago già
diventata famosa in tutta la Penisola per essere salita sulle mura della città e
aver mostrato il ventre ai sudditi ribelli che stavano di sotto e minacciavano
di uccidere i suoi tre figli, urlando ‘ho
di che farne altri’…”. I. Montanelli, Storia
d’Italia 1250-1600, pp.337, 547.
Cresciuto anch’egli in convento, nel 1509 Giovanni
fa ritorno a Firenze alla morte della madre e sotto la tutela dell’influente politico
fiorentino Jacopo Salviati. Ben
presto mostra in tutta la sua evidenza un carattere impetuoso e spregiudicato,
tanto da arrivare ad uccidere un suo coetaneo in una lite e causandosi il bando
dalla città.
Segue a Roma il Salviati, appena nominato ambasciatore, dove entra
a far parte delle milizie pontificie per intercessione di papa Leone X (un de’ Medici come Giovanni).
Anche a Roma, però, riaffiorano le sue intemperanze allorché uccide il comandante
di un gruppo di armati della famiglia Orsini; una notizia che fa scalpore per
la sua giovane età e l’esperienza della vittima.
UN CAPOBANDA NEL NOME DELLA CHIESA
Arriva, così, al suo battesimo del fuoco come soldato papale nella guerra contro Urbino in cui esibisce una profonda trasformazione a capo della sua compagnia, diventando un innovatore dell’arte bellica e propugnatore della più ferrea disciplina e obbedienza.
UN CAPOBANDA NEL NOME DELLA CHIESA
Arriva, così, al suo battesimo del fuoco come soldato papale nella guerra contro Urbino in cui esibisce una profonda trasformazione a capo della sua compagnia, diventando un innovatore dell’arte bellica e propugnatore della più ferrea disciplina e obbedienza.
Le Bande di
Giovanni, per lo più costituite da italiani, diventano una classica espressione
della strategia di guerriglia con truppe leggere particolarmente mobili; dotate
di fortissimo spirito di corpo dove traditori, disertori e approfittatori vengono
messi a morte. È con questa forza d’urto
che nel 1520, seguendo la strategia di Leone X volta ad impedire i pericoli di
un’egemonia francese o spagnola, sconfigge diversi signorotti ribelli
marchigiani e umbri, aiutando allo stesso tempo gli Sforza a riprendersi Milano
contro i francesi di Francesco I.
Nel frattempo il Papa muore e Giovanni per
manifestare il lutto muta in nere le insegne delle sue schiere. È così che
nasce Giovanni dalle Bande nere ancora
in lotta contro i francesi sconfitti insieme alla fanteria svizzera a Caprino
bergamasco nel 1523. Con il nuovo pontefice, Clemente VII, cambiano le strategie contro
il dilagante Carlo V: nasce la Lega di
Cognac tra Francia, Papato, Firenze, Venezia e Milano per scacciare gli
imperiali dall’Italia.
I conflitti che ne seguono, tra il 1526 e il 1530,
segneranno il destino di Giovanni dalle Bande nere al comando delle truppe
pontificie contro i lanzichenecchi. Nel corso di una dura battaglia a Governolo
nel mantovano viene colpito alla coscia da un colpo di falconetto, la ferita è gravissima e si rende necessaria l’amputazione
della gamba con 10 uomini a tenerlo fermo per l’operazione, mentre esclama: “Neppure venti mi terrebbero se io non lo
volessi”.
Il poeta Pietro Aretino, suo grande amico e testimone del fatidico momento,
per incitarlo racconta: “Lasciatevi tor
via il guasto dell’artiglieria, ed in otto giorni potrete far reina l’Italia,
che è serva. E la mutilazione la terrete in luogo dell’Ordine del Re che mai
avete voluto portare al collo”.
“Facciasi
tosto”, risponde
l’eroe.
In quei frangenti, però, sopraggiunge la
cancrena e Giovanni al confessore: “Padre,
per essere io professore di armi, son vissuto secondo il costume dei soldati,
come anco avrei vissuto secondo quello dei religiosi, se avessi vestito l’abito
che vestite voi… Non feci mai cose indegne di me”.
E tra il pianto dei soldati
e dei familiari muore a ventotto anni gridando: “Non voglio morire tra fasce e bende”.
La sua morte trascinerà simbolicamente, e
per secoli, quella dell’Italia intera. I lanzichenecchi protestanti di Georg von Frundsberg dilagano
nell’Italia del Nord e si dirigono verso Roma mettendola a sacco nel 1527: “Contro
quella turba carica d’odio si fece solo, alla testa di scarsi drappelli,
Giovanni dalle Bande nere. Era l’ultimo grande condottiero italiano e lo
chiamavano così perché da quando era morto il suo grande patrono Leone X, non
aveva più smesso il lutto. Fu l’ultima avventura di questo prode e leale
capitano in cui rivivevano l’audacia e la spavalderia di sua madre, Caterina
Sforza. Cadde con la spada in pugno com’era vissuto e non aveva che
ventott’anni. Dopo di lui, Frundsberg non doveva incontrare più ostacoli sula
rotta della sua Strafexpedition… Una
coltre di paura e disperazione calò sull’Urbe… I lanzichenecchi si vendicarono
sulla popolazione abbandonandosi a un indiscriminato massacro. In poco tempo
più di diecimila cadaveri lastricarono il selciato e altri duemila
galleggiarono sul Tevere. Il bersaglio preferito furono San Pietro e il
Vaticano.
I saccheggiatori erano persuasi che le ricchezze ammassate lì dentro
fossero rubate nel loro paese da quei ladroni di Papi e cardinali, secondo
quanto andava dicendo Lutero… Le
basiliche furono trasformate in accampamenti e bordelli… Carlo V, quando ne fu
informato, declinò le proprie responsabilità; ma approfittò dell’accaduto per
imporre una pace umiliante al disfatto Papa”. I. Montanelli, Storia d’Italia 1250-1600, pp.455-457.
Le guerre di Cognac si concludono di fatto
con il definitivo dominio spagnolo sull'Italia.
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