Storia
dell’eroe nazionale portoghese che tiene in scacco Roma per lunghi anni con
ardite tecniche di guerriglia. La sua avventura inizia con un tradimento e
termina con un tradimento. E con essa avrà fine l’indipendenza della Penisola Iberica
GUERRIGLIA E VENDETTA DELL’IRRIDUCIBILE EROE DEL SUO POPOLO
I fuochi dell’ultima guerra punica si sono
spenti, intorno al 146 a.C., di Cartagine non resta che arida terra seminata a
sale perché non germogli più nulla, Roma si avvia a diventare padrona del
Mediterraneo ma non senza ulteriori difficoltà e spargimenti di sangue per
consolidare il suo dominio. La Penisola Iberica continua a dare forti
grattacapi e pesanti umiliazioni alle legioni, soprattutto da parte di Viriato, un pastore della Lusitania
(più o meno l’odierno Portogallo) che per vendetta si trasforma in valente
condottiero intraprendendo una serie di audaci assalti e rapidi ripiegamenti da
roccaforti montane fino ad arrivare allo scontro totale: “Dopo una lotta
diuturna del pari che sanguinosa i cartaginesi furono espulsi dalla Spagna, e
tutti i loro dominii nella Penisola vennero occupati dai Romani. Non fu che
dopo gravi pene e lunghi combattimenti, che le formidabili legioni giunsero a
sottomettere le parti più Settentrionali della Spagna e della Lusitania, le
quali fin’allora aveano conservata la loro indipendenza… I Romani non godettero
pacificamente del loro dominio nella Lusitania; e corsero poi pericolo di
perderlo quando surse il famoso Viriato, che, abbandonata la paterna capanna,
chiamò i suoi compatrioti a scuotere il giogo di Roma, ed a far pentire gli
avari governatori delle avanie e delle crudeltà commesse”. Società Letterati
Italiani, Usi e costumi di tutti i popoli
dell’universo – Storia del Governo, delle leggi, della milizia, della religione
di tutte le nazioni da più remoti tempi fino ai giorni nostri, Vol.3,
p.184.
Ma ancor prima di sbaragliare
definitivamente i Cartaginesi, i Romani sono già impegnati da mezzo secolo sul
fronte spagnolo dove “hanno costituito due province lungo la costa meridionale
e orientale, ma nella foga di raggiungere il possesso e lo sfruttamento delle
miniere d’argento di cui la penisola era ricca, erano andati ad impelagarsi in
una lotta apparentemente senza fine contro le tribù dell’interno, la cui
autonomia gli stessi cartaginesi avevano preferito rispettare. Irriducibili si
erano mostrati in special modo i lusitani, guidati da un abile capo, Viriato,
che solo il tradimento riuscirà a sconfiggere…”. A. Frediani, I Grandi generali di Roma antica, pp.
112-113.
È infatti il tradimento la culla della sua
fortuna, come un tradimento segnerà il realizzarsi del suo destino.
PULIZIA
ETNICA E FIUMI DI SANGUE ROMANO
Viriato respira aria di guerra sin dalla nascita
poiché la Lusitania, zona ricca di giacimenti minerari ma montagnosa e
piuttosto povera, spinge la popolazione alla razzia delle terre confinanti e
più fertili. A farne le spese sono le tribù dei Vettoni e dei Celti. Con
l’arrivo dei Romani, dal II secolo a.C., si alternano periodi di scontri ad
accordi di pace violati ripetutamente. È il console Galba, antenato del futuro imperatore Servio Sulpicio Galba, a capire che la povertà del suolo lusitano
non può consentire ai suoi abitanti di vivere senza prendere di mira terre più
floride. Così, come soluzione definitiva, ne propone il trasferimento. E qui
nasce l’inganno: “Nel 150 a.C., il giorno stabilito, i Lusitani si radunarono
in tre gruppi distinti in attesa della nuova sistemazione. Galba insistette
perché consegnassero le armi, ormai superflue per la nuova vita agraria. Poi,
quando la popolazione era divisa in tre gruppi inermi, Galba ordinò
all’esercito di circondare ciascun gruppo per volta e massacrare tutti, uomini,
donne e bambini…”. P. Matyszac, I Grandi
nemici di Roma antica, pp.55-56.
Un tentativo di pulizia etnica, tuttavia,
andato a vuoto perché non tutti i Lusitani cadono nella trappola. Tra questi,
un pastore di nome Viriato. A capo di temibili bande armate, dimostrando
abilissime doti di comandante, ha inizio un lungo percorso di vendetta: “Fra
què che scamparono ci avea Viriato, il quale, bramoso di vendetta, armò quelli
che si sottrassero alla strage e quelli che per una ragionevole diffidenza o
per altri motivi non aveano dato retta agl’inviti di Galba. Ei li condusse su
quel campo stesso ove i cadaveri de’ loro parenti e compagni erano già stati
per metà divorati dalle belve, e ove i figliuoli erano stati scannati in grembo
alle loro madri, e le donzelle uccise presso i loro consanguinei e amanti.
Viriato vi riconobbe una delle sue figliuole, pose le mani sulle sue ferite, e
giurò per tutte le divinità infernali, che giammai non avrebbe deposte le armi
finché non avesse sparsi fiumi di sangue romano per vendicare sì atroci misfatti”.
Società Letterati Italiani, Cit.,
p.185.
La pietà non ha spazio, come si vede nella
prima tappa dello scontro in Carpetania,
sede di stanziamento delle migliori truppe romane: “Dopo aver devastato quel
territorio, volle legare più che mai alla sua causa coloro che l’aveano
abbracciata, e preparò un’orrenda cerimonia. Sacrificò di sua propria mano un
cavaliere di Roma da lui fatto prigioniero; ed i suoi soldati, ponendo l’un
dopo l’altro la loro destra nelle viscere della vittima, giurarono di bel nuovo
che farebbero un’eterna guerra ai Romani…”. Società Letterati Italiani, Cit., p.185.
Il primo comandante di rango a farne le
spese sarà poi il pretore romano Gaio
Vetilio, tra il 147 e il 146 a.C. Tirandosi fuori da una città fortificata
e assediata dai Romani, Viriato decide per la battaglia: “Dopo che i Romani si
furono schierati, i Lusitani si sparpagliarono cercando di mettersi in salvo
ognuno per conto proprio. Vetilio radunò in fretta la cavalleria, ma questa non
fu in grado d’inseguire i fuggiaschi perché Viriato aveva tenuto mille dei suoi
cavalli e cavalieri per coprire la ritirata. La cavalleria romana avrebbe
dovuto per prima cosa infrangere questa barriera ma i Lusitani rimasero al di
fuori della sua portata e la intrattennero con una serie di scaramucce finché i
soldati di fanteria non ebbero raggiunto il terreno accidentato e la salvezza.
Con i cavalli più veloci e cavalieri più leggeri, Viriato superò in velocità la
cavalleria romana e si unì sano e salvo al suo esercito… Vetilio lo inseguì e
Viriato fece finta di ripiegare, attirando invece i romani in un’imboscata.
L’agguato fu un successo su tutti i fronti. Intrappolati tra i Lusitani e
l’orlo di un dirupo, circa quattromila dei diecimila uomini dell’armata romana,
tra cui lo stesso Vetilio, furono uccisi”. P. Matyszac, Cit., p.58.
Da qui in avanti saranno molti i Romani a
cadere sotto le sue armi, tanto da arrivare a controllare buona parte del
territorio lusitano. Inaccettabile per i conquistatori del mondo!
UNA
LUNGA LISTA DI GENERALI SCONFITTI E UMILIATI
1 – Dopo Vetilio è la volta di Caio Plauzio, aggredito mentre i Romani
stanno sistemando il proprio campo. L’avventura di questo nuovo comandante si
conclude nel ritiro della legione nei quartieri invernali e nel rifiuto di dar
battaglia anche quando le bande di Viriato cominciano a saccheggiare il
territorio dei Celtiberi.
2 – Sconfitto Plauzio arriva Claudio Unimano che vedrà il suo
esercito quasi annientato: “Egli ebbe ricorso a tutti gli stratagemmi possibili
per trarre Viriato nelle insidie; ma costui si mostrò scaltro al pari del suo
avversario; e finalmente allorquando ambidue furono in certa qual guisa stanchi
di ricorrere ad accorgimenti della tattica militare, si affrontarono quasi per
tacito accordo… Viriato trionfò nuovamente, e la sua vittoria fu più compita e
più luminosa delle precedenti. I Romani perdettero le loro aquile, le altre
insegne, e perfino i fasci del generale. I vincitori, raccolte tutte queste
spoglie, ne formarono un trofeo, che innalzarono nel luogo della montagna più
esposto agli sguardi”. Società Letterati Italiani, Cit., p.186.
3 – Tocca a Quinto Fabio Massimo Emiliano, forte di un esercito di
15.000 soldati di fanteria e 2.000 di cavalleria: “Dopo aver incontrato e sconfitto
un altro subalterno di Fabio Emiliano, Viriato era pronto ad affrontare il
generale in persona. Ma questi, sapendo che le sue truppe erano inesperte e
poco addestrate, rifiutò uno scontro decisivo. Alla Spagna si offrì quindi lo
spettacolo di soldati che chiedevano ripetutamente battaglia a un esercito
consolare romano che, altrettanto fermamente, la rifiutava. Finalmente, nel 144
a.C., Fabio Emiliano corse il rischio di una battaglia e respinse i Lusitani,
ma il prestigio di Roma era ormai compromesso”. P. Matyszac, Cit., p.59.
4 – Si passa a Quinto Pompeo, accolto dal solito schema con attacco e ritiro verso
le montagne: “Quinto ruppe Viriato presso Evora: ed il generale si ritirò di
bel nuovo sul Monte di Venere. Egli esortò i suoi soldati a vendicare la loro
disfatta, ed assalì dal suo canto Quinto, che fu costretto di fuggirsene a
Cordova dopo aver perduti quindicimila uomini”. Società Letterati Italiani, Cit., pp.186-187.
5 – L’impegno romano cresce con Quinto Fabio Serviliano a capo di due
intere legioni (circa 16.000 uomini), 1.600 soldati di cavalleria e degli
elefanti donati dal re Micipsa di
Numidia: “Inizialmente i Romani ottennero qualche successo e ricacciarono
Viriato in Lusitania. Inoltre Serviliano isolò e massacrò alcune bande di
guerriglieri che operavano al di fuori dell’armata di Viriato e conquistò
diverse città precedentemente sotto il controllo lusitano. Ma nel 141 a.C.
prese la fatale decisione di assediare una località di nome Erisone. L’assedio
non fu strettissimo e nottetempo Viriato riuscì a penetrare con un vasto
reparto entro le mura. Al mattino, questi rinforzi insieme alla guarnigione
fecero una sortita assalendo i Romani che si ritirarono nel caos più totale…
L’incessante battaglia giunse al termine in una valle, di cui Viriato aveva
preso la precauzione di chiudere l’uscita con una possente fortificazione…
Serviliano si trovò del tutto inerme nella trappola preparatagli dagli iberi
rischiando l’annientamento… Date le circostanze, deve essere stato con notevole
trepidazione che scelse l’unica via possibile. La resa incondizionata”. P.
Matyszac, Cit., pp.59-60.
E in questa circostanza che Viriato
dimostrerà di possedere non solo doti militari ma anche politiche: impone al
nemico condizioni piuttosto miti e chiede che Roma riconosca l’indipendenza
della sua terra. La domanda più semplice sarebbe: perché Viriato non sfrutta
l’occasione per annientare il nemico? La risposta è altrettanto semplice:
perché si rende conto che non può condurre una guerra eterna contro un
avversario che ha risorse e mezzi illimitati come dimostrato nei decenni appena
trascorsi delle Guerre Puniche, ben
più determinanti per Roma della sorte della Lusitania: “Viriato e i suoi uomini
erano forse stanchi di continue battaglie. Se avessero passato a fil di spada i
nemici… Roma non avrebbe mai dimenticato e perdonato. Sarebbe stata una lotta
all’ultimo sangue. Solo imponendo mitissime condizioni Viriato pensava di poter
ottenere un trattato di pace dal senato romano, rinomato per la sua arroganza.
E così fu. L’accordo, per quanto di malavoglia, fu ratificato”. P. Matyszac, Cit., pp.60-61.
L’INGANNO
DEL PIÙ FORTE E IL SEME INNATO DEL TRADIMENTO
A pace fatta e con l’arrivo del nuovo
Governatore, Servilio Cepione, si
torna al punto di partenza: i Lusitani sono troppi e il paese non può offrire
tutto ciò che serve per il loro sostentamento. La sopravvivenza, dunque, sta
nel saccheggio delle zone circostanti. Per quanto Viriato tenti di tenere a
freno gli istinti del suo popolo, non riesce a cancellare la convinzione presuntuosa
che i Romani possono essere sconfitti a proprio piacimento. Così “Cepione iniziò
una serie di calcolate provocazioni, mettendo alla prova la tolleranza del
senato da una parte e la pazienza di Viriato dall’altra. Seppur incoraggiando
sottobanco Cepione, il Senato non avrebbe mai acconsentito a venir meno alla
parola data. Forte di questa convinzione, Viriato non cedette alle
provocazioni, ma pare che alla fine alcune della teste più calde prendessero in
mano la situazione e fornissero ai Romani la scusa per infrangere l’accordo si
pace. Nel 140 a.C. riprese la guerra”. P. Matyszac, Cit., p.61.
Ma Viriato riprende le armi di malavoglia,
ritiene ancora possibile un accordo e invia tre suoi uomini di fiducia da Cepione
per negoziare un nuovo accordo. Questi accoglie gli ambasciatori lusitano
prospettando loro la possibilità di godere di enormi agi e ricchezze uccidendo
Viriato: “A causa dei numerosi allarmi notturni, Viriato dormiva con indosso l’armatura.
D’altro canto, egli riceveva messaggeri e tenenti a qualsiasi ora, perciò i
delegati di ritorno furono ammessi nella sua tenda senza problemi. Una volta
entrati, lo pugnalarono alla gola – l’unico punto non protetto dall’armatura –
e fuggirono verso le linee romane prima che l’assassinio venisse scoperto”. P.
Matyszac, Cit., p.62.
I traditori di Viriato, scacciati dal campo
romano, non otterranno mai la ricompensa promessa e i Lusitani, perso il loro
grande capo, non avranno più la forza di reagire. L’intera penisola Iberica è
ora in mano ai Romani che sistemano ciò che resta di quel popolo fiero in terre
più fertili per il loro sostentamento senza dover ricorrere al brigantaggio: “Saggiamente,
Cepione fece quello che aveva promesso Galba nel 150… L’Iberia occidentale era
in pace. Quello che in anni di guerra aperta non erano riusciti a fare
onorevoli generali, l’aveva risolto con l’inganno in un’unica campagna un
subdolo spavaldo”. P. Matyszac, Cit.,
pp.62-63.
Del resto la guerra è guerra, e il più
forte si rivela sempre colui che insegue e ottiene la vittoria con ogni mezzo. I
Lusitani perdono l’indipendenza, ma più avanti nel Medioevo, nell’era delle
grandi esplorazioni, i portoghesi scopriranno a loro vantaggio l’ebbrezza del
potere e del dominio su altre popolazioni.