L’instancabile
frenesia della divinità greca per entrare a pieno titolo nell’Olimpo. Da un
umile antro, tra astuzie, invenzioni, prodezze, decine di amanti illustri e una
virile discendenza, marca la sua impronta su ogni aspetto dell’esperienza umana
DA UNA CAVERNA IL DIO TRA GLI UOMINI
Messaggero degli dèi; dio della
comunicazione e dell’inganno, di oratori, letteratura, poeti, atletica,
invenzioni e commercio; protettore di viandanti, vagabondi e ladri; psicopompo (accompagnatore dello spirito
dei morti) e molto altro ancora… Insomma, ha il suo bel da fare Ermes, che non è completamente dio di
nascita – procreato in una caverna e non sull’Olimpo – ma lo diventa in seguito
grazie all’insieme e all’imposizione delle sue caratteristiche. Si configura
quale intermediario fra gli uomini e gli dèi con specificità a loro modo
contradditorie dovendo offrire una soluzione a tutti (buoni o cattivi, onesti o
corrotti). Egli stesso, quindi, si farà ladro o distribuirà generosità; ma allo
stesso tempo è benevolo e filantropo.
La storia, quella documentata e provata,
può permettersi di accogliere volti e narrazioni legate al mito e perciò prive
di orme realmente segnate nell’esistente? Si potrebbe rispondere che la storia
ci aiuta a spiegare fondatamente come e perché l’uomo o un’intera società abbia
compiuto un’azione precisa, il mito o la storia sacra invece ci ripropongono
l’eterno e irrisolto dilemma del mistero dell’essere umano e della sua natura:
“Per il credente, nella nostra civiltà, i racconti biblici – dalla creazione
del mondo in poi – sono storia vera, ma anche storia sacra in cui bisogna credere. Anche le religioni non dottrinali
conoscono storie sacre: in esse si crede spontaneamente, senza alternative, noi
le chiamiamo miti… Ogni mito narra di un evento, per opera di personaggi
diversi da quelli attuali, in seguito al quale qualcosa che prima non c’era
stato avrebbe preso origine o qualcosa che prima era stato diverso sarebbe
diventato com’è attualmente. Per lo più, tuttavia, il mito racconta l’origine
di ciò che è ritenuto importante… Da quanto si è detto sulla forma e sul
contenuto dei miti, discendono quasi spontaneamente le conclusioni sulla loro
funzione o ragion d’essere… Il mito rende accettabile ciò che è necessario
accettare (es. la mortalità, le malattie, il lavoro, la sottomissione
gerarchica, ecc.)… Il mito, dunque, non spiega, per un bisogno intellettuale,
le cose. Ma le fonda, conferendo loro valore… Ogni mito è una vicenda che
implica almeno un personaggio, ma normalmente più di uno. Questi personaggi del
mito sono extra-umani”. A. Brelich, Introduzione alla storia delle religioni,
pp.7-13.
Uno di questi è per l’appunto Ermes! E al
fine di indagare il flebile anello di congiunzione tra storia e mito sul
destino quotidiano degli uomini, giunge in nostro soccorso la cultura greca che
vede in lui “la divinità che presiede alla comunicazione, in tutte le sue
molteplici forme. Non solo perché lo strumento privilegiato del dio è la
parola, ma soprattutto perché la sua azione consegue un atteggiamento mentale
medianico che cerca la contiguità del reale. Nella mente greca, l’universo può
essere avvertito come una congerie di elementi discreti, staccati l’uno
dall’altro e esterni alla coscienza. In alternativa, il cosmo – nella sua
articolazione complessa – può essere letto come una trama di parti, connesse
l’una all’altra e riconoscibili dalla mente perché compatibili con le sue
categorie cognitive. Questa visione del mondo corrisponde alla cifra ermetica,
che unisce e compone: Ermes, come figura divina del continuum fenomenico, è una sorta di mediatore universale. Ciò
spiega le sue competenze di messaggero e mercante, e anche il patronato sulle
attività e le situazioni legate a un passaggio: il viaggio, l’assopimento e il
risveglio, il trapasso dalla vita alla morte, il linguaggio e la forza suasiva
in esso riposta”. G. Zanetto, I miti
greci, p.171.
Per i suoi compiti plurimi così
prossimi all’uomo, dunque, Ermes si rivela il più umano tra gli dèi; generato
da Zeus e dalla pleiade Maia (bellissima ninfa, simbolo della
primavera) non direttamente sull’Olimpo ma in una grotta del Monte Cillene in
Arcadia (periferia del Peloponneso). Un dio tra gli uomini esecutore della
volontà paterna. Infatti nell’Atene periclea del V secolo a.C., lì dove in un
certo senso risiedono la libera circolazione delle idee e le fondamenta della
società democratica, è il sofista Protagora
a narrare che “Zeus temette per la nostra specie, minacciata di andar
distrutta; così mandò il suo messaggero, Ermes, sulla terra con due doni che
avrebbero reso gli uomini capaci di praticare finalmente l’arte politica con
successo e di fondare città dove potessero vivere insieme nella sicurezza e
nell’armonia. I due doni mandati da Zeus sono aidos e dike. L’aidos è
il senso di vergogna, la preoccupazione per l’opinione degli altri. È la
vergogna che prova il soldato nel tradire i suoi compagni sul campo di
battaglia, o il cittadino sorpreso a fare qualcosa di disonorevole. Dike in
questo caso significa rispetto per i diritti degli altri. Ciò implica un senso
di giustizia e rende possibile la pace civile risolvendo le dispute per mezzo
dei giudizi. Acquisendo aidos e dike, gli uomini si sarebbero almeno assicurati
la sopravvivenza”. I. F. Stone, Il
processo a Socrate, pp.54-55.
Il filosofo utilizza questa cronaca
mitologica nel corso del processo a Socrate,
criticandone le osservazioni sul funzionamento dell’assemblea popolare allorché
quest’ultimo sostiene “che quando il
corpo governante della città deve occuparsi di un progetto di costruzione,
manda a chiamare gli architetti per consiglio. Se la sua flotta o la sua marina
devono essere potenziate, l’assemblea manda a chiamare i costruttori navali. Se
un incompetente prova a prendere la parola, anche se bello, ricco, nobile, i
cittadini riuniti in assemblea si mettono a ridere. Ma quando l’assemblea si
riunisce per discutere fondamentali questioni di governo, indifferentemente si
leva a dare il suo consiglio un architetto, un fabbro, un calzolaio, un
commerciante, un marinaio, un ricco, un povero, chi è di nobile nascita e chi
non lo è e nessuno muove loro rimproveri per la loro mancanza di istruzione o
di pratica nelle questioni che sono in discussione”. I. F. Stone, Cit., p.54.
Questa osservazione viene vista come una
mina assai pericolosa sui quei principi democratici che, invece, sin dai tempi del legislatore e riformatore Solone prevedono il diritto di voto
nelle assemblee e nelle giurie per tutti i cittadini maschi.
Un processo democratico ispirato ancor
prima dallo stesso Zeus che, alla domanda di Ermes se distribuire aidos e dike
proprio a tutti, gli risponde: “A tutti,
e che tutti ne abbiano parte perché le città non potrebbero esistere se solo
pochi possedessero aidos e dike. Tutti devono partecipare di quei doni perché
la vita sociale sia possibile. Istituisci, dunque, a nome mio una legge una
legge per la quale sia messo a morte come peste della città chi non sappia
avere in sé pudore (aidos) e giustizia (dike)”. I. F. Stone, Cit., p.55.
A Protagora il racconto serve per trarre e
offrire deduzioni implicite sul metodo decisionale relativo a questioni
politiche: “Gli ateniesi hanno ragione
nel lasciar parlare tutti coloro che lo desiderano, convinti, come sono, che
tutti debbano essere partecipi di questa virtù perché possano esistere in
città… Adeguatamente, Socrate, ti è stato dimostrato, come almeno mi sembra,
che non a torto i tuoi concittadini permettono che un fabbro, un calzolaio,
chiunque sia ascoltato nelle deliberazioni politiche e che non a torto
ritengono che la virtù possa essere insegnata e si possa acquisire”. C.
Mossé, Pericle, p.170.
Ecco l’interventismo,
l’immanenza, della divinità greca sui fatti umani. Ermes esegue gli ordini e
parte per la terra a distribuire aidos e dike. Ecco un dio “concreto” esattamente
opposto al fratello e futuro alleato Apollo,
interprete e profeta di Zeus, rappresentazione della lontananza incommensurabile
della natura divina: “Queste due divinità rappresentano infatti i due estremi
entro i quali pencola il sentimento greco della vita e dell’uomo… La mente
greca, posta di fronte al problema religioso, è caratterizzata da una singolare
oscillazione: da un lato riconosce l’infinita distanza tra mortali e immortali,
dall’altro avverte che una scintilla divina è comunque presente nel cuore
imperfetto degli uomini… La differenza tra i due è scritta già, simbolicamente,
nelle diverse circostanze della loro epifania: Apollo appare all’improvviso sull’Olimpo,
suscitando sorpresa e paura; Ermes esce dalla grotta montana dove Maia l’ha
partorito. L’umidità tiepida – che rimanda al tepore della carne irrorata di
sangue – è ciò che produce Ermes e impronta per sempre la sua azione”. G.
Zanetto, Cit., p.172.
INNI
ALL’INVENTORE, LADRO, FURBO, GENEROSO E FRATERNO
Ermes svela sin dalla nascita le sue doti,
puntigliosamente descritte in alcuni anonimi inni omerici, che nell’episodio
della lira e del furto delle vacche di Apollo mostrano chiaramente l’inventiva,
la furbizia e la scaltrezza del dio ancora in fasce: “Un dio che non è tra i
più grandi tra quelli di primo piano… Bambino appena nato (non da una grande
dea, in una grotta) Ermes si alza dalla culla per intraprendere una grande
azione che gli assicuri un posto tra gli altri dèi dell’Olimpo. Ma ancora sulla
porta si imbatte in una tartaruga e non tarda ad ucciderla e a preparare dal
suo guscio la prima lira (invenzione); solo dopo quest’episodio egli parte per
realizzare il suo piano: ruba gli armenti del dèi, custoditi da Apollo, e li fa
camminare a ritroso per confondere le tracce del furto (astuzia, inganno)… Poi
ritorna nella sua culla e, all’arrivo di Apollo, nega e spergiura (Ermes dio
del furto e dello spergiuro anche nell’Odissea) richiamandosi all’evidenza che
egli è appena nato. La lite finisce davanti a Zeus che ride dell’accaduto, e
finalmente i due fratelli si mettono d’accordo: Ermes cede la lira ad Apollo
(che così diventa dio della arti musiche) ed Apollo gli dà in cambio le
funzioni del pastore divino”. A. Brelich, Cit.,
pp.209-210.
… Ma quando si compì la volontà del grande
Zeus e nel cielo si volse per lei il decimo mese, il bimbo nacque, e venne in
chiaro ogni cosa.
Essa generò un figlio versatile, dalla
mente sottile, un predone ladro di buoi, signore dei sogni: uno che spia nella
notte accanto alle porte, destinato a compiere ben presto grandi imprese fra
gli dèi immortali.
Nato al mattino, a mezzogiorno già suonava
la cetra, e la sera rubò le vacche di Apollo arciere. Quando uscì fuori dal
grembo immortale della madre, non rimase a lungo tranquillo nella culla sacra, ma
si alzò in piedi e varcò la soglia dell’antro spazioso, cercando le vacche di
Apollo.
Là fuori trovò una tartaruga, e ne trasse
infinita gioia: Ermes fu il primo a produrre una tartaruga canora…
Così dicendo, la prese con entrambe le mani
ed entrò in casa, portando il grazioso giocattolo. Rovesciò la tartaruga
montana e con una lama di grigio ferro ne cavò fuori il midollo…
… Tagliò canne di giunco nella giusta
misura e le fissò nel guscio della tartaruga, dopo aver praticato dei fori.
Tutt’attorno distese con arte una pelle di
bue; applicò due bracci e li unì con un ponticello, e tese sette corde di
minugia di pecora, ben intonate.
Quand’ebbe terminato il grazioso
giocattolo, lo impugnò e col plettro saggiò le corde, a ritmo: un tintinnio
acuto rispose al tocco della mano. Il dio intonò un canto soave…
… E mentre cantava già meditava altre
imprese nel cuore.
Inno omerico a Ermes 1-62
Questa invenzione servirà davvero per la
sua prima vittoria dopo il furto dei sacri bovini in cui spende grande arguzia
e dissimulazione:
Il figlio di Maia, l’Arghifonte dall’occhio
acuto, staccò dalla mandria cinquanta vacche mugghianti e le spinse per la
spiaggia sabbiosa, per vie traverse, rovesciando le orme; memore dei suoi
trucchi, invertì gli zoccoli, quelli davanti dietro e quelli dietro davanti:
lui invece cammina di fronte…
… Fece saziare d’erba le vacche mugghianti e
le spinse compatte nella stalla…
… Prese un bel ramo d’alloro e lo scorticò
col ferro, impugnandolo saldamente: una calda vampa si diffuse; Ermes fu il
primo a mostrare l’accensione del fuoco.
Prese molta legna asciutta e dura e
l’accumulò in abbondanza in una fossa profonda: la fiamma brillò, diffondendo
lontano la vampa del fuoco ardente…
… Spinse fuori vicino al fuoco due vacche
mugghianti, dalle corna ritorte: aveva dentro una grande energia; le sospinse a
terra entrambe, sulla schiena, ansimanti, poi si chinò, le girò, le trafisse al
collo.
Aggiungeva fatica a fatica, tagliando la
carne ricca di grasso: la infilzò su spiedi di legno e l’abbrustolì, la carne
insieme alle schiene pregiate e al nero sangue chiuso nelle viscere…
… Dopo aver compiuto ogni cosa nel modo
dovuto, il dio gettò i sandali nell’Alfeo dai gorghi profondi. Spense la brace
e disperse la nera cenere, mentre ancora era notte: risplendeva la bella luce
di Selene…
… Si diresse subito ai pingui penetrali
della grotta, leggero sui piedi: non si sentiva il rumore dei passi. Rapidamente
il glorioso Ermes entrò nella culla: con le fasce attorno alle spalle, giaceva
come un neonato, giocando ad avvolgere con le mani la coperta alle ginocchia, e
tenendo nella sinistra l’amabile tartaruga.
Ma, sebbene dio, non sfuggì alla madre
divina, che gli disse: “Che hai fatto
briccone? E da dove arrivi a quest’ora di notte, svergognato… … Va alla malora!
Tuo padre con te ha generato un gran guaio per gli uomini mortali e per gli dèi
immortali”.
Ed Ermes le rispose con parole abilissime: “Mamma, perché vuoi spaventarmi, come se
fossi un bambino che non parla e ha poca esperienza nel cuore, pieno di paura
per i rimproveri della madre? Invece io mi dedicherò all’arte più lucrosa di
tutte, e provvederò a me e a te in futuro; noi due non dovremo restarcene qui
senza offerte e senza preghiere, soli fra gli dèi immortali, come tu vorresti. È
meglio passare la vita in compagnia degli dèi, ricco e ben fornito di campi,
che rimanere qui, in questa grotta fumosa. E quanto all’onore, avrò anch’io gli
stessi privilegi di Apollo. Se mio padre non me li darà, allora cercherò di
diventare il signore dei ladri: ne ho certo le doti”...
(Apollo non fatica molto a scoprir
la verità, ndr)
… “Bimbo
che stai nella culla, dimmi subito dove sono le vacche. Se no, aspettati un
brutto litigio. Ti scaglierò giù nel Tartaro tenebroso, nell’oscurità maledetta
e senza scampo: né tua madre né tuo padre ti riporteranno alla luce, ma
vagherai sotto terra, regnando su genti perdute”.
Ermes gli rispose con un abile discorso: “Figlio di Letò, perché queste parole così
severe? E perché vieni qui a cercare le vacche dei tuoi campi? Non le ho viste,
non so e non ho sentito nulla; non posso darti informazioni e chiederti un
compenso. Ho forse l’aspetto di un robusto ladro di buoi? Non mi occupo di
queste cose: ho altri interessi…
…
Sono nato ieri: ho i piedi teneri, e il terreno è duro. Se vuoi, te lo giuro
solennemente sulla testa di mio padre”…
… L’arciere Apollo accennò un sorriso e
rispose: “Bugiardo! Che gran briccone che
sei! Da come parli, credo proprio che ti introdurrai spesso nelle case dei
ricchi, di notte, e lascerai molte persone sul lastrico, svaligiando la casa
senza rumore… … Andiamo da Zeus Cronide: lui ti darà torto o ragione”…
… Presto i bellissimi figli di Zeus
arrivarono sulla sommità dell’Olimpo odoroso e alla casa del padre Cronide, dove
per entrambi era pronta la bilancia della giustizia…
…
“Padre, sentirai ora una storia interessante, tu che mi rimproveri di essere
avido di bottino. Ho trovato questo bimbo – un furfante matricolato – sul monte
Cillene, dopo un lungo cammino: così sfrontato non ne conosco nessuno, né fra
gli dèi né fra gli uomini che sulla terra vivono di ruberie. Ieri sera ha
rubato le mie vacche dal pascolo e le
ha portate via lungo la riva del mare risonante, dritte a Pilo: ha lasciato due
serie di tracce, stranissime e stupefacenti, opera di un dio possente”…
… Dopo queste parole, Febo Apollo si
sedette.
Ermes tenne ben altro discorso fra gli
immortali, dopo aver salutato il Cronide, signore di tutti gli dèi: “Padre Zeus, sii certo che ti dirò la
verità: sono sincero, infatti, e incapace di mentire. È venuto a casa nostra a
cercare le vacche dondolanti, stamane, poco dopo il sorgere del sole; ma non
portava come testimone oculare nessuno degli dèi. Mi ordinava con molta
insistenza di parlare, e più volte minacciava di gettarmi nell’ampio Tartaro, solo
perché lui è nel pieno fiore dell’ambiziosa giovinezza e io invece sono nato
ieri. Ho forse l’aspetto di un robusto ladro di buoi? Credimi, visto che ti
vanti di essere mio padre: non ho portato a casa le vacche – così possa aver
fortuna – non ho neanche oltrepassato la soglia: è la pura verità”…
… Rise forte Zeus, vedendo con quanta
scaltrezza negava il furto della vacche quel suo malizioso figliolo. Ordinò poi
che di comune accordo tutti e due si mettessero alla ricerca, e che facesse da
guida Ermes, il messaggero, e indicasse senza più trucchi il luogo dove aveva
nascosto le vacche dalla testa robusta…
… I due bellissimi figli di Zeus si diressero
in fretta a Pilo sabbiosa e arrivarono al guado dell’Alfeo. Raggiunsero i campi
e la stalla altissima dove le bestie erano state custodite nelle ore notturne. Qui
Ermes entrò nell’antro roccioso e ricondusse alla luce le vacche dalla testa
robusta.
Apollo, guardando di lato, vide le pelli sulla
rupe scoscesa, e subito chiese al glorioso Ermes: “Come sei riuscito, furbetto, a scuoiare due vacche, tu che sei così
piccolo? Mi chiedo quale sarà la tua forza in futuro. Bisogna proprio che tu
non cresca troppo, Cillenio, figlio di Maia”.
Così disse, e gli strinse le mani con saldi
legacci di vimini; ma questi si radicarono a terra sotto i suoi piedi, si
avviticchiarono fra loro e avvilupparono facilmente tutte le vacche, abitatrici
dei campi, per volontà di Ermes dai pensieri nascosti. Apollo si stupì a quella
vista.
Allora Ermes scrutò furtivamente il
terreno, cercando di nascondere la fiamma del suo sguardo; e facilmente riuscì
nell’intento di placare l’arciere, il figlio glorioso di Letò, pur così ostile.
Tenendo la lira nella sinistra lo saggiò col plettro, a ritmo: e quella, al
tocco della mano, risuonò melodiosa. Sorrise Febo Apollo, deliziato: gli arrivò
al cuore il suono armonioso dello strumento divino…
… Apollo fu preso nel cuore da un
sentimento struggente, e così gli parlò con alate parole: “Macellaio, faccendiere instancabile, compagno di mensa, questo canto
vale davvero cinquanta vacche! Credo proprio che andremo d’accordo… … Ora,
poiché sei così sapiente, per quanto piccino, siediti, caro, e ascolta le
parole di chi è più anziano.
Presto
avrete grande fama fra gli dèi immortali, tu e tua madre. E sta’ certo di
questo: ti giuro sulla mia lancia di corniolo che io ti farò diventare glorioso
e beato fra gli immortali, ti darò splendidi doni e non ti tradirò mai”.
Inno omerico a Ermes 68-462
INNUMEREVOLI
FATICHE MA SEMPRE TEMPO PER LE “DONNE”
Ed Ermes sarà un dio a tutti gli effetti,
ed avrà certamente molta fama, impressa da Omero
nelle sue opere, o ancor di più in un lungo elenco di celebri amanti e figli
dotati…: “Manifesta qualche carattere grossolano e indecente, ciò risponde al
suo spiccato erotismo cui allude già l’Iliade e ai suoi poteri di datore di
fecondità, variamente attestati… Egli viene concepito come un aspetto
permanente della realtà, che si manifesta su tutti i piani di questa, e così il
cosmo divino greco lo include tra i propri fattori eterni”. A. Brelich, Cit., pp.210-211.
Sono diverse, infatti, le relazioni amorose
che gli vengono attribuite e che lo rappresentano come dio fallico e fecondo.
Tra le sue conquiste: sacerdotesse, principesse, ninfe e amazzoni; la più
famosa, e invidiabile, è certamente Afrodite
dea dell’amore che “presiede all’attrazione e all’incontro sessuale: è una
forza insieme biologica, psicologica e affettiva. La sua azione è inesorabile:
nulla, fra tutto ciò che esiste, può resisterle, né uomini né dèi, né esseri
raziocinanti né animali bruti. I miti che la riguardano raccontano vicende
d’amore, in cui la dea interviene come protagonista attiva o come suscitatrice
di desiderio, e talvolta in entrambi i ruoli. Sono storie spesso violente, non
di rado tragiche, poiché i Greci avvertivano l’eros come una passione
lacerante, capace di travolgere ogni assetto costituito: in esso vi è la radice
di una verità nuova e più autentica, ma anche il pericolo dell’accecamento e
della follia”. G. Zanetto, Cit.,
pp.101-102.
Diverse fonti derivanti dai poeti, per
quanto indimostrabili o contrastanti, assegnano ad Ermes ed Afrodite un’ampia
discendenza tra cui Priapo, simbolo dell’istinto
sessuale e della forza generativa, a conferma dell’origine di Ermes come
divinità fallica.
E ancora, Ermafrodito,
dio bisessuale simbolo di doppiezza dai vasti poteri d’inseminazione e
riproduzione, così fatto perché gli viene concesso di congiungersi alla ninfa Salmace di cui si innamora diventando
metà uomo e metà donna.
Altra illustre conquista del nostro dio, e
se così fosse sarebbe sconvolgente, la famosa Penelope; non è dato sapere se prima del matrimonio o durante
l’attesa del glorioso marito mentre disperata tesse e disfa la tela. Ciò naturalmente non arreca alcun danno ai
rapporti tra Ermes e Ulisse che al
contrario, come desumiamo dall’Odissea, riceverà la sua benevolenza
nell’episodio di Circe: “Dove
vai solo per queste colline, infelice, senza conoscere i luoghi? I tuoi
compagni in casa di Circe sono rinchiusi, come maiali, in solide stalle. Tu sei
venuto qui a liberarli? Io ti dico che neppure tu tornerai, ma rimarrai là con
loro. Ma no! Voglio salvarti, tirarti fuori dai mali. Prendi, entra nella casa
di Circe con quest’erba benefica, che terrà lontano da te il mal giorno… …
Quando Circe ti colpirà con la sua lunga bacchetta, tu sguaina dal fianco la
spada affilata e balza su Circe, come se volessi ammazzarla. Lei, spaventata,
ti inviterà nel suo letto: tu allora non rifiutare il letto di una dea, perché
liberi i tuoi compagni e ti dia il buon ritorno”…
Omero, Odissea X 274-309
Tra i significati del termine mythos troviamo “discorso” o
“narrazione”, nella fattispecie abbiamo narrato di una figura mitologica di cui
non possiamo scrivere né data di nascita né di morte. Probabilmente è ancora
attorno a noi se per un attimo risaliamo al concetto o al bisogno universale di
personificazione, al di là di qualunque fede personale: “Il problema della
divinità è stato sempre impostato e risolto nei termini della personificazione.
Vale a dire: l’interesse è stato volto a ciò che una determinata divinità
dovrebbe personificare. Per es., a proposito della religione babilonese, gli
dèi sono personificazione di forze, oggetti e fenomeni naturali e cosmici, e
anche di concetti astratti. Abbiamo così il dio cielo (Anu), il dio dei fenomeni atmosferici (Enlil), il dio fuoco (Girru),
il dio giustizia (Mesharu), ecc.”. D.
Sabbatucci, Seminario di storia delle
religioni, p.131.
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