Vita e morte di un condottiero contro la tirannide in un’Italia che dice addio al
Rinascimento e torna preda degli appetiti di tutti. Papi ed eserciti stranieri
riempiono i cimiteri soffocando la libertà nella sanguinosa resistenza della
Repubblica fiorentina
…SUL
FINIRE DEL RINASCIMENTO
Con la fine della vitalità
e dello spirito rinascimentale l’Italia è nuovamente terreno e preda di
battaglia dei grandi imperi (Francia, Spagna, Sacro Romano Impero) e del
Papato, in uno stravolgimento continuo di alleanze. Tra delicati scenari
politici, progetti di accentramento del potere e dispotismo, la piccola
Repubblica di Firenze cerca di opporsi al ritorno dei Medici cacciati dal
dominio sulla città sin dal 1494. L’eroe di questa resistenza è Francesco Ferrucci, valoroso soldato e
condottiero italiano nell’era dei capitani di ventura. La tragica pagina di
storia di un eroe patriottico contro la tirannide. Siglata la pace tra Papa Clemente VII e Carlo V, che porta il primo a riaffermare l’influenza del Papato e
il secondo a cingere la corona Imperatore sacro e romano, la Repubblica di
Firenze – nata dalla cacciata a più riprese dei Medici e ispirata da Girolamo Savonarola – si ritrova da
sola a difendere la sua indipendenza dalle mire del Pontefice che intende
ripristinare la supremazia della sua famiglia ricorrendo all’aiuto
dell’esercito imperiale.
FIRENZE
MANGIA TOPI E I CIMITERI PIENI DELLA CUPIDIGIA DEI PAPI
Le spese della pace le paga
quindi Firenze che “appassionatamente attaccata alla sua Repubblica, non volle
arrendersi al diktat imperiale. Per
recuperarla alla sua famiglia, Clemente versò settantamila ducati al principe Filiberto d’Orange che la conquistasse
con le sue truppe… Assediata, Firenze distrusse tutti i suoi stupendi giardini
per impedire che gli assalitori vi trovassero riparo… Oro, argenteria,
gioielli, furono spontaneamente offerti da chiese e famiglie private e fusi per
farne moneta con cui procurarsi armi e munizioni. Michelangelo abbandonò le sue sculture nella cappella medicea per
costruire forti e bastioni… La carestia ridusse i fiorentini a nutrirsi di
ghiande e di topi… La repressione riempì i cimiteri e le galere… A questo
risultato aveva condotto la politica dei Papi e la loro cupidigia di potere
temporale. A saldare il conto dei loro errori era l’Italia, ridotta a colonia
della Spagna”. I. Montanelli, Storia
d’Italia, 1250-1600, pp.460-461.
2.000
CONTRO 20.000
Eroe fiorentino tra i più memorabili della
sua epoca (1489-1530), Francesco Ferrucci nasce a Firenze da una nobile
famiglia. I primi anni della sua gioventù li trascorre occupandosi di commercio
ma ben presto mostra la sua personalità e la sua propensione all’uso delle armi,
rivelando eccezionali qualità di comandante. Con Firenze minacciata dalle
milizie di Carlo V, il Ferrucci viene nominato commissario con pieni poteri su
Empoli e da lì organizza la difesa della città e il vettovagliamento. Le sue
doti d’uomo d’armi non tardano a svelarsi e permettono di conseguir vittorie a
Val Di Pesa, Val D’Elsa, Val D’Era e Volterra. Ma le forze imperiali sono dieci
volte superiori alle sue bande e tutte premono su Firenze. Egli concepisce il
piano temerario di prendere il nemico alle spalle partendo da Pisa.
Un anonimo poeta così tramanda il suo
proclama ai soldati: “Io per esperienza,
soldati fortissimi, so che le parole non aggiungono gagliardia nei cuori
generosi, ma sì bene che quella virtù, che è dentro rinchiusa, allora si dimostra
più viva se l’occasione o la necessità la costringe a far prova di sé.
L’occasione vedete è bellissima, e sopra ogni altra è onoratissima che ci
dimostra, difendendo a giusto petto l’onore delle armi italiane per la libertà
della nobilissima patria nostra, per farci splendere per tutti i secoli di
chiara luce. La necessità ci è presente, davanti agli occhi che ci fa certi,
che, ritirandoci, saremo raggiunti dalla cavalleria nemica, e che stando fermi
non avremo luogo forte da poter difenderci né vettovaglie da poter vincere,
quanto bene prima entriamo in quelle mura… Né benché siamo meno di numero, ci
dobbiamo diffidare, per l’esperienza, oltre a quella della virtù nostra, e
maggiormente confidare in Dio Ottimo Massimo, che giustissimo e conoscitore del
nostro buon fine, supplirà con la potenza, dove mancasse la forza nostra”.
…Ma sono pur sempre 2.000
contro 20.000!!! L’impeto degli assalti e il valore dei suoi uomini cedono di
fronte alla stragrande maggioranza dei nemici.
“TU
UCCIDI UN UOMO MORTO” E L’INNO D’ITALIA
Ferrucci esce da Pisa il 31 luglio 1530 e per
le montagne del lucchese e del piemontese scende a San Marcello. A Gavinana, il
3 agosto, i suoi soldati si scontrano con quelle d’Orange e di Fabrizio Maramaldo, capitano di ventura al comando di una delle colonne imperiali. La
lotta è aspra, Filiberto d’Orange viene ucciso con due colpi d’archibugio, ma
anche Ferrucci cade gravemente ferito e prigioniero; portato poi agonizzante
vicino a Maramaldo che finisce di ucciderlo sfogando tutto il suo livore dopo
che i soldati avversari non hanno osato alzare le mani sul comandante ferito. “Tu uccidi un uomo morto” esclama con
disprezzo Ferrucci prima di spirare.
Con lui muore anche la Repubblica fiorentina
ma resta vivo in una strofa dell’inno d’Italia: “Dall'Alpi a Sicilia dovunque è Legnano, ogn’uom di Ferruccio
ha il core, ha la mano, i bimbi d'Italia si chiaman Balilla, il suon d'ogni squilla i Vespri suonò. Stringiamci a coorte siam pronti alla morte l’Italia chiamò”.
ha il core, ha la mano, i bimbi d'Italia si chiaman Balilla, il suon d'ogni squilla i Vespri suonò. Stringiamci a coorte siam pronti alla morte l’Italia chiamò”.
“Forse il coraggio e la
tenacia di Firenze sarebbero stati premiati se il generale a cui essa aveva
affidato il comando delle proprie milizie, Malatesta
Baglioni, non avesse tradito. Egli volse le sue artiglierie contro la
stremata città che da quel momento fu alla mercé del nemico”. I. Montanelli, Storia d’Italia, 1250-1600, p.460.
Alessandro de’ Medici fu il nuovo duca di
Firenze, per nulla Magnifico come
l’illustre parente. “Ne andò di mezzo perfino la bella squillante campana di
Palazzo Vecchio… La fece fondere perché – come scrisse un cronista – la gente
non sentisse più il dolce suono della libertà”. I. Montanelli, Cit., p.461.
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