2 aprile 2012

NAPOLEONE, IL TRASFORMISTA ANTIFRANCESE CHE RIDISEGNÒ L’EUROPA

Ossessionato in gioventù dall’indipendenza della sua piccola isola, ma per ambizione ribalta ogni ideale: antifrancese, rivoluzionario e repubblicano, infine francese, monarchico e imperialista. Le involuzioni di un eterno straniero che, tra tendenze suicide e fiacche aspirazioni letterarie, trasforma ogni azione in volontà di potenza, si “francesizza”, si fa imperatore “squassando” la geografia del continente e ispirando a modo suo il Risorgimento. Un vero “antico Romano” dell’età moderna per l’eredità di leggi e conquiste

CONTRO I FRANCESI “VOMITATI” SULLE SUE COSTE
“FARÒ AI FRANCESI TUTTO IL MALE CHE POTRÒ”. Questo è il più forte sentimento del piccolo Napoleone a 9 anni nel collegio di Autun in Borgogna, prima di passare a Brienne e poi a Parigi dove il padre lo ha destinato alla carriera militare. Napoleone Buonaparte, futuro imperatore di Francia e dominatore dell’Europa, antifrancese??? Sì, perché non è francese ma corso e di origini toscane trovatosi a “patire” la sottomissione dell’isola dalla Repubblica di Genova, incapace di far valere la propria sovranità, ai transalpini che ne avevano ottenuto i diritti con il Trattato di Versailles il 15 maggio 1768. La Corsica è governata dal generale Pasquale Paoli e tenta una resistenza armata, ma la sconfitta di ponte Nuovo (8 maggio 1769) pone fine ad ogni speranza di indipendenza.
Napoleone nasce in questo scenario ad Ajaccio il 15 agosto 1769 e così rievocherà proprio a Paoli gli eventi della sua piccola terra: “Io nacqui quando la patria periva. Trentamila francesi vomitati sulle nostre coste, che annegavano il trono della libertà in flutti di sangue, questo fu lo spettacolo odioso che per primo colpì il mio sguardo. Le urla del morente, i gemiti dell’oppresso, le lacrime della disperazione circondarono la mia culla fin dalla nascita. Voi abbandonaste la nostra isola e, con voi, scomparve la speranza della felicità; la schiavitù fu il prezzo della nostra sottomissione: schiacciati sotto il triplice giogo del soldato, dell’uomo di legge e dell’esattore, i nostri compatrioti vivono disprezzati”. V. Criscuolo, Il giovane Napoleone, p.4.

Questo sarà Napoleone tra gli ardenti ideali giovanili e lo smisurato sogno di gloria e potere che lo porterà a cogliere ogni occasione storica possibile per realizzare il suo “IO VOGLIO” ripetuto sin da bambino. “Solo nel collegio di Autun, pensoso e cupo… Irritante con quel suo atteggiamento in cui si mescolano la fierezza del bambino umiliato e l’amarezza del vinto. Così lo punzecchiano, lo provocano. Sulle prime sta zitto, poi, quando gli dicono che i corsi sono vigliacchi perché si sono lasciati asservire, si scalmana e urla, rabbioso: se i francesi fossero stati in quattro contro uno, non avrebbero mai avuto la Corsica. Ma erano dieci contro uno”. M. Gallo, Napoleone – La voce del destino, p.16.

Uno straniero, dunque, giunto da una “terra propaggine dell’Italia” come gli ricordano i suoi insegnanti, ma “uno straniero venuto a fare della Francia lo strumento della sua ambizione” come accusa François-René de Chateaubriand (scrittore, politico,  diplomatico francese e soprattutto fiero oppositore di Napoleone).

“FARÀ TREMARE I RE… CAMBIERÀ LA FACCIA DEL MONDO”
Questa storia vogliamo raccontare, della trasformazione dell’uomo, di come Napoleone divenne Napoleone. Perché del BONaparte sappiamo tutto, uomo di Stato, conquistatore, fondatore di una dinastia, imperatore, legislatore e mito infranto in esilio. Segnando un’eredita immortale, fu ciò che potrebbe definirsi un vero “antico Romano”, cioè colui che crea la storia e ne condiziona i percorsi successivi. La sua legislazione e codificazione influenzerà tutti i regnanti e i governi tesi a seppellire gli ideali della Rivoluzione francese e ripristinare i privilegi d’Ancien Régime.
Sappiamo molto meno, o si sorvola spesso, sul BUOnaparte (vero cognome della sua casata poi francesizzato in BONaparte), il giovane erede di una famiglia di origini toscane con pochi quarti di nobiltà trasferita in Corsica nel XVI secolo. Una fanciullezza spensierata ma troncata bruscamente a causa dei disegni del padre Carlo, deciso a far fruttare l’appoggio dato ai francesi sull’isola per avviare il figlio Giuseppe alla carriera ecclesiastica e Napoleone a quella militare. Così quest’ultimo, a soli 10 anni, si ritrova nella Scuola reale militare di Brienne dove resterà per più di 5 anni prima di approdare a quella ben più importante di Parigi.
Un distacco traumatico dalla Corsica, lo scontro con una realtà sconosciuta, la complessione fisica, non imponente, l’accento straniero, il colorito olivastro tipico delle origini mediterranee gli costeranno lo scherno dei compagni. Ecco far breccia in lui momenti di depressione e l’idea della morte. Scrive: “Sempre solo in mezzo agli uomini, io rincaso per sognare con me stesso ed abbandonarmi a tutto l’impero della mia malinconia. Da che parte è rivolta oggi? Verso la morte. Nell’aurora dei miei giorni posso ancora sperare di vivere a lungo… Quale furore mi porta dunque a volere la mia distruzione? Senza dubbio, che fare in questo mondo? Dal momento che devo morire, non è lo stesso uccidersi?”. V. Criscuolo, Cit., pp.7-8.

Dalla sua condizione di isolamento si rifugia anche nella lettura: i classici, le grandi opere del teatro francese e autori settecenteschi, oltre che strategia militare, tecniche d’artiglieria e geografia. Una passione legata alla necessità di spaziare in un mondo tutto suo ma anche all’aspirazione di intraprendere la carriera di scrittore. Vocazione anche questa sentita come strumento per manifestare la sua frustrazione d’origine. Ecco quindi il grande sogno di una storia della Corsica per affermare con forza e imporre agli occhi dell’Europa i diritti dell’isola alla libertà e all’indipendenza. Ma nonostante numerosi tentativi, questi scritti non vedranno mai la luce.
Si manterrà sempre viva però l’avversione per i conquistatori francesi come scrive nelle Lettere sulla Corsica a Raynal: “Quanto gli uomini si sono allontanati dalla natura! Quanto sono vili, spregevoli, abietti! Quale spettacolo vedrò nel mio paese? I miei compatrioti carichi di catene e che baciano tremanti la mano che li opprime… Francesi, non contenti di averci rapito tutto ciò che ci era più caro, avete corrotto i nostri costumi. Il quadro attuale della mia patria e l’impossibilità di cambiarlo è dunque una nuova ragione di fuggire un mondo nel quale sono obbligato per dovere a lodare uomini che devo odiare per virtù”. V. Criscuolo, Cit., pp.17-18.
 
Nel frattempo la sua formazione procede tanto da superare la selezione da borsista per la Scuola reale militare di Parigi. Ha 15 anni e vuole vincere simultaneamente il concorso per accedere ad una scuola d’artiglieria e uno per ottenere il grado di ufficiale. “Una pazzia” gli dice un compagno, “IO LO VOGLIO” risponde Napoleone con la sua anima fiera e vendicatrice: “Nel gennaio 1785, mentre ascolta il prete con il quale si è appena confessato, poiché come tutti i cadetti deve farlo una volta al mese, non può soffocare un ringhio. Il prete lo ammonisce, gli parla della Corsica, della necessità di obbedire al re… D’altronde i corsi – prosegue il prete – sono spesso dei banditi dal carattere troppo fiero. Io non vengo qui per parlare della Corsica – esplode Bonaparte – e un prete non ha il compito di farmi la predica su questo tema. Poi spacca con un pugno la grata che lo separa dal confessore e i due vengono alle mani”. M. Gallo, Cit., p.30.
 
Per il suo professore di belle lettere, Domairon: “È granito scaldato da un vulcano”. Per il professore di Storia, De Lesguille: “È corso di carattere come di nazionalità e andrà lontano se le circostanze lo favoriscono”.
“Non è più lo straniero. Ha acquisito diritto di cittadinanza in quel mondo, da bambino l’avevano spinto brutalmente sott’acqua. Non è annegato. Ha preso ciò che gli tornava utile senza rinunciare ciò che gli stava più a cuore. Indossa l’uniforme ma non è cambiato né di pelle né d’animo. Si è agguerrito. Si è battuto. Non ha mai abbassato il capo. Ha mantenuto la testa ben dritta. Ha imparato la lingua di coloro che hanno vinto la Corsica, ma con quelle parole nuove ha forgiato il suo stile personale. Ha piegato le frasi dei francesi al ritmo nervoso del suo carattere. Si è preso quello che gli era necessario senza lasciarsi fagocitare”. M. Gallo, Cit., p.36.
 
Ecco confermarsi l’accusa di Chateaubriand sull’uomo che si adatta agli eventi e li piega ai suoi voleri. Miglior previsione sarà quella del padre in punto di morte: “negli accessi febbrili grida che la spada di Napoleone farà tremare i re, che il figlio cambierà la faccia del mondo”. M. Gallo, Cit., p.33.

DA BUON… A BON… ADDIO CORSICA, ORA SUL PALCOSCENICO DI FRANCIA
Con lo scoppio della Rivoluzione francese si presenta nel destino di Napoleone una svolta decisiva. Anche in questo caso, nella sua immaginazione la portata di quegli eventi rafforzano il suo pensiero e la sua condotta per l’indipendenza della Corsica tanto da maturare posizioni ostili alla monarchia: “Egli guardò insomma agli eventi rivoluzionari con gli occhi di un patriota corso, e li considerò perciò soprattutto come la tanto attesa occasione per scuotere finalmente il giogo dell’odiata monarchia e per far rinascere il sogno di una Corsica indipendente”. V. Criscuolo, Cit., p.25.
 
Ma come vedremo sarà proprio la Rivoluzione a strapparlo per sempre alla sua isola e offrirgli la Francia come palcoscenico per la sua epopea. Viene a sciogliersi insomma la contrapposizione fra la condizione di ufficiale dell’esercito francese e il patriottismo corso. Egli stesso scrive: “In un istante tutto è mutato. Dal seno della nazione governata dai nostri tiranni si è sviluppata la scintilla elettrica; questa nazione illuminata, potente e generosa si è ricordata dei suoi diritti e della sua forza; è stata libera e ha voluto che lo fossimo com’essa. Ci ha aperto il suo seno, ormai noi abbiamo gli stessi interessi, le stesse sollecitudini. Non c’è più mare che ci divida. Fra le stranezze della rivoluzione francese, questa non è la minore. Coloro che ci davano la morte come ribelli sono oggi i nostri protettori”.
E così muta la situazione politica della Corsica giacché l’Assemblea nazionale costituente, il 30 novembre 1789, proclama l’isola “parte integrante dell’impero francese… retta dalla stessa costituzione degli altri francesi”. Questo atto segna il ritorno del generale Paoli a capo politico dell’isola che, però, sotto sotto si rimetterà al lavoro per l’indipendenza mirando a sfruttare il più possibile l’ostilità tra Francia ed Inghilterra al fine di ottenere il maggior grado di autonomia.

Anche Napoleone tornerà in patria andando ad ingrossare le fila dei paolisti, ma puntando ad esercitare un ruolo di primo piano per sé e la sua famiglia. E col grado di ufficiale nelle truppe volontarie prende parte alla sfortunata spedizione di Sardegna del 1793 per sviluppare l’iniziativa rivoluzionaria nel Mediterraneo. L’attacco contro Cagliari fallisce miseramente con Napoleone che bombarda la Maddalena ma viene costretto al ritiro da un ammutinamento degli equipaggi. Il fallimento dell’impresa verrà dai francesi attribuita allo stesso Paoli accusato di aver segretamente favorito l’insuccesso perché di sentimenti anglofili. A sua volta Paoli accusa i Buonaparte di aver tramato contro di lui avendo intercettato una lettera del fratello di Napoleone, Luciano, in cui legge allusioni in tal senso. Immediata si scatena la caccia contro tutta la famiglia e la distruzione della loro casa di Ajaccio. È la fine!!! Napoleone insieme ai suoi si imbarcano per Tolone e Marsiglia, si spezza drammaticamente il legame con la Corsica. Ormai egli è francese e dal 1795 lo è anche il suo cognome: ora egli è BONaparte.
La Corsica invece entra nell’orbita inglese riconoscendo nel 1794 il re d’Inghilterra come proprio sovrano. Non durerà molto! Nell’ottobre 1796 i francesi ne riprendono possesso e Napoleone farà ricostruire la sua casa poi regalata ad un cugino nel 1805, quando è ormai saldamente padrone dei destini europei.

A PARIGI. VERSO COSA? VERSO L’ALTO NELLA “GUERRA ETERNA”
Nella capitale la situazione è profondamente mutata. Come sempre quando una rivoluzione ha bisogno di guardarsi le spalle dai nemici esterni ed interni sconfina nel “terrore”, o per così dire nelle “azioni energiche” contro tutti gli avversari o presunti tali. È il caso del Comitato di salute pubblica guidato da Maximilien de Robespierre, nato nel 1793 dalla sospensione della costituzione: “Che la Rivoluzione ricorresse alla dittatura, non era effetto del caso, un’intima necessità ve la spingeva, e non per la prima volta; e non fu nemmeno un caso ch’essa finisse con la dittatura d’un generale. Ma accadde che il generale fosse Napoleone Bonaparte, il cui temperamento, ancor più che il genio, non poteva adattarsi spontaneamente alla pace e alla moderazione. Fu questo l’imprevedibile che fece pendere la bilancia dal lato della guerra eterna”. G. Lefebvre, Napoleone, p.66.

Napoleone infatti, ormai tendente a considerare la forza come sorgente di legittimità e la guerra come occasione per distinguersi, decide di appoggiare questa politica. Partecipa così all’assedio di Tolone predisponendo il piano che costringe gli inglesi a prendere il largo e “guadagnando” anche un colpo di baionetta alla coscia sinistra.
Un risultato che lo eleverà a generale di brigata, e da qui al comando dell’Armata d’Italia per preparare una campagna militare il cui obiettivo è infliggere un colpo decisivo all’Austria e scacciarli dalla penisola. Intento non da poco, considerato che: “L’Armata d’Italia, infatti, è la più sguarnita tra quelle della Repubblica. È chiamata a svolgere un ruolo minore: bloccare una parte delle truppe austriache affinché le grandi armate del Reno, ben equipaggiate… riportino la vittoria decisiva su Vienna”. M. Gallo, Cit., p.141.
 
Una condizione organizzativa di grande difficoltà ben descritta direttamente dallo stesso Napoleone al Direttorio: “non avete idea della situazione amministrativa e militare dell’armata. Sinistri presagi la tormentano. È senza pane, indisciplinata, insubordinata… Amministratori avidi ci tengono nell’indigenza assoluta… La somma di 600.000 franchi che ci era stata promessa non è mai arrivata”.
Ma pensa: “Se sono quello che sento di essere, allora sarà vittoria, l’ascesa di una altro gradino. Verso che cosa? Verso l’alto. Ancora una volta non c’era altra scelta che avanzare”.
La fortuna lo aiuterà, e dalla funzione sussidiaria della missione il generale Bonaparte ribalterà le sorti di tutta la guerra facendo della campagna d’Italia (1796-1797) il terreno decisivo della vittoria sull’Austria, ma ancor di più ne trarrà il segno del suo inarrestabile destino. Come un novello Annibale attraversa le Alpi e coglie di sorpresa il nemico dividendolo dai sardi e sconfiggendoli separatamente nella battaglie di Millesimo, Ceva, Montenotte e Dego. E mentre il re di Sardegna si arrende con l’armistizio di Cherasco, lasciando tre piazzeforti alla Francia, approvvigionamenti e campo libero in Piemonte per le operazioni belliche, per gli austriaci non è finita: saranno sconfitti a Lodi e da lì i francesi entreranno trionfalmente a Milano. Alcuni patrioti italiani acclamano Bonaparte il “liberatore d’Italia” che scrive al Direttorio: “Se vorrete ancora concedermi la vostra fiducia, l’Italia sarà vostra”. E pensando proprio al Direttorio, e forse a tutta la Francia che lo osserva mormora: “Loro? O mia? Vedo il mondo scorrere sotto di me, come se fossi sollevato in aria. Non hanno visto ancora niente”. M. Gallo, Cit., p.152.

Il 1796 segna, dunque, la nascita di un uomo nuovo che abbandona per sempre gli ardori e le inquietudini giovanili per consegnarsi all’immortalità. Al centro della sua personalità si fisserà senza possibilità di compromesso la volontà di potenza. Ma resteranno comunque in lui influenze dell’ambiente corso sulla sua formazione, in particolare il senso fortissimo del legame familiare anche come riferimento di lotta politica: una volta conquistato il potere infatti utilizzerà i suoi fratelli come fedeli luogotenenti destinati ad esercitare in suo nome la sovranità nei territori loro affidati.
Ma la caratteristica più forte resterà fino alla fine la volontà titanica di superare ogni ostacolo e ogni limite. Georges Lefebvre parla “dell’aspirazione ad una grandezza eroica e pericolosa germinata fin dal tempo del collegio, dal desiderio di dominare il mondo nel quale si sentiva disprezzato”.

NON SI FERMERÀ PIÙ E SARÀ IMMORTALE
La Rivoluzione deve difendere se stessa e si spinge passo dopo passo verso la dittatura, che al suo culmine trova Napoleone. Egli poi deve difendere la Rivoluzione ma anche se stesso, quindi si spinge fino al potere supremo: “La sua fu una dittatura militare, dunque assoluta: soltanto lui avrebbe deciso le questioni dalle quali dipendeva la sorte della Francia e dell’Europa”. G. Lefebvre, Cit., p.69.

“Soldato venuto su dal nulla, discepolo dei philosophes, detestò il regime feudale, l’ineguaglianza civile, l’intolleranza religiosa; vedendo nel dispotismo illuminato una conciliazione tra l’autorità e la riforma politica e sociale, se ne fece l’ultimo e più illustre rappresentante: in questo senso fu l’uomo della rivoluzione. Il suo sfrenato individualismo non accettò tuttavia mai la democrazia… I suoi rapporti con gli altri uomini non si svolgevano sul piano della vita spirituale: s’egli ben conosceva le loro passioni e le volgeva meravigliosamente ai propri fini, faceva unicamente conto di quelle che permettono di asservirli e spregiò tutto ciò che li eleva al sacrificio: la fede religiosa, la virtù civica, l’amore della libertà, perché in queste sentiva degli ostacoli per sé… nello splendido e terribile isolamento della volontà di potenza, la misura non ha senso”. G. Lefebvre, Cit., pp.74-75.

I contemporanei e i primi storici tendono a spiegare la conquista imperiale e l’Impero stesso con l’ambizione di Napoleone. Non può bastar solo questo, la Rivoluzione per vivere doveva avanzare, ancor di più Napoleone: “Alcuni vollero vedere in Napoleone non altri che il difensore delle frontiere naturali: secondo loro, i repubblicani l’avevano fatto console, poi imperatore, perché gliele conservasse. Siffatto impossibile compito, funesto retaggio della Rivoluzione, lo costrinse a conquistare l’Europa e, alla fine, lo schiacciò… Soldato della Rivoluzione, egli non avrebbe mai fatto altro che difendersi contro i re dell’antico regime… Per altri ancora, egli fu non tanto francese quanto europeo e pretese di ricostruire dapprima l’impero carolingio, più tardi l’impero romano… In lontananza, l’immagine si purifica e svela il suo segreto: che è l’attrattiva eroica del rischio, l’affascinate seduzione del sogno, l’impulso inarrestabile del temperamento”. G. Lefebvre, Cit., pp.167-168.
 
In realtà è un uomo solo che non risponde a schemi tradizionali ma al senso di assoluto che vuole realizzare e di cui è unico protagonista, fino a mortificare Pio VII strappandogli la corona dalle mani e ponendosela in capo lui stesso il 2 dicembre 1804. “Col restaurare la monarchia e con l’accentuare il carattere aristocratico del regime, egli separava ancora di più la propria causa da quella della nazione… Napoleone aveva conquistato il popolo promettendogli la pace; poi si era imposto definitivamente riaccendendo la guerra. Nulla adesso gli impedirà più di abbandonarsi alla propria natura: la conquista imperiale, il dispotismo e l’aristocrazia stanno per rompere ogni freno sotto gli occhi della nazione, stordita, inquieta, ma costretta a seguire per non perire, il carro del Cesare trionfante”. G. Lefebvre, Cit., p.190.

Il fragore delle armi tuttavia non deve ingannare. Napoleone fu l’uomo del secolo, per quanto le sue più profonde ambizioni non si sono realizzate va detto che le sue azioni hanno lasciato tracce profonde. È con lui che il nuovo Stato in Francia trova il suo assetto amministrativo che resiste alla sua caduta e condiziona l’Europa. È comunque figlio della Rivoluzione e come tale contribuisce a distruggere l’antico regime e introdurre i principi dell’ordine moderno.
Napoleone va insomma inquadrato in un contesto storico fortemente influenzato da un’opera straordinariamente complessa. Ci affidiamo quindi all’analisi dello stesso Lefebvre che da un lato lo vede “erede della Rivoluzione in quanto ne rispetta il legato sociale ma con un temperamento autoritario che non può adattarsi alla libertà: condottiero, investito della dittatura per difendere la Rivoluzione contro le potenze d’antico regime, egli si allontana da codesta missione, per creare un impero europeo che la sua fantasia sogna senza dubbio di render più tardi universale e la cui idea non concorda mai con le aspirazioni della nazione”. Eppure, sebbene più favorevole alla tradizione aristocratica e assolutista, resta un rivoluzionario nei paesi conquistati plasmandone l’amministrazione e la società sul modello francese.
È un intimo legame quello che unisce Napoleone alla Rivoluzione: sembra tradirne i principi fondamentali, ma in realtà potenzia la necessità della dittatura “finché i partigiani dell’antico regime persistono nei loro sforzi di restaurazione; ne rispetta l’opera sociale assicurandone la durata e il radicamento con le sue vittorie. In tutti i paesi dove impone il suo dominio istituisce i fondamenti dello Stato e della società moderni”. In definitiva una nuova civiltà ben più duratura delle sue “fulminee cavalcate”.

Il resto sarà “guerra eterna”, impero, Elba, 100 giorni, Sant’Elena, immortalità…

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