15 maggio 2013

FRANCESCO CÒPPOLA E I FURORI DI “POLITICA” SULL’ITALIA CHE MAI FU

Teorico del nazionalismo imprime in una rivista mensile il progetto per lo Stato forte, l’ordine sociale e l’evoluzione imperialista della Nazione

DA GIORNALISTA IDEOLOGICO UN PROGETTO PER LA NAZIONE
Francesco Cóppola nasce a Napoli il 27 settembre 1878, si laurea in giurisprudenza e inizia da subito l’attività di giornalista schierato sul fronte nazionalista, che dalla fine dell’800 si impone tra le principali ideologie culturali e politiche del Paese. Questa chiara identificazione ideale lo porterà a fondare, nel 1911, insieme ad altri protagonisti, l’Associazione Nazionalista Italiana propugnatrice di obiettivi imperialisti in politica estera e una radicale riforma della politica interna, da ripulire dei suoi immobilismi democratici o socialisteggianti, individualisti o clericali. Un vero e proprio partito politico, dunque, che nella concezione del Cóppola deve avere un percorso distinto e divergente dal liberalismo.
 
Il tormentato dibattito sull’intervento o la neutralità dell’Italia nella Prima Guerra Mondiale lo vedrà partecipare da influente teorico ad un vero e proprio scontro che animerà quell’epocale momento. In suoi articoli pubblicati sul settimanale “L’Idea Nazionale”, tra l’ottobre e il novembre 1914, quali Per la democrazia o per l'Italia? e Il sacro egoismo, prospetta la possibilità per la nazione di cogliere l’occasione storica di elevarsi al rango di potenza mondiale. In Precisiamo le idee e ancor più in Le ragioni politiche della nostra guerra redige una lista di obiettivi cui l’Italia potrebbe aspirare: salda unità nazionale, sicurezza dei confini, domini nell’Adriatico e nel Mediterraneo a spese degli Ottomani, espansione economica, emancipazione dell’industria e dell’economia italiana, soprattutto nei settori siderurgici e marittimi.
 
Ma proprio la Grande Guerra non darà le soddisfazioni nazionaliste auspicate. Scoppia il mito della Vittoria mutilata dalle mancate compensazioni territoriali per l’Italia previste nel Patto di Londra stipulato segretamente nel 1915 con inglesi, francesi e russi per intervenire contro gli austro-tedeschi: “Indubbiamente il patto di Londra impegnava ancora, anche se nel frattempo uno dei suoi contraenti, la Russia, era venuta meno, l’Italia, la Francia e l’Inghilterra, entrambe decise a rispettarlo. Il suo spirito era stato però profondamente superato dagli avvenimenti successivi alla sua stipulazione. Non solo gli slavi del sud avevano avuto riconosciute le loro aspirazioni d’indipendenza ed erano stati in un certo senso associati al blocco antitedesco e potevano, quindi pretendere di fare sentire ora anche la loro voce sull’assetto territoriale di zone che li riguardavano direttamente, ma, ciò che più conta, l’associazione degli Stati Uniti aveva profondamente mutato tutti i termini della questione. Gli Stati Uniti non avevano sottoscritto il patto di Londra, non lo avevano mai riconosciuto o accettato…”. R. de Felice, Mussolini il rivoluzionario 1883-1920, pp.444-445.
 
UNA RIVISTA TRA TEORIA E AZIONE
Il Nazionalismo entra così nella sua fase propagandistica più vigorosa, avvicinandosi via via ad una piattaforma comune con il nascente movimento fascista. In questo Cóppola trova la valvola di sfogo per le sue teorie fondando insieme ad Alfredo Rocco, nel dicembre 1918, il mensile “Politica” – rivista di cultura, di critica, di informazione e di azione politica. In sostanza uno strumento, una tribuna dove esporre dottrine e visioni sulla storia e le prospettive nazionali tra Risorgimento ed evoluzione imperiale: “Dando inizio alla rivista Politica, Alfredo Rocco e Francesco Cóppola avevano redatto un manifesto che è stato a ragione considerato la magna charta teorica della politica estera nazionalistica e ad un tempo la sistemazione teorica del movimento. In quel manifesto, i due esponenti del nazionalismo italiano, dopo aver fornito della guerra un’interpretazione che poneva al centro di essa l’urto di opposti imperialismi ma anche di opposte ideologie, individuano nella democrazia e nelle azioni che si richiamano ad essa il nemico da battere… Si profila così il modello dello stato voluto dai nazionalisti: pacificato all’interno dall’abolizione della lotta di classe e dai saldi principi d’ordine, disponibile all’esterno a lottare con gli altri stati, per la conquista dello spazio necessario all’espansione nazionale”. N. Tranfaglia, La Prima Guerra Mondiale e il Fascismo, p.148.
 
“Politica”, imponendosi per successo e autorità come l’unica grande rivista di politica estera, raccoglierà illustri adesioni e collaborazioni da parte di Benedetto Croce, Giovanni Gentile e molti altri. Dal 1919, poi, le delusioni italiane verranno raccolte dai nazionalisti in funzione antiborghese e antiliberale avviando una progressiva correlazione con la rivoluzione fascista che Cóppola descrive come “nuova vittoria dell’idealità nazionalista sopra le ideologie democratiche della decadenza europea… Nata, sia pure inconsapevolmente, da uno stato d’animo nazionalista, preceduta e guidata idealmente dal nazionalismo in tutti i carripi della politica, fiancheggiata dal nazionalismo nella dura battaglia quotidiana, sanzionata e consacrata dal nazionalismo nella sua vittoria, essa non può non riconoscere nel nazionalismo la propria coscienza, la propria essenza e la propria regola. A patto che la rivoluzione fascista si riconosca e si affermi consapevolmente in quella organica interpretazione del più grande Risorgimento e della storia italiana nella storia del mondo che è appunto la dottrina nazionalista”. In altre parole egli descrive la tesi della “fase fascista della rivoluzione nazionalista” e del “compito immenso di ricostruire lo Stato italiano, fondare l'Impero italiano”. Sarà il fascismo, invece, ad ingoiare il nazionalismo. 
 
Giornalista, ma anche giurista, ritroviamo il Cóppola delegato italiano alla Società delle nazioni (progenitrice dell'attuale Onu), poi membro della Commissione dei diciotto per concludere la riforma costituzionale diretta da Alfredo Rocco; e ancora Accademico d’Italia dal 1929, Professore di diplomazia e storia dei trattati presso la facoltà di scienze politiche dell’Università di Perugia, e di diritto internazionale all’Università di Roma. Altalenanti invece le sue posizioni rispetto al partito nazista: se agli inizi manifesta sfavore per la presa del potere di Hitler, soprattutto rispetto alla contestata ideologia razzista, successivamente supera le sue resistenze intravedendo nella Guerra di Spagna (1936-1939) l’inevitabile confronto di blocchi ideologici, che con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale significherà, per lui, la riedizione del vecchio tema della guerra rivoluzionaria e della crociata per la salvezza della civiltà europea dalla “barbarie bolscevica e americana”. Morendo ad Anacapri nel 1957, farà in tempo a veder trionfare proprio quella “barbarie” contro cui aveva sparso fiumi d’inchiostro nella sua rivista.
 
IL MANIFESTO DI POLITICA
Primo numero di fondamentale importanza perché fissa in punti chiaramente definiti un’ideologia di stampo nazionalista ed un progetto “essenzialmente spirituale ed intellettuale rivolto assai più a creare nel pubblico uno stato di coscienza e di cultura antitetico a quello diffuso dalla ideologia liberal-democratica, che non a propugnare mutamenti di istituzioni e di regimi politici”.
L’articolo, molto ampio, parte da una complessa valutazione della Grande Guerra, soffermandosi principalmente su quella che viene considerata la profonda contraddizione tra la realtà della guerra e l’ideologia della guerra. La prima, indubbia espressione di “un conflitto tra nazioni, razze ed imperi quale eterna lotta dei popoli per l’esistenza e il dominio”. La seconda quale immane scontro tra dottrine e concezioni politiche: “Una lotta fra la democrazia e l’autocrazia, fra il diritto e la forza, fra il principio di nazionalità e l’imperialismo”, dimenticando, si rileva, che le potenze dell’Intesa (Inghilterra, Francia e Russia), ad eccezione dell’Italia, sono non meno imperialiste degli Imperi Centrali (Germania e Austria-Ungheria).
 
Allora si cerca di giustificare la guerra democratica, antimperialista e pacifista come “il miglior mezzo per ottenere dalle masse i sacrifici individuali necessari alla vittoria”. Dunque nasce, e viene inappellabilmente condannata, l’assurda concezione della guerra antimilitarista, della guerra antiguerresca, definendo l’ideologia democratica come ideologia della sconfitta. Viene quindi condannata per il suo spirito di rinunzia, per la sua demagogia e per il suo vacuo umanitarismo ed universalismo. Pertanto l’obiettivo di “Politica” è la trasformazione del sentimento oscuro ed istintivo in dottrina e volontà. Più chiaramente è un’opera di ricostruzione spirituale del rapporto tra società ed individuo. La società non va considerata, in base alla filosofia demoliberale, come una somma di individui, ma come un vero e proprio organismo avente esistenza e fini completamente distinti da quelli dei singoli. Diversamente ancora dal mito dell’unica società umana che è invece somma di società che conducono fra di esse una lotta darwiniana di sopravvivenza e predominio dei più adatti. E questi i punti fermi: “La disciplina delle disuguaglianze, la gerarchia e l’organizzazione all’interno; la libera concorrenza e la lotta tra i popoli in campo politico, economico o anche militare all’esterno”.
 
Come si vede, si tratta della più coerente applicazione delle idee di Enrico Corradini sullo spostamento della lotta tra le classi alla lotta tra le nazioni; non più lotta di classe sul piano internazionale ma scontro tra nazioni plutocratiche e proletarie. Insomma una vera e propria ideologia di guerra. Da ciò nasce la visione dello Stato come la più alta forma di organizzazione della società sotto un potere supremo. E dallo Stato tutto si muove, la stessa libertà. Si contrappone in questo modo il principio del governo dei più capaci alla sovranità popolare. In altre parole, lo Stato percorre la strada della subordinazione delle masse ad un potere il cui interesse è uno sviluppo non individualista, e della coordinazione da parte di un’élite capace di superare i propri settarismi e particolarismi per realizzare i grandi interessi dello Stato.
All’esterno invece esso si pone in un rapporto di concorrenza e di lotta in base alla formula “A ciascuno secondo la sua potenza”. Si sviluppa pertanto l’idea dello Stato-forza come interesse di tutti, “più forte, più potente, più ricco è lo Stato, più prospera è la vita dei cittadini”. A questa idea si aggiunge quella dello Stato-Nazione, vista come la coscienza di un unico organismo sociale che, ad esempio, ha favorito in forza e prosperità nazioni quali la Spagna, l’Inghilterra e la Francia contrariamente a nazioni in ritardo quali l’Italia e la Germania.
Eppure, viene osservato, con la Grande Guerra lo Stato-Nazione può proiettarsi verso una gara imperiale, come dimostrato da Stati Uniti, Inghilterra, Francia e Russia, a cui lo spirito italiano deve votarsi indirizzando a questo obiettivo tutti i valori politici e i mezzi militari, economici, sociali, culturali e religiosi la cui efficacia può essere garantita sola dalla “restaurazione dell’autorità dello Stato, come volontà organizzata della potenza, e la disciplina interiore della nazione”.