AVICENNA



Abû ‘Alî Husain Ibn ‘Abdallâh Ibn Sînâ, meglio conosciuto col nome latino di Avicenna, nacque nel 980 d.C. a Kharmaithen, presso Bukhara (ora Uzbekistan). Educato dal padre, governatore di un villaggio, Avicenna mostrava una memoria e una capacità di apprendimento fuori dall’ordinario. Già a 10 anni aveva memorizzato il Corano e la maggior parte della poesia Araba. Proseguendo i suoi studi da autodidatta, studiò logica e metafisica e all'età di tredici anni intraprese gli studi di medicina. A sedici era talmente padrone della materia da essere in grado di avere dei pazienti.
La sua reputazione medica arrivò fino a Nuh ibn Mansur, capo Samanide, che curò da una malattia. Come ricompensa, gli fu concesso di accedere alla Libreria Regale dei Samanidi, consentendogli lo sviluppo delle sue conoscenze in tutti i campi dello scibile.
La sconfitta dei Samanidi e la morte del padre lo costrinsero a girovagare per diverse città del Khorasan. Visse a Khwarazm, fu maestro a Gurgan e successivamente amministratore a Rayy, continuando ad avere discepoli e a produrre un insegnamento di altissima qualità. A Hamadan, in Persia centro-occidentale (ora Iran), divenne medico di corte del principe sovrano di Buyid, Shams ad-Dawlah, che lo nominò per due volte Gran Visir. A Isfahan entrò alla corte del principe locale e passò gli ultimi giorni della sua vita scrivendo opere di medicina, filosofia e lingua araba.
Nel giugno del 1037, durante la campagna militare, al seguito del suo patrono, si ammalò e morì di una misteriosa malattia, apparentemente una colica, forse avvelenato da uno dei suoi servi.

Filosofo, mistico e medico, Avicenna scrisse circa 450 opere, delle quali circa 240 sono arrivate a noi. “Il Canone della Medicina” è il più famoso e il più diffuso testo di insegnamento e compendio di scienza medica in Medio Oriente e in Europa. Nel XII secolo fu tradotto in latino, influenzando gli sviluppi della Scolastica filosofica e medica a Montpellier e nelle altre facoltà mediche medievali. 
Nel 1491 il Canone fu tradotto in ebraico e nel 1593 fu il secondo testo mai stampato in arabo. Ma Avicenna diede il massimo apporto soprattutto in ambito filosofico. Combinando aristotelismo e neoplatonismo, discusse di ragione e di realtà, negando, come molti filosofi medievali, l'immortalità dello spirito individuale, sostenendo che Dio è puro intelletto e che la conoscenza consiste nella comprensione di quanto è intelligibile, grazie a ragione e logica. Per le sue dottrine divenne il bersaglio principale dei teologi Sunniti, come Al-Ghazali.

Oltre che di medicina e filosofia, scrisse anche di matematica, psicologia, geologia, astronomia, logica, scienze naturali, geometria, aritmetica, alchimia e musica. Sulle sue opere si formò Nostradamus e Dante mostra una riverente considerazione per Avicenna, che nella Commedia colloca rispettosamente nel limbo, piuttosto che nel profondo dell’inferno, in compagnia di Maometto.
La parte alchemico/mineralogica della sua opera enciclopedica venne tradotta in latino col titolo “De congelatione et conglutinatione lapidum”. In essa era contenuta la critica radicale alla possibilità della trasmutazione che fu all'origine della disputa scolastica sull'alchimia. Tuttavia in una delle opere alchemiche che tratta dell'elixir, tradotte in latino sotto il suo nome, la “Epistola ad Hasen regem de re recta”, sembra testimoniare un suo forte interesse per l'alchimia, successivamente sottoposta a critica. Certamente apocrifo è invece il “De anima in arte alchemiae”, che ne fece agli occhi degli occidentali una delle massime autorità alchemiche.