10 dicembre 2012

SARGON, IL PRIMO CONQUISTATORE “POLIORCETICO” TRA STORIA E LEGGENDA


Nella fertile culla della civiltà, tra il Tigri e l’Eufrate, la parabola del fondatore del primo impero conosciuto. Nella terra delle origini, dell’invenzione della scrittura, delle comunità urbane isolate, si assiste all’evoluzione di nuove tecniche di guerra e di conquista che daranno ordine alla prospettiva di contatti tra gli uomini, di organizzazione politica e burocratica, di sviluppo economico
 
IL PROTOTIPO DI MOSÈ NELLA TERRA-MADRE DOVE TUTTO HA INIZIO
Io sono Sargon, re forte, re di Akkad. Mia madre era una sacerdotessa; mio padre non lo conosco; era uno di quelli che abitano le montagne. Il mio paese è Azupiranu sull’Eufrate. La sacerdotessa mia madre mi concepì e mi generò in segreto; mi depose in un paniere di giunco, chiuse il coperchio con del bitume, mi affidò al fiume che non mi sommerse. I flutti mi trascinarono e mi portarono da Aqqui, l’addetto a raccogliere acqua. Aqqui, immergendo il suo secchio, mi raccolse. Aqqui, l’addetto a raccogliere l’acqua, mi adottò come figlio e mi allevò. Aqqui, l’addetto a raccogliere l’acqua, mi fece suo giardiniere. Durante il periodo in cui ero giardiniere la dea Ishtar mi amò. Per… anni io fui re.
È in questa celebre iscrizione la prova dell’esistenza di Sargon I di Accadia, a metà tra storia e leggenda (in una nascita fortunosa affidata alle acque di un fiume come un prototipo di Mosè): primo re della storia creatore di un vero e proprio impero su vasto territorio. Ma non si può leggere questa pagina di civiltà senza scorrere le precedenti che originano la civiltà stessa. Sargon stabilisce il suo primato di conquistatore e di governante perché la terra in cui agisce è anch’essa un primato storico e umano che ha generato, attraverso una misteriosa opera evolutiva degli uomini, le strutture e la concezione per la conquista e il governo: “L’Homo sapiens intraprese un’incredibile trasformazione circa 6000 anni fa. L’uomo cacciatore e agricoltore si trasformò all’improvviso in uomo cittadino, e nell’arco di poche centinaia di anni si ritrovò a praticare la matematica avanzata, l’astronomia e la metallurgia! Il luogo dove all’improvviso sorsero queste prime città era l’antica Mesopotamia, una pianura fertile tra i fiumi Tigri ed Eufrate dove oggi si estende il moderno Iraq. Quella civiltà si chiamò Sumer (luogo di nascita della scrittura e della ruota), e sin dai suoi inizi mostrò una straordinaria somiglianza con la civiltà e con la cultura odierni”. A. F. Alford, Il mistero della genesi della antiche civiltà, p.141.
 
Banalmente, Sargon non avrebbe potuto conquistare le prime città se i Sumeri non avessero avviato le iniziali fasi di urbanizzazione sin dal IV millennio avanti cristo: “Tra l’11.000 e il 4000 a.C. l’uomo disponeva del medesimo potenziale di intelligenza di oggi, ma in genere conduceva un’esistenza nomade. La popolazione crebbe rapidamente ovunque nel mondo. Poi, dal 3800 a.C. una serie di sviluppi portarono all’avvento di una nuova élite di uomini civilizzati. Questa fase iniziò nelle città di Sumer ricostruite negli stessi luoghi in cui erano sorte prima del diluvio”. A. F. Alford, Cit., p.393.
 
Una cultura urbana che caratterizzerà le civiltà a venire. Non poca cosa nel buio dell’origine sconosciuta, forse asiatica, dei Sumeri insediatisi nella terra tra i due fiumi: “Proprio in questa regione, dove le condizioni climatiche sono proibitive, sorse, attorno al 3000 a.C., la prima civiltà umana. È Uruk, infatti, la prima città della storia dell’umanità. È Uruk la sede del primo Stato organizzato dell’uomo”. G. Pettinato, I Sumeri, p.10.
 
Dai Sumeri non ereditiamo solo città, ma imponenti monumenti architettonici e innumerevoli documenti scritti. A loro si devono i primi rudimenti di “matematica, astronomia, astrologia con una vasta influenza sull’Occidente: alla Mesopotamia dobbiamo anche la suddivisione del tempo in settimane e del cerchio in spicchi di 360 gradi e l’introduzione di longitudine e latitudine, come coordinate geografiche nella navigazione. Sviluppano anche una scienza medica raffinata che influenzò profondamente la medicina delle culture occidentali, come per esempio la Grecia”. Bardeschi C. D., Mesopotamia, La culla della civiltà, p.105.
 
Lo stesso si può dire nel campo della religione, dell’arte e soprattutto della scrittura, grazie al ritrovamento di numerose iscrizioni in cui appare evidente che “gli abitanti della Mesopotamia avevano redatto cronache molto particolareggiate, e che avevano conservato informazioni e notizie sotto forma di scritture cuneiformi incise su tavolette d’argilla… Dopo un secolo di traduzioni di testi sumerici, gli studiosi non hanno però trovato parole prese a prestito o indicazioni di sistemi di scrittura precedenti. L’invenzione della scrittura è dunque tutta dei Sumeri”. A. F. Alford, Cit., pp.145.
 
Sono ovviamente immani le difficoltà di ricostruzione della storia e delle acquisizioni di questo popolo, di cui restano ignote sia le origini che l’appartenenza etnica, mentre le stesse fonti di ricerca sono per lo più affidate agli scavi e alla filologia su testi o frammenti antichi: “L’archeologia, la cultura materiale e la documentazione degli archivi cuneiformi ci permettono di ricostruire le tappe principali di questo percorso e di intravedere alcuni momenti della vita quotidiana, del fervore dei commerci e degli scambi, dell’attività letteraria e scientifica, della grande capacità inventiva artistica, architettonica e tecnologica di questa civiltà… La storia, la cultura e l’arte della Mesopotamia si basano essenzialmente sulla documentazione archeologica e sui testi cuneiformi, a partire dai Sumeri. Sull’indagine archeologica si fonda la possibilità di disporre di dati diretti e tangibili, seppure frammentari, di una società e di una cultura, attraverso le espressioni della vita quotidiana e delle strutture organizzative politiche, religiose, difensive e così via”. Bardeschi C. D., Cit., pp.7, 22. 

Tutto questo è e sarà la Mesopotamia, non tanto una civiltà o un’etnia ma una terra-madre gravida di civiltà e popolazioni in movimento nei millenni: Sumeri, Accadi, Assiri, Amorrei, Hurriti, Cassiti, Babilonesi, Persiani, ecc., con tracce che risalgono fino al Paleolitico del 300.000 a.C. Un angolo del pianeta, allora sconosciuto, tra i più fertili dell’antichità, fulcro delle principali vie di comunicazione con l’Egitto, il Mediterraneo e l’Asia. Ecco perché culla della civiltà: perché luogo naturale di un primordiale sviluppo demografico ed economico nell’ambito della nascita di nuovi insediamenti coloniali.
 
 
 
 
RE GUERRIERO, FONDA L’IMPERIALISMO PRIMA ANCORA CHE UN IMPERO
Con i Sumeri dunque gli uomini si urbanizzano e si organizzano in città-stato (Ur, Uruk, Lagash, Erech) costantemente in lotta tra loro ed esposte alla pressione delle migrazioni orientali. Abbiamo così le tracce della “prima documentazione sulla materia di fare la guerra che risale al IV millennio a.C., quando troviamo raffigurate sulle impronte di sigillo, ritrovate a Uruk e Susa, scene di guerra e di cattura di prigionieri; le armi della caccia e della guerra sono essenzialmente le medesime: arco, frecce e lunghe lance… Nel corso del III millennio, i Sumeri, introducono le armi in bronzo – come spade, asce ed elmi – e il carro”. Bardeschi C. D., Cit., p.49.
 
In questo quadro si inseriscono gli Accadi di Sargon I che riuscirà a sottomettere i Sumeri ed inglobare in un impero unitario, il primo della storia, gran parte dei territori della Mesopotamia. Un dominio della durata di almeno due secoli i cui confini toccheranno anche l’Elam (Iran Sud occidentale), parte della Siria e dell’Asia Minore fino a sfociare nel Mediterraneo. Il nostro personaggio regna per lunghi anni tra il 2334 e il 2279 a.C. ma non si conosce il meccanismo attraverso il quale la sua stirpe semita consegue il potere: “Forse si trattò di un colpo di stato ai danni di una dinastia piuttosto recente e poco amata dal popolo… Dopo un periodo di consolidamento del suo regno, costruito praticamente ex novo, il condottiero diede inizio a una progressiva espansione che lo avrebbe portato a combattere e vincere 34 battaglie nel solo territorio sumerico, sovrapponendo una monarchia assoluta di stirpe semita a un coacervo di città-stato sumeriche”. A. Frediani, I Grandi condottieri che hanno cambiato la storia, p.485.
 
È grazie alla scrittura, e all’archeologia, che siamo a conoscenza dei successi di questo antico monarca incisi su tavolette e definito “Re di Akkad, Re di Kish” che in battaglia ha sconfitto le città di “Uruk, Ur e Lagash”. Per il resto permangono le stesse difficoltà di ricerca pari al mistero che ancora avvolge la nascita della civiltà sumera: “In effetti sono stati compiuti diversi tentativi per spiegare l’origine della cultura sumera in quanto evoluzione di culture preesistenti nella Mesopotamia. Questi studi si concentrano sui ritrovamenti di terraglie e dimostrano che il popolo sumero viveva in quelle zone già da migliaia di anni. Ma queste spiegazioni non chiariscono perché fosse divenuto improvvisamente necessario a quegli uomini vivere in città organizzate… se il cervello umano è il tallone di Achille degli evoluzionisti, la tecnologia dei Sumeri è quello degli storici… Ebbene, i Sumeri attribuirono i loro progressi, e anzi la loro stessa origine, agli déi in carne e ossa… Il paradigma della moderna scienza esige che qualsiasi riferimento agli déi venga classificato come mitologia… Ogni mito – sia esso scientifico, religioso o riferito alle tradizioni antiche – racchiude elementi di verità storica”. A. F. Alford, Cit., p.38, 142.
 
È così anche per Sargon, già dalla sua stessa nascita, che secondo la leggenda viene partorito ad Azupiranu da una sacerdotessa della dea Inanna e affidato in gran segreto alle acque dell’Eufrate in una cesta di vimini. Trovato da un portatore di brocche, viene introdotto alla corte di Kish per diventare col tempo coppiere del re Ur-Zabada. Sargon non perderà mai il favore di Inanna, dea dell’amore, una delle più importanti del Vicino Oriente – come Afrodite per i Greci e Venere per i Romani. Ma è anche ambiziosa dea della guerra: “Fu allora, secondo gli antichi testi, che Inanna trovò l’uomo che era destinato a diventare lo strumento delle sue ambizioni, colui che fondò la città di Agade e successivamente l’impero accadico. Quest’uomo era Sargon il Grande…”. A. F. Alford, Cit., p.163.
La leggenda vuole che Sargon, intorno al 2350 a.C., depone il re e si mette a capo della sua comunità  rovesciando la precedente dinastia regnante e intraprendendo una serie di imprese militari che lo porteranno a fondare in pochi anni l’impero più antico di cui si abbia memoria storica: fortemente centralizzato, basato sul controllo dalla capitale, affidato a rigide regole burocratiche e uomini di fiducia nelle posizioni strategiche. Se i Sumeri hanno creato il senso sparso della comunità civile, Sargon ne è l’evoluzione verso il senso dell’ordine e dell’aggregazione politica ed economica in un sistema dispotico orientale. Egli ha quindi in sé l’idea di unità e di impero che non può che realizzare attraverso la guerra, un nuovo modo di fare la guerra, attraverso l’arte poliorcetica di assedio e espugnazione di città fortificate: “Sargon I il Grande fu un vero eroe e un modello da imitare per i sovrani antichi dell’area centro asiatica, così come Alessandro Magno lo sarebbe stato per i conquistatori greco-romani. È difficile stabilire quali fossero le sue tattiche e le sue strategie… Possiamo supporre che i suoi rapidi movimenti e la sua alacre attività militare fossero assecondati da eserciti relativamente poco numerosi, impressione confermata da una delle sue iscrizioni, nella quale si attesta che 5400 uomini mangiavano con lui… quello che è certo è che le sue truppe erano dotate di arco e giavellotto, e apparivano assai più dinamiche di quelle sumeriche, pesantemente corazzate… Fu certamente un comandante dotato di grande carisma, determinato e con un’alta concezione di sé, in grado di trasmettere grande sicurezza ai propri uomini, ricavandone il massimo impegno in battaglia e nel corso di una campagna. Abile nell’arte poliorcetica, si suppone che abbia fatto largo uso di macchine ossidionali nel corso dei suoi tanti assedi, in particolar modo gli arieti, di cui si valse per abbattere le mura delle imponenti città sumeriche”. A. Frediani, Cit., p.488.
 
Tutto questo nella storia di Sumer e della Mesopotamia ha un impatto enorme: “Il significato della dinastia di Akkad nell’ultimo quarto del III millennio fu tale che i popoli posteriori ne conservarono un ricordo indelebile. Moltissime infatti sono le composizioni che si rifanno alle gloriose gesta soprattutto di due dei sovrani più importanti della dinastia: Sargon, il fondatore della dinastia, e suo nipote Naramsin. Il primo immortalato per aver creato il primo impero semitico della storia, il secondo per averlo consolidato e portato al massimo splendore”. G. Pettinato, Cit., p.259.
Una volta al potere, l’operazione chiave iniziale è rivolta contro il re di Uruk, Lugalzaggisi, già a suo modo sovrano di buona parte della Mesopotamia meridionale, sorpreso in un attacco mentre è ancora impegnato ad allestire un esercito: “Quel che è certo è che lo scontro diede la vittoria a Sargon, che poté catturare Lugalzaggisi e condurlo in maniera umiliante, sotto giogo, a Nippur, dove lo fece sfilare per le vie della città”. A. Frediani, Cit., p.489.
Ed è proprio dalle copie di iscrizioni originali rinvenute nella città di Nippur che si può ricostruire il percorso politico e militare del fondatore della nuova dinastia. Infatti Sargon non si ferma ad Uruk, ma in una serie di battaglie poliorcetiche espugna Ur, Lagash, E-Nimmar e Umma, di cui rade al suolo le mura: “A quel punto, Sargon aveva sotto il controllo l’intero settore mesopotamico a ridosso del Golfo Persico, e poté vantarsi, in una delle sue iscrizioni, di essere il padrone del traffico marittimo. La più notevole delle conseguenze della sua espansione, infatti, era il possesso delle rotte commerciali oltremare, che arricchì il suo regno e gli permise di guardare anche oltre”. A. Frediani, Cit., p.486.
 
Non solo, quindi, dominio per il dominio ma unità politica e territoriale che intensifica i commerci, gli scambi e l’apertura di nuove rotte terrestri e marittime giacché Sargon non si ferma alle città sumeriche, ma prosegue; e proseguendo entra in contatto con altre civiltà: “Il nuovo re non si accontenta delle vittorie militari, a capo delle città conquistate egli pone governatori di Akkad, instaurando per la prima volta un sistema politico e amministrativo che autorizza gli studiosi a parlare del suo regno come del primo tentativo di costituzione di un impero”. G. Pettinato, Cit., p.261.
 
…E dunque prosegue risalendo il corso dell’Eufrate conquistando città nei territori dell’odierna Bagdad, poi procedendo in pieno territorio siriano fino a Ebla e i monti dell’Amano; e ancora sulla costa libanese, in Anatolia e Cappadocia, nel Mediterraneo fino a Creta, nella valle del Tigri e in territorio iraniano. Tutto questo con eccidi, stragi di massa, affrontando terribili calamità naturali, fa dire al re in un’iscrizione “Ora, ogni re che vuole chiamarsi mio eguale, dovunque io andai, che ci vada”: “Per la prima volta tra i titoli di un sovrano compare quello di re della totalità, e i confini del suo dominio, così come vengono indicati in un testo posteriore, si identificarono con i quattro punti cardinali: il Nord rappresentato dal mare superiore, il Sud dal mare inferiore, l’Est dall’Elam e l’Ovest dalla Siria-Palestina”. G. Pettinato, Cit., p.263.
 
Tuttavia la vastità dell’impero di Sargon è anche la sua debolezza per via di continue immigrazioni di popoli asiatici occidentali che causano disordini e instabilità interna. Infatti “sul finire del suo regno, che si estendeva ormai, a est, fino allo Zagros e al Golfo Persico, a ovest al Tauro e al Mediterraneo, Sargon fu costretto ad affrontare una serie di rivolte non si sa in quali settori. Nonostante l’età avanzata se la cavò egregiamente… È però chiaro che non estinse del tutto i focolai di ribellione, poiché i suoi figli, che gli succedettero sul trono accadico, inaugurarono i loro rispettivi regni con campagne per sedare varie ribellioni. L’impero accadico, caratterizzato, dopo la sua morte, da una sempre più accentuata instabilità politica, si sarebbe comunque dissolto nell’arco di un secolo e mezzo dall’inizio del regno del suo fondatore, con l’invasione dei Gutei”. A. Frediani, Cit., p.488.
 
Nel frattempo, fino alla caduta dell’impero, tra i successori di Sargon “il secondo figlio, Manishtushu, una volta consolidato il potere in Mesopotamia, promuove il commercio con l’estero spingendosi fino alle miniere d’argento e alla montagna di diorite in territorio iranico. È soltanto con il nipote Naramsin che l’impero accadico comincia ad assumere quella dimensione di cui i posteri diedero merito a Sargon. Egli risolve definitivamente il problema dei rapporti con l’Elam stringendo un patto d’alleanza con Khita, un re del luogo… Il sovrano quindi dedica tutta la sua attenzione al Nord, dapprima spingendosi verso il paese di Subaru, sopra l’Assiria, e quindi verso la Siria-Palestina raggiungendo forse anche Ebla”. G. Pettinato, Cit., p.264.
Con il crollo dell’impero accadico le città sumere riacquistano indipendenza e autonomia, ma nella cronologia mesopotamica non verrà mai meno l’idea di impero come si vedrà con gli Assiro-Babilonesi, i Persiani, i Macedoni, i Parti e gli Arabi.

8 novembre 2012

COPERNICO E L’IPOTETICA RIVOLUZIONE CHE SPEDÌ LA TERRA IN PERIFERIA

Osservazioni celesti a bassa voce, urlate solo in punto di morte, spodestano l’uomo e il mondo dal centro dell’Universo. Chiesa e dogmi teologici fatti a pezzi dalla cautela e dalla furbizia di uno studioso che evita il rogo per eresia e scolpisce il suo nome sulla nascita della Scienza moderna
 
UOMO, DIO E SCIENZA ALLE PORTE DEL SACRO MACELLO
…E siamo a cavallo tra XV e XVI secolo, tra ‘400 e ‘500, tra Umanesimo e Rinascimento, un’epoca che influenzerà radicalmente quelle successive, nonostante  l’Europa ripiomba nel buio con le guerre di religione del ‘600: “Umanisti furon detti appunto quei diligenti topi di biblioteca, quegli impavidi sommozzatori di archivi, che si dedicarono alla scoperta dei testi classici scampati alle distruzioni e alle dispersioni del Medio Evo, li disseppellirono dagli scantinati dei conventi dove i monaci, specie i benedettini, li avevano preservati e spesso trascritti... Questa resurrezione della cultura classica fu uno degli elementi del Rinascimento, forse il primo, certamente uno dei maggiori. …La sintassi ai prosatori, …la metrica ai poeti, …le nozioni agli architetti. Ma questi prosatori, poeti, architetti eccetera non si limitarono alla semplice imitazione dei modelli classici. Fu quello che vi aggiunsero a fare del Rinascimento la più grande esplosione del genio umano che la storia abbia registrato dopo il secolo d’oro ateniese”. I. Montanelli, Storia d’Italia 1250-1600, p.12.
 
Anche in questo caso, insomma, si tratta di secoli d’oro mentre per innovazioni e scoperte scientifiche parliamo di tempi rivoluzionari nel senso più profondo del termine: l’uomo e tutto l’esistente fisico e metafisico, da allora, non saranno più gli stessi. Il nome proprio di questo nuovo ordine per la concezione antidogmatica dell’uomo e del mondo appartiene per molti versi a Niccolò Copernico e alla riesumazione analitica dell’antica Teoria Eliocentrica sul sole, non la terra, centro dell’Universo: “Di pari passo con il movimento culturale umanistico si affermò, tra le fine del Quattrocento e la prima metà del Cinquecento, la civiltà del Rinascimento, che conseguì soprattutto in Italia le affermazioni più alte e originali. Motivo fondamentale di questa rinascita fu una sorta di religione per le letterature e le civiltà antiche e da essa scaturì la tendenza di far rinascere mediante l’imitazione, forme ed espressioni dell’antica civiltà considerata come un modello insuperato e insuperabile. Scultori, pittori e architetti… crearono opere considerate un patrimonio prezioso per l’umanità. Alla ripresa dell’arte fece, altresì, riscontro quella della scienza…”. L. Gatto, La grande storia del Medioevo, p.76.
 
Una vera e propria semina di conoscenza che nemmeno la Guerra dei Trent’anni (1618-1648), un lungo conflitto a metà tra scontro religioso e riscrittura della carta d’Europa, riuscirà a frenare: “…La crisi di stanchezza e quindi la reazione dell’Europa ai sacri macelli di cui è stata vittima per quasi un secolo. Questi macelli sono stati perpetrati in nome di Dio, o per meglio dire di due diverse interpretazioni di Dio, e hanno trovato alimento nel furore teologico. Per porvi fine e prevenirne degli altri, bisogna battere in breccia la teologia distraendo l’uomo dalla contemplazione del cielo, dove esso non sembra trovare altra ispirazione che a guerre e persecuzioni, per riportarne l’attenzione sul suo regno: la Natura… E questo tema è l’invito alla scienza perché la scienza è appunto lo studio della Natura”. I. Montanelli, Storia d’Italia 1600-1789, p.203.
 
La premessa fondamentale per resistere al tentativo permanente di soppressione ecclesiastico del sapere risiede proprio nel risveglio cinquecentesco della scienza, basato sul coraggio di un nuovo percorso di ricerca, che innalza l’indagine empirica sull’esistenza da hobby a fondamento di verità per l’uomo. Una via di fuga dalle gabbie delle superstizioni di cui, ad esempio, la caccia alle streghe è solo una parte: “Il Cinquecento, lo abbiamo già detto, era stato più il secolo degli artisti e dei letterati che degli scienziati, specialmente in Italia. Ma fu proprio in questo periodo che fra le mani di Leone X, il grande Medici, capitò un libricino intitolato Piccolo Commentario che preannunciava una delle più grandi scoperte scientifiche di tutti i tempi, forse la più grande di tutte: la scoperta cioè che il centro dell’Universo non era la terra, ma il Sole”. I. Montanelli, Cit., p.207.
 
L’ETERNITÀ DI UNA BIOGRAFIA BREVE SEPOLTA IN UNA TOMBA IGNOTA
Non dovrebbe essere difficile definire Copernico padre dell’astronomia moderna, e infatti difficile non è ma nemmeno scontato. Arriva a questo mirabile titolo dopo un accavallarsi onnivoro di attività e studi. Nasce nel 1473 a Torún, in Polonia, e a vent’anni si reca in Italia per frequentare giurisprudenza e medicina tra Bologna e Padova. Si laureerà in diritto canonico a Ferrara nel 1503 avendo già assunto, qualche anno prima, proprio l’incarico di canonico di Ermia accanto ad un suo zio vescovo.
Lasciata l’Italia torna a Frombork, si interessa di riforme del sistema monetario e sviluppa studi di economia politica. Da qui, con il successivo incarico di amministratore dei territori della città di Olsztyn, si impegna in questioni di catasto, giustizia e fisco. E in questa variegata flessibilità lavorativa che, già da studente, si addentra nell’astronomia e nelle prime osservazioni ma “non fu mai un astronomo di professione, e alla grande opera per cui divenne giustamente famoso dedicò il suo tempo libero”. M. Hart, Gli uomini che hanno cambiato il mondo, p.82.
 
Astronomo puro o no, trae una serie di intuizioni dalle antiche opinioni sul movimento terrestre ed inizia a fissarle nero su bianco fino a farne opera compiuta che sarà il De Revolutionibus orbium coelestium: “Per la prima volta, non più come ipotesi basata solo sull’intuizione, ma come teoria poggiata sull’osservazione e il calcolo, degrada la terra da centro del Creato a suo periferico frammento, con tutte le conseguenze che ne derivano”. I. Montanelli, Cit., pp.208-209.
 
Ma visti i tempi accanitamente ostili da parte delle sfere ecclesiastiche ad aperture del minimo dialogo sui propri dogmi – in questo caso considerando indiscutibile il secolare sistema tolemaico sulla centralità della terra nell’universo – Copernico tarda il più possibile la pubblicazione ufficiale dei suoi studi.
Troppo facilmente potrebbe guadagnarsi un’accusa di eresia e subirne le nefaste determinazioni: “Le conseguenze erano catastrofiche, specialmente per la teologia. Cattolica o protestante, essa pone a fondamento della sua costruzione la premessa che tutto è stato creato in funzione dell’uomo… Tutto ciò che l’onnipotente ha fatto, lo ha fatto per l’uomo, dandogli in appalto il centro immobile di un Cosmo che ruota attorno a lui… Sopra l’uomo c’è il paradiso, sotto l’uomo c’è l’inferno: tutto confezionato per lui. Il crollo di questo sistema pone alla mente domande terribili. Se il suo abitacolo non è che un frammento relegato alla periferia del Creato, che fondamento ha la pretesa dell’uomo di considerarsene il centro? E perché il Signore avrebbe mandato suo Figlio a morire proprio su questa scheggia persa tra le tante che popolano l’infinito?... Tutte le più radicate certezze su cui l’uomo ha costruito la propria vita e creduto di interpretare la propria missione e il proprio destino, escono sconvolte dalla nuova teoria… L’interpretazione cristiana del mondo non ha mai subito un attacco più pericoloso di questo”. I. Montanelli, Cit., p.209.
 
E quindi si arriva al 1533, con un sessant’enne Copernico che comincia ad enunciare gli elementi principali della sua teoria in una serie di conferenze a Roma. Ma la pubblicazione dell’opera avverrà soltanto nel 1543, nell’unica e ultima possibilità per l’astronomo di accarezzarne la prima copia il giorno della sua morte, il 24 maggio dello stesso anno. Certamente una gran “furbata” lasciare ad altri il peso della condivisione e del perfezionamento di una rivoluzione ormai in movimento che scardina senza appello le più antiche certezze. Tuttavia, non solo furbizia ma un profondo turbamento per l’evidente contrasto tra le sue conclusioni e quanto contenuto nelle Sacre Scritture.
Una vita dunque tenuta sotto traccia anche in una sepoltura travagliata nella cattedrale di Frombork. Per secoli l’osservatore del nuovo pianeta Terra non sarà più ritrovato. Nientemeno nel 2008 alcuni ricercatori riusciranno a riconoscerne il corpo da analisi del Dna su capelli tratti da suoi libri. E così si arriva a solenni esequie soltanto nel 2010.
 
UNA RIVOLUZIONE TRAVESTITA DA IPOTESI PER NON ARROSTIRE SUL ROGO
“Sia nella fisica che nella matematica, nella meccanica, nell’astronomia, gl’italiani furono i più grandi specialisti di questo periodo. Ma i loro studi restavano costruzioni senza tetto, perché dalle leggi che via via scoprivano essi non potevano risalire all’idea generale cioè all’idea filosofica, che per forza di cose li avrebbe messi in contrasto col dogma e fatti cadere sotto le grinfie dell’Inquisizione”. I. Montanelli, Cit., p.204.
 
Questo pericolo Copernico l’ha ben chiaro e decide di restare abilmente sul terreno delle ipotesi, imponendosi di non assumere impostazioni rivoluzionarie ma spulciando nei testi della filosofia antica alla ricerca di nuove metodologie di calcolo per dare una risposta alle evidenti incertezze degli astronomi. La sua teoria eliocentrica, infatti, non è una novità assoluta, non è una sua invenzione ma una rilettura analitica – ovvero munita di calcoli, dati e rilievi – delle congetture di diciassette secoli prima avanzate dall’astronomo greco Aristarco di Samo: “Copernico ha bisogno di bellezza. L’universo è chiuso ed è sferico perché è un corpo divino. Il sole sta nel mezzo perché è la lampada che tutto illumina nello stesso tempo. Già Eraclide Pontico e Aristarco di Samo avevano proposto il sistema eliocentrico, ma non erano stati ascoltati e di quell’idea nessuno se ne ricordava più”. M. Rigutti, Galileo Galilei, p.18.
 
Il limite di Aristarco sta infatti nella mancanza di dati per convalidare la sua intuizione sull’immobilità del sole e delle stelle e sulla rotazione della terra percorrendo una circonferenza. E così l’eliocentrismo non “aveva resistito alle confutazioni di Tolomeo d’Alessandria, che nel secondo secolo dopo Cristo aveva formulato la cosiddetta teoria geocentrica che restituiva alla terra la sua posizione di fulcro dell’universo come dice la Bibbia: teoria che, appunto, dal nome del suo autore, si chiamò tolemaica. E per più di un millennio nessuno l’aveva più messa in discussione”. I. Montanelli, Cit., p.207.
 
Nessuno fino a Copernico; che recupera concretamente l’eliocentrismo e rivoluziona il modo di concepire l’universo, segnando il punto di partenza non solo dell’astronomia moderna ma della scienza moderna: “Anche se Aristarco di Samo aveva proposto l’ipotesi eliocentrica oltre diciassette secoli prima di Copernico, non è sbagliato attribuirne il merito a quest’ultimo. Aristarco aveva azzardato un’ipotesi, anche se brillante, ma non aveva mai presentato questa sua teoria corredandola dei particolari indispensabili a renderla scientifica. Copernico invece elaborò nei dettagli i necessari calcoli matematici, e la trasformò in una teoria scientifica utile, che poteva essere applicata per fare delle previsioni, verificare con osservazioni astronomiche, e confrontata significativamente con la vecchia teoria secondo cui la terra era il centro dell’universo”. M. Hart, Cit., p.83.
 
DA …GEO A …ELIO: UN TRATTATO “ZEPPO DI ERRORI” MA ESATTO
Per la sua opera e per mantenere la cautela che ne segna gli studi e le osservazioni, Copernico fissa i termini della nuova cosmologia non distanziandosi troppo dagli stessi dati dell’astronomia tolemaica: perfetta sfericità e finitezza dell’universo, immobilità del sole dovuta alla sua natura divina. I fondamenti della sua “ipotesi” sono pronti e senza troppo clamore li affida alla stesura del De Revolutionibus orbium coelestium (1543), passando così ufficialmente dalla teoria GEOcentrica a quella ELIOcentrica: la terra gira intorno al proprio asse, la luna gira intorno alla terra, la terra e gli altri pianeti girano intorno al sole. La descrizione del sistema copernicano si compone di 6 libri che vanno dalla visione generale dell’eliocentrismo ai movimenti apparenti del sole, dalla conformazione della luna alla concreta esposizione della nuova concezione. In sintesi il nuovo universo può sintetizzarsi nei 6 assunti già esposti dall’astronomo polacco, tra il 1507 e il 1512, nel piccolo commentolario (De hypothesibus motuum coelestium commentariolus) a compendio del De Revolutionibus…:
 
  1. Non vi è un unico punto centro delle orbite celesti e delle sfere celesti;
  2. Il centro della Terra non è il centro dell'Universo, ma solo il centro della massa terrestre;
  3. La distanza fra la Terra ed il Sole, paragonata alla distanza fra la Terra e le stelle del Firmamento, è infinitamente piccola;
  4. Il movimento del Sole durante il giorno è solo apparente, e rappresenta l'effetto di una rotazione che la Terra compie intorno al proprio asse durante le 24 ore, rotazione sempre parallela a se stessa;
  5. La Terra (insieme alla Luna, ed esattamente come gli altri pianeti) si muove intorno al Sole ed i movimenti che questo sembra compiere (durante il giorno e nelle diverse stagioni dell’anno, attraverso lo Zodiaco) altro non sono che l’effetto del reale movimento della Terra;
  6. I movimenti della Terra e degli altri pianeti intorno al Sole possono spiegare le stazioni, le stagioni e le altre particolarità dei movimenti planetari.
Il dado è tratto ma lì per lì “a rendersene conto furono in pochi… La Chiesa non aveva afferrato le implicazioni e le conseguenze di quella rivoluzionaria scoperta perché, tutto sommato, non ci credeva: seguitava a considerarla una semplice congettura, una specie di balocco per intellettuali in vena di originalità”. I. Montanelli, Cit., pp.209-210.
 
La teoria di Copernico, infatti, presenta difetti e inesattezze che non la distanziano moltissimo dal sistema tolemaico, se non nel punto ovviamente centrale/rivoluzionario della posizione solare e terrestre. Il nuovo sistema non appare né più semplice, né più preciso, né più accurato: “Come i suoi predecessori peccò per difetto nel valutare le dimensioni del sistema solare, e commise l’errore di ritenere che le orbite descrivessero cerchi o epicicli”. M. Hart, Cit., p.82.
 
E ancora: “Il libro era zeppo d errori, anche marchiani: fra cui quello che il sole è il centro di tutto l’Universo e sta fermo. Conserva, di Tolomeo, una cervellotica e macchinosa farragine di sfere, cicli, epicicli, eccetera. Ma per la prima volta, non più come ipotesi basata solo sull’intuizione, ma come teoria poggiata sull’osservazione e sul calcolo”. I. Montanelli, Cit., p.208.
 
Ma è proprio nelle inesattezze che tutto sommato Copernico preserva la sua opera da accuse di eresia presentandola, appunto, come ipotesi o come metodo di calcolo per prevedere la posizione dei pianeti; e infine dedicandola a papa Paolo III.
Ancor più a vantaggio di questa impostazione interverrà la tanto contestata prefazione al testo di Andrea Osiander (teologo e scienziato tedesco), correttore di bozze del De Revolutionibus…, che di sua iniziativa prova a chiarire che si tratta di un esercizio matematico finalizzato a semplificare la complessità metodologica della visione geocentrica: “Non dubito che alcuni studiosi, diffusa ormai la fama della novità di questa opera, che pone la terra mobile e il sole immobile in mezzo all’universo, si siano fortemente risentiti, e ritengano che non c’era alcun bisogno di rendere incerte le discipline liberali, una volta sapientemente stabilite. Se essi vorranno però riflettere saggiamente sulla cosa, troveranno che l’autore di questa opera non ha commesso nulla che meriti rimprovero. È infatti proprio dell’astronomo prima registrare la storia dei moti celesti mediante osservazioni abili e accurate; quindi, escogitare e supporre le loro cause, ossia certe ipotesi, in un modo qualsiasi, non potendole dimostrare in alcun modo come vere. Partendo da tali ipotesi, si possono calcolare correttamente i moti celesti, in base ai princìpi della geometria, tanto nel futuro che nel passato. (...)Permettiamo dunque anche a queste nuove ipotesi, fra le antiche, il diritto di farsi conoscere, ma non come più verosimili, tanto più che sono ammirevoli e semplici, e recano con sé un grande tesoro di osservazioni dottissime.(...)Salute”.
 
Insomma, Copernico è pienamente un umanista che scruta nel sapere antico per formulare, a partire da quello, nuove forme ed espressioni. E così scrive: “Mi pare di aver raggiunto la consapevolezza che i matematici non hanno idee chiare attorno a questi moti… Essi non usano né gli stessi principi e ipotesi né le stesse dimostrazioni. Così alcuni usano soltanto cerchi omocentrici, altri eccentrici ed epicicli, e tuttavia con questi mezzi non raggiungono integralmente i loro scopi… Né furono in grado di scoprire oppure di dedurre da tali mezzi la cosa più importante: vale a dire la forma dell’universo e l’immutabile simmetria delle sue parti”.
 
GALLERIA DI EROI E VITTIME ELIOCENTRICHE
Copernico ha e avrà ragione: abbiamo visto che non presenta la sua opera come rivoluzionaria, ma apre questioni che per il sistema tolemaico rappresenteranno una vera e propria frana. Se a quei tempi l’universo geocentrico ha valore da quasi due millenni, di fronte all’osservazione empirica e all’adozione del metodo scientifico perde ogni difesa. Però non da parte della Chiesa che, una volta riavutasi dall’iniziale assopimento sulla “carsica” rivoluzione astronomica presa un po’ sotto gamba, inizia la caccia agli uomini di scienza che abbracciano il nuovo corso.

Copernico ha ragione, ma la sua ragione la dimostreranno scienziati dopo di lui e alcuni patiranno terribilmente. Il più noto tra questi Galileo Galilei che nel 1609, potenziando il telescopio di cui gli giungono notizie come nuova invenzione dall’Olanda, si concentra sulle osservazioni celesti e sulla difesa del sistema copernicano. Per questo “si trovò sempre più in contrasto con la Chiesa a causa delle scoperte fatte con il nuovo telescopio: le montagne della luna; meno satelliti in orbita attorno a Giove; stelle troppo deboli da avvistare senza telescopio; le fasi di venere; l’esistenza delle macchie solari; la ragione per cui gli oggetti galleggiano o affondano in acqua; eliocentrismo, la teoria per cui la Terra ruota attorno al sole; il sostegno offerto alle teorie astronomiche di Copernico. Galilei pubblicò le sue osservazioni nel trattato Sidereus Nuncius. Esse si contrapponevano all’astronomia invalsa presso la Chiesa cattolica, e contraddicevano anche le idee scientifico-filosofiche del tempo”. T. C. Leedom/M. Churchville, Il libro segreto dei Papi, p.135.
 
Non curandosi dell’interpretazione letterale di vari passi delle Sacre Scritture rispetto alla validità “assoluta” della teoria geocentrica, egli “sfiderà, se occorre, le rivalità di potenti e vendicativi rappresentanti della Chiesa, che temono per il loro potere sul cervello e sulle coscienze degli uomini, si scontrerà con gli accademici del tempo che vedono diventar fumo i loro libri, sopporterà gelosie e invidie. Lo farà per più di due decenni, finché una forza più grande, invincibile, che lo porterà fino alla prigionia e alle soglie della tortura e alla sinistra visione del rogo, non lo fermerà”. M. Rigutti, Cit., pp.40-41.
 
Il grande scienziato non teme o non avverte il rischio, e l’ammirazione che gli deriva da papa Urbano VIII lo illude su un mal interpretato via libera. Non tiene conto appunto di quanto intimatogli dall’Inquisizione: “Non avverserebbe l’ipotesi copernicana se fosse presentata come ipotesi, pura e semplice, o come utile strumento di calcolo. Ma non come realtà: che lo sia non c’è alcuna prova, solo indizi, e questi non possono prevalere sulla parola delle Sacre Scritture che il Concilio di Trento ha proibito di interpretare a proprio piacimento… Può continuare a lavorare, può anche sostenere l’ipotesi copernicana purché la riconosca un’ipotesi, una semplice opinione, utile nei calcoli astronomici ma nulla più”. M. Rigutti, Cit., pp.60-62.
 
A maggior supporto di questa prescrizione giunge nel 1616 lo storico editto del Sant’Uffizio: “L’opinione che il Sole stia immobile al centro dell’Universo è assurda, falsa filosoficamente, e profondamente ereticale perché contraria alla Sacra Scrittura. L’opinione che la Terra non è il centro dell’Universo e anche che ha una rotazione quotidiana, è filosoficamente falsa, e per lo meno una credenza erronea”. I. Montanelli, Cit., p.217.
 
In tutta risposta Galileo pubblicherà il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo (tolemaico e copernicano), che si rivela un’eccellente esposizione a favore della teoria di Copernico. Sappiamo com’è andata a finire: nel 1633 lo scienziato portato in giudizio davanti al tribunale dell’Inquisizione, l’umiliazione dell’abiura e l’eppur si muove. “La Chiesa crede così di aver seppellito Galileo; e invece aveva solo dato un colpo di zappa a se stessa. Il mito della sua infallibilità non se n’è mai più riavuto”. I. Montanelli, Cit., p.217.
 
Difatti tra infallibilità percepita e infallibilità infranta la chiesa non arretra, e nel frattempo va peggio a Giordano Bruno che, sentendosi investito di una missione soprannaturale e volendo cambiare il mondo e riformare gli uomini “prende a prestito da filosofi antichi e contemporanei, impasta idee vecchie e nuove senza troppo curarsi della loro compatibilità, ed elabora una teoria sull’universo… Paragona la Terra a un cosmo infinitamente piccolo, annegato in un cosmo infinitamente grande. Il nostro pianeta non è al centro dell’universo perché questo, eterno e incommensurabile, non ha confini. I mondi che lo popolano non si contano e sono in continuo movimento. Neppure le stelle fisse sono immobili. Un flusso incessante anima la volta celeste, costellata di astri, abitati da essere viventi e intelligenti in ciascuno dei quali palpita la divinità”. I. Montanelli, Storia d’Italia 1250-1600, p.690.
 
Forse sul frate domenicano l’influenza copernicana è minima ma, per questa e tante altre ragioni, l’Inquisizione gli dà la caccia: condanna il filosofo come eretico ed esegue la condanna al rogo nel febbraio del 1600, mentre egli esclama: “Il timore che provate voi a infliggermi questa pena è superiore a quello che provo io a subirla”. I. Montanelli, Cit., p.693.
 
Ma di abiura in rogo, comunque, l’affermarsi di un moderno metodo scientifico diventa un processo inarrestabile. E toccherà all’astronomo tedesco Giovanni Keplero compiere un prezioso passo avanti nella dimostrazione della validità del sistema copernicano, questa volta attraverso cause fisiche e non modelli geometrici. Calcolando per anni l’orbita di Marte, si rende conto che le posizioni dei pianeti non compiono combinazioni di cerchi bensì di ellissi, diversamente da quanto ipotizzato sia dallo stesso Copernico che da tutti gli astronomi classici. Da qui fornisce una completa ed esatta descrizione del moto dei pianeti attorno al sole nell’opera intitolata Astronomia Nova (1609) in cui enuncia le tre famose Leggi di Keplero: “Primo, ogni pianeta si muove seguendo un’orbita ellittica di cui uno dei fuochi è il Sole. Secondo, il movimento è più rapido quando il pianeta è vicino al Sole, più lento quando è lontano. Terzo, il quadrato del tempo di rivoluzione di un pianeta intorno al Sole è proporzionale al cubo del grande asse dell’ellissi da lui descritta”. I. Montanelli, Cit., p.211.
 
Nel corso di pochi decenni l’importanza di queste Leggi appare evidente a tutta la comunità scientifica e a cascata diventano fondamentali per le teorie di Isacco Newton, lo scienziato inglese che dallo studio del moto dei corpi estrae i principi della dinamica e la famosa legge sulla gravitazione universale; il tutto condensato in una teoria scientifica unificata attraverso la quale “possono essere studiati praticamente tutti i sistemi meccanici macroscopici, dall’oscillazione del pendolo al moto dei pianeti nella loro orbita attorno al sole, e si possono fare previsioni circa il loro comportamento”. M. Hart, Cit., p.345.
 
E pensare che quest’ultimo, orfano di padre già prima della nascita, si ritira da scuola in adolescenza per volontà della madre che vuole farne un agricoltore.
 
IL LENTISSIMO RISVEGLIO ELIOCENTRICO DELLA CHIESA E SOLO NEL…!!!
Come già scritto, Copernico muore nel 1543 lasciando dopo di sé la marea montante della scienza nuova. Da qui solo:
“Nel 1757 i libri che insegnano il moto della terra sono cancellati dal catalogo dell’Indice dei libri proibiti dalla Chiesa;
nel 1822 il Sant’Uffizio con l’approvazione di papa Pio VII, ammette la difendibilità del copernicanesimo e autorizza la pubblicazione di libri che affermano il moto della Terra;
 
 
nel 1966 dopo il Concilio Vaticano II convocato da papa Giovanni XXIII, l’Indice dei libri proibiti viene abolito;
 
 
nel 1992 papa Giovanni Paolo II approva pubblicamente la filosofia galileiana”. M. Rigutti, Cit., p.123.
 
Il papa polacco dichiarerà: “Galileo, che ha praticamente inventato il metodo sperimentale, aveva compreso, grazie alla sua intuizione di fisico geniale e appoggiandosi a diversi argomenti, perché mai soltanto il sole potesse avere funzione di centro del mondo, così come allora era riconosciuto, cioè come sistema planetario. L’errore dei teologi del tempo, nel sostenere la centralità della terra, fu quello di pensare che la nostra conoscenza della struttura del mondo fisico fosse, in certo qual modo, imposta dal senso letterale della Sacra Scrittura”. T. C. Leedom/M. Churchville, Cit., p.137.
 
Circa 450 anni per prendere atto di un errore teologico protetto dietro la più intollerante delle dottrine: il dogmatismo.