19 marzo 2012

CARLO PISACANE, IL "LEONIDA" DEL RISORGIMENTO

Propugnò una rivoluzione sociale di popolo e il popolo lo schiacciò insieme ai suoi 300 “spartani”. Simbolo glorioso di una unità senza unità e di un’Italia senza italiani:
"Io non ho che la mia vita da sacrificare... ed in questo sacrificio non esito punto"

VITTIMA ILLUSTRE NEL PECCATO ORIGINALE DELLA DISUNITÀ D’ITALIA
Con la conclusione per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia vogliamo raccontare la storia di Carlo Pisacane, patriota risorgimentale, le sue idee e la sua caduta. Ma soprattutto ricordare uno dei simboli, in realtà, della disunità d’Italia.
Un’epopea che, come ci spiega Sergio Romano, deriva da circostanze politiche interne e internazionali. Una storia di coincidenze, avvenimenti casuali, calcoli sbagliati, errori generosi, ma anche di clientele, corruzioni, consorterie, contraddizioni e contrasti tuttora irrisolti: “La parola unità, del resto, aveva scarso seguito anche fra coloro che lavoravano consciamente per un profondo mutamento della geografia politica nazionale. Nel 1848 l’obiettivo era una confederazione di Stati italiani sotto la presidenza del Papa; nel 1859, la creazione di un forte Stato italiano nell’Italia Settentrionale, dal Piemonte al Trentino. Gli unitari, nel senso che la parola ebbe dopo il 1860, erano, quantomeno all’origine un gruppo di intellettuali d’estrazione piccolo borghese… La storia dei loro movimenti nell’ultimo decennio che precedette l’unità è fatta di episodi tragici o tragicomici come i moti di Milano del 1853 o la sfortunata spedizione di Pisacane nel 1857… Nei primi un pugno d’insorti cominciarono e terminarono nel giro di poche ore un’insurrezione mal preparata… Nella seconda trecento uomini furono trucidati dai contadini”. S. Romano, Storia d’Italia dal Risorgimento ai nostri giorni, p.16.

Pisacane si spiega in questo: nel peccato originale che ha segnato una unità senza unità, in un’Italia senza Italiani. Il cuore del suo pensiero ruotava attorno all’idea che per avere successo la rivoluzione nazionale doveva partire da una rivoluzione sociale. Quindi appropriarsi della concezione di Stato del popolo e partire assolutamente dal basso. Le masse andavano necessariamente coinvolte nel movimento rivoluzionario, chiamate in prima linea nel combattimento a difesa della propria patria. L’obiettivo era l’emancipazione del popolo e la rivoluzione agraria e contadina.

“In mezzo al frastaglio d’utopie, d’illusioni, d’intuizioni, di esperienze e di equivoci, che ha caratterizzato la vita sociale dell’Italia risorgimentale e in essa i trasalimenti di socialismo, una sola figura si caratterizza e si distingue da tutte le altre: Pisacane…
…È certo l’unico che ha avvertito l’esigenza di una radicale rivoluzione in un mondo e in un popolo dove si ondeggiava e sbandava tra la conservazione e la riforma, solo qualche volta spostandosi sul terreno dell’insurrezione. È l’unico che ha posto un’istanza di novità in un ambiente vecchio, stanco, dove da secoli dominava il compromesso, dove ogni speranza di novità affogava nel compromesso. È l’unico che ha condotto una lotta spietata contro la vecchia retorica italiana, sia quella dei reazionari, sia quella dei riformatori, contro l’antica retorica della romanità e del Medioevo, contro la nuova retorica del garibaldinismo e del sabaudismo.
È l’unico, infine, che nel problema italiano ha sentito che cosa si dovesse risolvere prima di tutto: immettere la grande massa assente degli italiani nel circolo della vita italiana, rompere il tradizionale divorzio fra popolo e società, fare della nazione la risultante dello sforzo popolare e l’espressione dello spirito popolare.”. G. Spadolini, Gli uomini che fecero l’Italia, p.177.

UNA RIVOLUZIONE PER UNA PATRIA SENZA POPOLO
Il Pisacane, dunque, apportò un notevole contributo in termini di questione sociale all’interno della varie sfaccettature mazziniane, liberali, federaliste del pensiero politico italiano del tempo: “Proprietà privata e disuguaglianza sociale sono per il Pisacane la causa della rovina delle società e delle civiltà. Delle corruzioni e decadenze della Magna Grecia, di Roma, dell’Italia comunale la cagione fu sempre la divisione nazionale in ricchi e poveri, cagionata a sua volta dal diritto di proprietà… Secondo il Pisacane non vi sono che due soluzioni: o libera associazione o dispotismo militare… Per lui la libertà significa libero esercizio delle proprie facoltà fisiche e morali, limitato dal mondo esteriore, dai bisogni, dai mezzi per soddisfarlo. La libertà è un sentimento innato e la si gusta senza nessuna speciale educazione; essa non ammette restrizioni di sorta… La società futura dovrà essere dunque fondata sulla libertà assoluta e la libera associazione: a ogni individuo tutti i mezzi materiali per il pieno sviluppo delle sue facoltà; nessun impegno non consensuale; sacro e inviolabile il frutto del proprio lavoro…”. L. Salvatorelli, Il pensiero politico italiano dal 1700 al 1870, pp.355-360.

Insomma, un vero e proprio progetto politico-sociale che partendo dal socialismo si indirizzò ben presto verso inclinazioni anarchiche: bandire le proprietà private, le fabbriche e i terreni dovevano appartenere al popolo, rendere più semplici le istituzioni sociali: “Ecco il suo socialismo: socialismo volontaristico, non materialistico, dove l’uomo è creatore della sua storia, costruttore della sua realtà; socialismo non classistico nelle proprie finalità, in quanto dalla classe parte per arrivare a uno nuova società… Socialismo non anazionale, internazionale, ma nazionale, in quanto della nazione faceva il centro della nuova costituzione sociale… Sentì l’imporsi del problema morale, la necessità cioè di educare ed elevare il proletariato a una funzione di classe dirigente attraverso una libera esperienza associata o di gruppo, tale da fargli acquistare quello spirito di responsabilità e di sacrificio che era necessario”. G. Spadolini, Cit., pp.178-179.
 
Nel concreto egli abbozzò una sorta di ordinamento collettivistico: “Le terre sarebbero state spartite fra i comuni, e coloro che si dedicano a coltivarle si assocerebbero con divisione uguale del guadagno netto; i capitali industriali sarebbero proprietà della nazione, e tutti gl’impiegati di ogni stabilimento industriale costituirebbero una società; i commercianti pure sarebbero organizzati in società… Indipendenti sono anche i comuni; i funzionari sono eletti dal popolo e sempre revocabili; un consiglio in ogni comune, un congresso nazionale a suffragio universale, revocabili e sindacabili; unica imposta la progressiva sul reddito netto di ogni associazione. La sovranità è nella nazione intera, senza delega, coll’abolizione di ogni gerarchia; il popolo è giudice supremo, con diritto illimitato di appello ad esso. Da questa società Pisacane si aspetta la possibilità per ciascuno di raggiungere il massimo sviluppo delle sue facoltà fisiche e morali, senza che la libertà turbi l’eguaglianza. In essa il sentimento sarà in ognuno d’accordo con la ragione”. L. Salvatorelli, Cit., pp.360-361.

Niente di tutto questo si realizzò: “Dato che il Risorgimento fu una guerra civile fra le vecchie e le nuove classi dirigenti, i contadini rimasero neutrali salvo per quel tanto che esso venne ad intrecciarsi accidentalmente con la perenne guerra sociale da loro stessi combattuta. Non nutrivano alcun amore per l’unità d’Italia, e probabilmente non si resero conto di ciò che il termine significasse finché non penetrò nelle loro case sotto forma di prezzi e imposte maggiori e di coscrizione obbligatoria. La loro tendenza istintiva era di resistere a qualsiasi esercito patriottico che sopraggiungesse a requisire le loro scarse provviste alimentari… Il patriota Pisacane era stato ucciso nel 1857 da quegli stessi contadini napoletani che aveva voluto liberare”. D. Mack Smith, Storia d’Italia dal 1861 al 1997, pp.49-50.

Sulla connotazione “classista” della rivoluzione Cavour scriveva: “In Italia una rivoluzione democratica ha scarse probabilità di successo. Per rendersi conto di ciò è sufficiente analizzare quali sono gli elementi che compongono il partito che propugna un rivolgimento politico. Questo partito non incontra che scarse simpatie fra le masse le quali, ad eccezione di alcune categorie cittadine, sono di solito attaccate alle istituzioni tradizionali del paese. La sua forza maggiore risiede quasi esclusivamente nella media e in parte nell’alta borghesia”.
Ne venne fuori che il cosiddetto popolo minuto rivestì un ruolo del tutto irrilevante ai fini del movimento patriottico: “Per inserirsi intimamente nella vita e nella coscienza italiana, il Risorgimento politico aveva bisogno di una ulteriore rivoluzione sociale, una rivoluzione che fosse in grado di attirare al governo le simpatie popolari e convincere la classe dirigente che le riforme sociali potevano costituire un mezzo di stabilità politica. Affinché il processo di unificazione politica potesse essere completato, era necessario condurre il popolo minuto in seno alla grande corrente della vita nazionale, e la riluttanza ad imparare questa lezione avrebbe imposto all’Italia nei novant’anni a seguire prove assai dure”. D. Mack Smith, Cit., p.54.

ERAN 300, ERAN GIOVANI E FORTI, E SONO MORTI…
Così recitava una poesia in onore di Pisacane che si mosse proditoriamente come  Leonida, re di Sparta, al valico angusto e impervio delle Termopili contro i Persiani sbaragliandone più di 20.000, ma finendo tradito da un pastore greco che indicò ai nemici come prendere alle spalle gli spartani. Alla fine della battaglia Leonida morto venne decapitato e crocefisso.
E in qualche modo così fece Pisacane imbarcandosi a Genova il 26 giugno 1857 con l’obiettivo di “sollevare il Mezzogiorno con un pugno di volontari… Si impadronì del vapore sbarcando nell’isola di Ponza, dove sorprese la guarnigione borbonica e liberò i detenuti, in maggioranza criminali o soldati in punizione che si aggregarono a lui. Quindi raggiunse il luogo convenuto con i democratici meridionali, Sapri, nel Golfo di Salerno dove avrebbe dovuto incontrare centinaia di contadini armati per dare inizio alla rivoluzione. Non trovò nessuno: era stata insufficiente la preparazione del moto e mancavano forze disposte all’azione. Il 2 luglio la piccola banda fu annientata a Sanza”. A. Scirocco, Giuseppe Garibaldi, p.184.

Più precisamente la notizia dell’attacco a Ponza raggiunse la polizia borbonica che, temendo una rivolta collettiva del popolo, diffuse la falsa notizia che una banda di malviventi aveva preso d’assedio l’isola. Venuti a conoscenza del fatto, i contadini allarmati imbracciarono le armi e costrinsero alla ritirata gli uomini di Pisacane.
L’1 luglio approdarono sulle coste di Padula dove si scontrarono con i soldati del regno, ma vennero successivamente accerchiati dal popolo che non rendendosi conto dei veri propositi della spedizione massacrarono tutti i membri della spedizione. Non è accertato se Pisacane sia stato ucciso o se, scampato all’ira dei contadini, abbia deciso di togliersi la vita.

Fu idee e azione, dunque, Carlo Pisacane nato a Napoli nel 1818 da una famiglia aristocratica. Si formò alla scuola della Nunziatella, il collegio militare di appartenenza borbonica. Di educazione severamente rigida, i suoi studi si concentrarono principalmente sulla storia e dottrina bellica, con poca attenzione, invece, alle materie umanistiche. Nel 1840 la sua prima responsabilità militare a Gaeta per la conduzione dei lavori ferroviari Napoli-Caserta.
Divenne un convinto sostenitore della lotta armata per liberare la sua Italia dall’esercito straniero e raggiunse a Roma i suoi compagni di battaglia Mameli, Garibaldi e Mazzini. E, proprio con loro, il 9 febbraio 1849 fondò la Repubblica Romana.
 
            (Mameli)                              (Garibaldi)                                    (Mazzini)

Con la sconfitta da parte dell’esercito francese, venne arrestato e condotto nel carcere di Castel Sant’Angelo. Liberato poco dopo, prese la via dell’esilio passando da Marsiglia a Losanna a Londra. Proprio nella capitale inglese sviluppò le sue idee politiche avvicinandosi agli ambienti socialisti. Idee che fissò nel saggio Guerra combattuta in Italia negli anni 1848-49 con l’esposizione delle sue teorie rivoluzionarie, approfondite nel periodo londinese. Poi pubblicò i suoi Saggi storici, politici, militari sull’Italia. Nel frattempo nel Sud iniziavano i primi tumulti popolari antiborbonici. Motivato da quegli eventi Pisacane immaginò che il suo piano di ribellione poteva avere inizio. In conclusione sacrificò la sua vita ad un ideale ma, gli italiani – più che l’Italia – non nacquero.

Questo è anche il risultato di un profondo isolamento del nostro patriota, giacché il suo socialismo “restò senza collegamenti con il nascente socialismo europeo… Non stabilì intese con gli altri movimenti nazionali italiani, dai quali, dopo la sua partecipazione alle vicende del ’48-49… e poi alla Repubblica romana come Capo di Stato Maggiore, il Pisacane era considerato un eretico e un solitario. Non esercitò infine influenze su alcuna rilevante frazione del popolo italiano… Egli sarà accolto a roncolate sulle spiagge del napoletano, nel momento in cui si illudeva di attuare la rivoluzione politica in funzione di quella sociale. Un tragico epilogo che coronava la fine dell’utopia nell’intera stagione del Risorgimento”. G. Spadolini, Cit., pp.181-182.
 
TESTAMENTO POLITICO* – Genova, 24 giugno 1857
Nel momento d’avventurarmi in una intrapresa risicata, voglio manifestare al paese la mia opinione per combattere la critica del volgo, sempre disposto a far plauso ai vincitori e a maledire i vinti.
I miei princìpi politici sono sufficientemente conosciuti; io credo al socialismo, ma ad un socialismo diverso dai sistemi francesi, tutti più o meno fondati sull’idea monarchica e dispotica… Il socialismo di cui parlo può definirsi in queste due parole: libertà e associazione.

Io sono convinto che le strade di ferro, i telegrafi elettrici, le macchine, i miglioramenti dell’industria, tutto ciò finalmente che sviluppa e facilita il commercio, è da una legge fatale destinato ad impoverire le masse fino a che il riparto dei benefizi sia fatto dalla concorrenza. Tutti quei mezzi aumentano i prodotti, ma li accumulano in un piccolo numero di mani, dal che deriva che il tanto vantato progresso termina per non esser altro che decadenza. Se tali pretesi miglioramenti si considerano come progresso, questo sarà nel senso di aumentar la miseria del povero per spingerlo infallibilmente a una terribile rivoluzione, la quale cambiando l’ordine sociale metterà a profitto di tutti ciò che ora riesce a profitto di alcuni.
Io sono convinto che l’Italia sarà grande per la libertà o sarà schiava: io sono convinto che i rimedi temperati, come il regime costituzionale del Piemonte e le migliorie progressive accordate alla Lombardia, ben lungi dal far avanzare il risorgimento d’Italia, non possono che ritardarlo.
Le idee nascono dai fatti e non questi da quelle, ed il popolo non sarà libero perché istrutto, ma sarà ben tosto istrutto quando sarà libero… Le cospirazioni, i complotti, i tentativi di insurrezione sono, secondo me, la serie dei fatti per mezzo dei quali l’Italia s’incammina verso il suo scopo, l’unità…
Io sono convinto che nel mezzogiorno dell’Italia, la rivoluzione morale esiste: che un impulso energico può spingere le popolazioni a tentare un movimento decisivo ed è perciò che i miei sforzi si sono diretti al compimento di una cospirazione che deve dare quell’impulso. Se giungo sul luogo dello sbarco, che sarà Sapri, nel Principato citeriore, io crederò di aver ottenuto un grande successo personale, dovessi pure lasciar la vita sul palco.
Semplice individuo, quantunque sia sostenuto da un numero assai grande di uomini generosi, io non posso che ciò fare, e lo faccio. Il resto dipende dal paese, e non da me. Io non ho che la mia vita da sacrificare per quello scopo ed in questo sacrificio non esito punto...


                                                                  Sottoscritto
         Carlo Pisacane

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