15 novembre 2011

ELIOGABALO IL “LERCIO”… ADDIRITTURA PEGGIO DI NERONE???

Dalla figura di un imperatore romano-sibarita definito “il più turpe di quanti mai cinsero la corona dell’imperio”, una controstoria sui tiranni bizzarri dell’antica Roma. Gran Sacerdote di una religione solare, anarchica, orgiastica e incestuosa, travolto dal tentativo di sovvertimento e perversione dell’ordine costituito
 
“Una ricostruzione storica non può basarsi esclusivamente sulla concretezza dei fatti: sapere chi ha vinto o perso una battaglia serve a poco se non si indaga sul perché, sul come, sugli uomini che furono protagonisti di trionfi o disfatte. Una chiave di lettura imprescindibile della storia esamina la natura dell’uomo, sempre complessa e inquieta”. Così scrive Furio Sampoli nella premessa del suo libro Passioni, intrighi atrocità degli Imperatori romani. Una galleria senza fiato di odii, turpitudini, efferatezze nell’arco di 350 anni.
 
 
 
 
 
 
 
 
Da questa galleria, con estrema facilità si possono tirar fuori Tiberio il depravato, il cavallo di Caligola, Nerone l’incendiario o Commodo il gladiatore. Eppure, da una lettura più attenta è possibile estrarre pagine ben peggiori, figure condannate non già alla damnatio memoriae – che pur sempre memoria è – ma sprofondate in un irrimediabile oblio. È il caso dell’imperatore Eliogabalo, di origine siriana, che in soli quattro anni di regno tra il 218 e il 222 d.C. raccoglie quanto tramandato da Elio Lampridio nella sua Historia Augusta: “non era mio intento scrivere di Vario Antonino Eliogabalo, perché avrei voluto che andasse perduto perfino il ricordo di un imperatore della sua sorta... figlio di Giulia Semiamira, libera di costumi, attraente, sensuale, che aveva condotto una vita più che dissoluta, comportandosi da vera e propria sgualdrina… già il nome Vario gli veniva dai suoi compagni di scuola, giacché con una simile madre non poteva non essere il figlio di vari padri”.
 
IL GRAN SACERDOTE DEL SOLE: TRA ORGE E ANARCHIA
In veste di gran sacerdote del Sole, venerato nel tempio di Emesa in Siria, Eliogabalo cerca di importare il suo Dio nel Pantheon romano per renderlo divinità principale della religione imperiale; introducendo così a Roma un culto eminentemente orgiastico, per abbandonarsi poi a mollezze e stravizi d’ogni tipo. “…Eliogabalo che è giovane e si diverte. Di quando in quando lo si riveste, lo si getta sui gradini del tempio, gli si fanno compiere dei riti che il suo cervello non comprende…”. A. Artaud, Eliogabalo o l’anarchico incoronato, p.42.
 
In Eliogabalo si intrecciano strettamente aspetto religioso e sessuale come previsto nella cultura orientale ma non nella società romana che considera stravaganti e scandalose le pratiche sessuali del proprio imperatore, tra cui le orge, i rapporti omosessuali e transessuali, la prostituzione (sacra), all’interno delle quali va intesa la ricerca dell’androginia e della castrazione. “È nato in un’epoca in cui tutti fornicavano con tutti; né si saprà mai dove e da chi fu realmente fecondata sua madre… Per un principe siriano, quale egli fu, la filiazione avviene attraverso le madri; e in fatto di madri vi è intorno a questo figlio una pleiade di Giulie; e che esse influiscano o no su un trono, tutte queste Giulie sono delle fiere puttane… Si può dire in proposito che Eliogabalo è stato fatto dalle donne, che ha pensato attraverso la volontà di donne; e che quando ha voluto pensare da sé, quando l’orgoglio del maschio frustrato dall’energia delle sue donne, delle sue madri, le quali hanno tutte fornicato con lui, ha voluto manifestarsi, si è visto che cosa ne è risultato”. A. Artaud, Cit., pp.7-13.
 
Per quanto ne sappiamo, orrore, infamia, sozzura, abiezione morale sarebbero stati i tratti caratteristici del regno di Eliogabalo protagonista di esempi di mollezza, disordine e depravazione. “Egli può dare alle abitudini e ai costumi romani tutti gli storcimenti che vorrà, gettar la toga romana alle ortiche, indossare la porpora fenicia, dare quell’esempio di anarchia che consiste, per un imperatore romano, nel prendere il vestito di un altro paese, e per un uomo indossare abiti femminili, coprirsi di pietre, perle, pennacchi, coralli e talismani… Eliogabalo ha intrapreso una demoralizzazione sistematica e allegra dello spirito e della coscienza latini; e avrebbe spinto all’estremo questa sovversione del mondo latino se avesse potuto vivere abbastanza a lungo per condurla a buon fine… Nel viaggio verso Roma una strana marcia del sesso, uno scatenamento folgorante di feste attraverso tutti i Balcani. A volte correndo a gran velocità col suo carro, ricoperto di tele, e dietro di lui il Fallo di dieci tonnellate che segue il convoglio… entra in Roma e davanti a lui vi è il Fallo tirato da trecento fanciulle dai seni nudi che precedono trecento tori…”. A. Artaud, Cit., pp.108-113.
 
E ancora, dalla proclamazione ad imperatore, il trasferimento per la capitale dell’impero “divenne una specie di apoteosi di dissolutezze e riti orientali. Inimmaginabile il corteo che si mosse dalla Siria, trascinandosi dietro mimi, ballerine, musici, eunuchi in un profluvio di esotismi, riti propiziatori, vittime sacrificali, profumi, e abbandonandosi soprattutto a licenziosità, perversioni, impudicizie”. F. Sampoli, Cit., p.326.
 
Per Eliogabalo, infatti, il trono “era un balocco, e lo usò come tale. Nella sua infantile innocenza, quel ragazzetto era anche simpatico come un cucciolone. Il suo piacere preferito era quello di fare scherzi a tutti, ma innocenti: tombole e lotterie con la sorpresa, burle, giuochi di carte. Ma era anche un sibarita, voleva il meglio di tutto, e ci spendeva cappellate di quattrini. Non viaggiava con meno di cinquecento carri al seguito, e per una boccetta di profumo era pronto a pagare milioni. Quando un indovino gli disse che sarebbe morto di morte violenta, vuotò le casse dello stato per provvedersi di tutti i più raffinati strumenti di suicidio: una spada d’oro, un armamentario di corde di seta, scatole tempestate di brillanti per la cicuta”. I Montanelli, Storia d’Italia 3 – Apogeo e caduta dell’Impero romano, pp.102-103.
 
PERVERTIRE L’IMPERO
A parte questa estrema fantasia libertina, non risultano capacità o volontà di governo di qualunque natura: “A Roma come imperatore fu inesistente sul piano politico sia militare, deleterio su quello amministrativo per lo sperpero delittuoso dell’erario pubblico, criminale e perverso per i costumi…”. F. Sampoli, Cit., p.326.
 
E anarchici furono i primi atti politici, mentre al suo posto governerà la nonna Giulia Mesa. “Giunto a Roma caccia dal Senato gli uomini e pone le donne al loro posto. Per i Romani questa è anarchia ma nella religione dei mestrui, per Eliogabalo… un ritorno ragionato alla legge, poiché è la donna, la nata prima, la prima giunta nell’ordine cosmico che fa le leggi… Quando si veste da prostituta e si vende per quaranta soldi alla porte delle chiese cristiane, dei templi romani, egli non cerca solo la soddisfazione di un vizio ma l’(auto)umiliazione del monarca romano… Quando fa eleggere un ballerino a capo della sua guardia pretoriana, realizza una specie d’anarchia incontestabile, ma pericolosa”. A. Artaud, Cit., pp.111-116.
 
È la ricerca di una degradazione e perversione sistematica di ogni ordine e valore, arrivando a scegliere i propri ministri sulla base dell’enormità del loro membro. “Le sconcezze di palazzo, le esibizioni all’esterno, le nomine dei suoi amanti ai posti di responsabilità dello Stato (prefetto del pretorio un saltimbanco, dei vigili un auriga, dell’annona il suo barbiere, un mulattiere alle tasse di successione: unico titolo di merito l’esuberanza dei genitali)… Le sue perversioni avevano raggiunto una misura tale da riuscire insopportabili anche alle persone più dissolute. Una delle ultime fu l’apertura di un bagno pubblico nel palazzo imperiale al solo scopo di avvicinare e quindi conoscere i cittadini più prestanti e virili”. F. Sampoli, Cit., pp.326-328.
 
Lampridio racconta che l’imperatore progetta di porre in ogni città, in qualità di prefetti, persone dedite professionalmente alla corruzione dei giovani. È ben deciso ad elevare alle cariche quanto di più abbietto, e gli uomini delle più basse professioni. Arriva ad erigere un tempio al proprio Dio, nel pieno centro della devozione romana, al posto di quello consacrato a Giove capitolino: “Ogni tanto, ricordando i suoi trascorsi sacerdotali, aveva crisi mistiche. Un giorno si circoncise, un alto tentò di evirarsi, un altro ancora si fece spedire da Emesa il famoso meteorite del suo bisnonno materno, vi fece costruire sopra un tempio e propose agli ebrei e ai cristiani di riconoscere la loro religione come quella di stato, se gli uni accettavano di sostituire Jeovah e gli altri Gesù con quella sua pietruzza”. I Montanelli, Cit., p.103.
 
Alla fine ci penseranno i pretoriani allorché Eliogabalo si avventura accompagnato dalla madre al Castro Pretorio per denunciare e placare trame contro di lui. Finisce soffocato con la stessa madre tra i liquami di una latrina dove si è nascosto. Ha diciotto anni ed è salito al potere a quattordici.
 
PER UNA MODERATA RILETTURA DI NERONE
E allora cosa c’entra Nerone puntualmente tirato in ballo quale imperatore dissoluto per antonomasia? Approfondendo la storia del potere a Roma e delle decine di figure ascese al soglio imperiale risulta provato che Nerone sia megalomane, matricida, uxoricida… ma non è solo questo, è anche uomo di governo attivo in politica estera, opere pubbliche, arti, non un Eliogabalo qualunque.
Ha un’idea pratica d’impero, una sua perversa costruttività. Da un’attenta rilettura delle fonti dell’epoca: Tacito, Svetonio, Dione Cassio e la storiografia successiva, forse è possibile aggiungere ulteriori dettagli lasciati cadere. Sintetizzando quanto scrive Massimo Fini nel suo Nerone – 2000 anni di calunnie: “Fu sacrificato dall’infinita ambizione della madre Agrippina a caricarsi sulle spalle l’impero a soli diciassette anni mentre lui avrebbe forse preferito occuparsi delle arti predilette. Ciò tuttavia non gli impedì di dedicarsi alla poesia, al canto, alle curiosità tecniche e scientifiche divenendo un grande showman”.
 
Rivisitare la sua figura pertanto non significa riabilitarlo ma tentare di ampliarne la vicenda umana molto più complessa della cornice che abbiamo ereditato. Un caso tra tutti l’accusa di aver incendiato Roma il 19 luglio del 64 d.C. Sono tanti gli aspetti che potrebbero invalidare un responsabilità assurta ad universale luogo comune:
1. L’immagine iconografica dell’imperatore che suona la lira dal punto più alto del Palatino mentre Roma brucia è ormai ampiamente superata e considerata inattendibile. Al contrario, l’imperatore apre addirittura i suoi giardini per mettere in salvo la popolazione, attirandosi l’odio dei patrizi a causa del sequestro di imponenti quantitativi di derrate alimentari per sfamarla;
2. Roma viene ricostruita secondo criteri urbanistici più razionali e funzionali prevedendo anche misure antincendio, e lasciando ai posteri la Domus Aurea;
3. La congiura di Gaio Calpurnio Pisone è già in fase avanzata, pertanto può essere conveniente avvalorare la tesi del Nerone incendiario;
4. Probabile lo scoppio casuale dell’incendio in un quartiere dove si fa un uso troppo disinvolto di bracieri, torce, lampade tra catapecchie di legno che non aspettano altro;
5. Per Dione Cassio molti pretoriani al servizio di Fenio Rufo impediscono i soccorsi; lo stesso risulta tra i principali protagonisti della congiura di Pisone nel 65;
6. Tacito riferisce che Nerone trova il capro espiatorio della persecuzione dei cristiani, ritenuti colpevoli, per tagliar corto alle voci che lo danno come incendiario. A torto infatti l’imperatore è considerato il primo persecutore, le condanne a morte non vengono comminate per odio teologico ma per un eventuale reato di diritto comune e circoscritte alla sola città di Roma. In realtà le persecuzioni hanno inizio con Domiziano (81-96 d.C.), e proseguono dopo di lui.
 
…Ma questo è un aspetto biografico specifico dell’imperatore “artista” che narriamo più avanti.
 
 
 
 
 
 
 

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