23 maggio 2012

NERONE, IL FUOCO E UNA VIA FILOLOGICA ALLA SUA INNOCENZA

Luglio 64 d.C. Indagine sull’incendio di Roma: folle progetto di un despota ubriaco di potere o visione apocalittica di una setta in attesa del ritorno di Cristo? 3 scenari per un probabile concorso di colpa tra Imperatore, Cristiani e urbanistica. E se invece ci trovassimo di fronte ad una serie di casualità, involontarie complicità e convenienze trasversali? Un attento studio delle fonti e dei testi contro la vulgata storica ufficiale


3 IPOTESI PER UN DELITTO
“Ancora oggi nella vulgata, Nerone resta il pazzo despota che, ubriaco di potere, per ricostruire secondo un suo progetto Roma, l’aveva fatta incendiare. Per sviare i sospetti, avrebbe poi diretto le indagini contro i cristiani, scatenando la prima delle tante persecuzioni del potere imperiale alla nascente religione. Falsamente accusati da Nerone di aver appiccato e alimentato l’incendio, quei cristiani innocenti erano stati l’avanguardia delle legioni di martiri il cui sangue aveva impetrato la grande vittoria del cristianesimo sugli dèi falsi e bugiardi dell’impero”. C. Pascal, L’incendio di Roma e i primi cristiani, p.57.

Si tratta dell’episodio più conosciuto della vita di Nerone “il più spettacolare, il più importante anche per le sue conseguenze lontane, perché l’incendio di Roma non è soltanto una grande catastrofe, ma ancora il segnale delle prime persecuzioni dirette contro i Cristiani. Questo avvenimento è stato il soggetto di ogni sorta di leggende, commenti, drammi teatrali, poemi, quadri, illustrazioni varie. La iconografia popolare se ne è impadronita e nei negozi di souvenirs per turisti, che pullulano a caso nelle strade della Città Eterna, si vendono sempre statuette di stucco colorato, raffiguranti un omino corto e rozzo, dall’aspetto furioso, che brandisce con una mano una lira, con l’altra una torcia infiammata: è Nerone, che corre a dar fuoco alla sua capitale…”. G. Roux, Nerone, p.149.

È stato realmente così? L’Imperatore sedicente artista che, macchiatosi tra varie scelleratezze di matricidio e uxoricidio, arriva finanche a “carbonizzare” la capitale dell’Impero il 18 luglio del 64 d.C. per poterla ricostruire a proprio gusto?
Banalmente, un uomo dotato di tale sterminato potere non può ricorrere ad un radicale e forzato piano di lavori pubblici per soddisfare le proprie esigenze urbanistiche? O forse possiamo inseguire altre ipotesi? Una ricerca sofisticata e pericolosa che rischia di capovolgere una verità ormai recepita in duemila anni: quella di Nerone l’incendiario. Nel caso in cui dovessimo scoprire che gli eventi sono andati in altro modo, scavando per esempio nel travaglio della comunità cristiana, potremmo consegnare alla storia una figura un po’ diversa e non tra le peggiori che hanno occupato il trono del più decisivo impero della storia.
Un azzardo da tentare non con indagini poliziesche, ormai impossibili in mancanza di prove e testimoni imparziali, ma filologiche e storiografiche da cui emergono contraddizioni, incongruenze, dettagli e deduzioni impressionanti.

In primo luogo affiorano 3 scenari utili ad abbozzare un contorno alla natura dolosa o accidentale dell’incendio. O peggio ancora la possibilità di una convenienza trasversale tra neroniani e Cristiani. Chi per cantare tra le rovine e speculare sulla ricostruzione, chi per annientare l’Anticristo e avvicinare il tempo del rinnovamento dopo le ingiustizie secolari:

Nerone – le fonti contemporanee tramandano la responsabilità diretta dell’Imperatore per il desiderio di ispirare un suo canto alla distruzione di una città, la necessità di ottenere spazio per la costruzione della Domus Aurea, o l’ambizione di legare il suo nome ad un totale rinnovamento urbanistico della città.
“Certo fu uomo di sì efferate nefandezze Nerone che non è a temere gli si gravi troppo la soma dei delitti con un altro misfatto: pure, giudicando senza prevenzioni, è facile scorgere quanta sia la vacuità delle ragioni che gli antichi apportano per incolparlo anche di questo… La capacità a delinquere di Nerone è fuori d’ogni discussione; e veramente, se solo ad essa noi dovessimo aver ricorso, la questione non sussisterebbe più. Quale ci risulta da tutti gli atti della sua vita, fu insidioso e vile; sospettoso di tutto e di tutti, sempre premuroso d’ingraziarsi il popolo con feste ed elargizioni… Quando scoppiò l’incendio era ad Anzio. Scoppiò per ordine suo? Ma allora il suo tristo segreto fu affidato non ad uno o due dei più intimi, ma a centinaia, forse a migliaia di servi e pretoriani… L’incendio parte dalla reggia di Nerone, con la inevitabile perdita di capolavori della scultura e pittura greca e classica, che mai l’imperatore avrebbe accettato”. C. Pascal, Cit., pp.18, 21, 74.

I cristiani – aspetto della vicenda molto complesso che investe il percorso del cristianesimo delle origini e dei suoi rapporti con lo Stato romano, passando per la figura degli apostoli Pietro e Paolo. Si sa che di tanto in tanto promovevano alla rivolta, che predicavano la conflagrazione del mondo… credevano, durante la loro vita, essere riserbati al nuovo regno di luce e di bene; che a Roma augurarono ancora, pel corso di lunghi secoli, distruzione e sterminio, che dopo la rovina della potenza romana aspettavano il loro trionfo... La nascente chiesa cristiana era già fin da allora scissa in fazioni. All’infuori delle dispute dommatiche che tanto travagliarono a Paolo la nobile vita, era vivo nel primitivo cristianesimo il dissenso tra quelli che cercavano di inculcare l’aspettazione fidente della divina giustizia, e quelli che volgevano le nuove dottrine a scopi di immediate rivendicazioni materiali…
Così l’idea del prossimo ritorno di Cristo era congiunta con quella della fine del mondo, cui doveva far seguito la rinnovazione delle cose, e la rigenerata umanità. Cristo stesso indicando i superbi palagi di Gerusalemme aveva detto ‘non resterà pietra su pietra’…”. C. Pascal, Cit., pp.6, 30-31, 35.

L’urbanistica di Roma – gli incendi nella città erano frequenti, principalmente a causa della tipologia costruttiva degli edifici, con numerose parti in legno esposte all’utilizzo di fiamme libere per illuminazione, cucina e riscaldamento. A questo va aggiunto il groviglio di vie strette e tortuose che facilitavano la propagazione del fuoco.
“A Roma, a quel tempo, gli incendi si verificavano con la stessa frequenza con cui, al giorno d’oggi, si registrano gli incidenti stradali. L’amministrazione urbana aveva cercato di scongiurarli organizzando un corpo di vigili, che teoricamente doveva avere funzione di polizia metropolitana ma che, di fatto, era destinato soprattutto a fare il pompiere. La facilità con cui Roma andava a fuoco dipendeva dal materiale con cui erano costruiti i palazzi di appartamenti, quasi tutto infiammabile, e dalle abitudini di vita degli inquilini. Questi infatti per cucinare e per riscaldarsi, non avendo caminetti, tenevano in casa grossi bracieri che schizzavano tutto intorno scintille e tizzoni capaci, se per un momento non sorvegliati, di trasformarsi in pericolosissimi focolai”. G. Antonelli, Gli uomini che fecero grande Roma antica, p.289.

Nel complesso, Roma si trasforma in un gigantesco braciere riportando, per sette giorni e sette notti, danni enormi “aggravati dal fatto che da un milione e trecento a un milione e quattrocentomila abitanti si accalcano in un perimetro molto ristretto. Per una popolazione che rappresenta l’ottantotto per cento della popolazione attuale, i Romani di allora non dispongono che di uno spazio che rappresenta la metà della superficie della città odierna. Per giunta bisogna tener conto, più che nei nostri giorni, degli innumerevoli templi, palazzi, giardini, edifici pubblici… Il resto è un inverosimile groviglio di viuzze che circondano alti immobili di speculazione, in uno sviluppo di stradette tortuose e strette, di cui possono dare un concetto approssimativo soltanto le medine dell’Africa del Nord”. G. Roux, Cit., p.152.

UN FEROCE VISIONARIO CONTRO UNA CONGREGA DI PROTOTALEBANI
A chi la colpa? Per moderno che sia, non esiste strumento davvero adeguato ad aiutarci. Resta la filologia sui testi coevi e posteriori all’incendio che, in modo quasi scandaloso, potrebbe arrivare ad individuare nei “santi martiri cristiani della persecuzione neroniana gli attori della più grande e abominevole congiura incendiaria di tutti i tempi, congrega prototalebana di fanatici assassini legittimamente condannati dalla giusta legge di Roma… Come ogni filologo lavorava sui dettagli e di dettaglio; e lavorando a un dettaglio: l’incendio neroniano, e di dettaglio, si era imbattuto in una verità che nell’universo cristiano avrebbe suonato sgraditissima. Forse per questo molti altri filologi classici avevano semplicemente rifiutato di vederla: l’avevano rimossa dal loro orizzonte speculativo”. C. Pascal, Cit., pp.58-59.

Il punto di partenza è che Nerone “voleva soltanto costruire per sé un nuovo palazzo d’oro, che diventasse i proprio tempio e, siccome lo progettava di dimensioni gigantesche, non trovava, nell’affollato centro di Roma, un’area fabbricabile. Da qualche tempo andava brontolando che la città era costruita male, e che si sarebbe dovuto rifarla tutta secondo un più razionale piano urbanistico, quando, nel luglio del sessantaquattro, vi scoppiò il famoso incendio. Era stato veramente lui a farlo appiccare? Forse no. Egli si trovava ad Anzio in quel momento, accorse subito, e spiegò un’energia che nessuno gli sospettava nell’opera di soccorso. Ma il fatto che subito la voce del popolo lo accusò dimostra che, anche se non lo aveva fatto, la gente lo considerava capace di farlo. Stranamente assai, egli non reagì stavolta alle accuse, non perseguitò nemmeno gli autori dei volantini e dei libelli che lo additavano alla furia popolare. Ma, da vero capo di un regime totalitario, pensò che, dato il disastro, prima ancora che a ripararlo, bisognava pensare a trovar qualcuno cui addebitarlo”. I. Montanelli, Storia d’Italia 2 – dai Gracchi a Nerone, p.181.

Nerone, insomma, senza la dannazione di questa accusa può apparire in una luce diversa nella galleria dei peggiori despoti della storia. Certamente, rispetto ad altre figure feroci ma anonime, non ha agito solo con la malvagia pigrizia del senso d’onnipotenza ma è stato anche uomo di governo attivo in politica estera, economia, opere pubbliche, arti. Aveva un’idea pratica d’impero, condita pur sempre dalla sua incontenibile megalomania.
“I suoi vizi capitali sono stati la sfrenatezza, la libidine e la crudeltà, vizi congeniti ma moltiplicati e resi mostruosi dal suo potere di imperatore… Ma le sue fantasie non lasciavano spazi vuoti. L’ambizione di architetto e di urbanista è stata tanto enfatica da diventare pericolosa. Non solo ha partorito il progetto della Domus Aurea, una reggia grande come una città, un parco ecologico e una riserva di caccia messi insieme, ma ha vagheggiato l’impossibile. I suoi consiglieri infatti hanno dovuto penare a lungo per levargli dalla testa il disegno, concepito in un accesso maniacale di grandezza, che prevedeva di prolungare le mura di Roma fino a Ostia a protezione di un canale di acqua di mare che dalla costa sarebbe venuto a rinfrescare i quartieri popolari della città”. G. Antonelli, Il libro nero di Roma antica, p.218.

Ma Cassio Dione esplicitamente riporta un Nerone far voto della distruzione di Roma perché possa vivere la morte della sua patria come Priamo a Troia: “Nerone sentì il desiderio di realizzare quello che aveva sempre sperato, e cioè mandare in rovina l’intera città fintanto che era in vita… Perciò incaricò segretamente alcuni uomini che, comportandosi come se fossero ubriachi, appiccassero focolai di incendio in più parti di Roma”. F. Sampoli, Passioni, intrighi e atrocità degli imperatori romani, p.177.

Così disponiamo di due fronti ben “armati” di motivazioni e da analizzare a fondo. Lo stesso Pascal, dall’attenta lettura delle lettere degli Apostoli, trae la convinzione che il cristianesimo dell’era neroniana è attraversata da “forti tensioni violente millenariste contro il potere secolare”. “Se da una parte troviamo un uomo, scelleratissimo quanto si vuole, dall’altra troviamo una comunità segreta, della quale alcuni membri sono dediti al delitto per testimonianza degli scrittori pagani, e dagli stessi apostoli sono dichiarati indegni di predicare Cristo”. C. Pascal, Cit., p.5.

Proprio Tacito tramanda che Nerone “mise avanti come rei dell’incendio gente odiata per i suoi mali costumi, che il popolo chiamava cristiani”, e definisce la loro religione “perniciosa superstizione”: “Se per i romani, politeisti, gli ebrei che ubbidivano ad un solo dio, di cui non si vedevano neppure le immagini, rappresentavano uno scandalo, ancora più scandaloso era il dio dei cristiani. Si trattava di un certo Gesù, vissuto in Palestina e morto in croce come uno schiavo, che sosteneva essere tutti figli di Dio”. F. Sampoli, Cit., p.178.

Ma il pregiudizio popolare è il problema minore in quanto dettato, per certi versi, da una secolare cultura antagonista a quella cristiana. Va evidenziata, piuttosto, la base rivoluzionaria di questa fede dai contenuti non solo religiosi ma socioeconomici: “Quel che importava era il complesso delle aspirazioni e delle rivendicazioni messianiche, era la parola dolce, che per prima affermava l’eguaglianza umana, e prometteva lo sterminio degli empii, e prossimo il regno della giustizia. Ora questa sete ardente di rivendicazioni umane era comune tanto al giudaismo quanto al cristianesimo. La differenza era in ciò, che per il cristianesimo il Messia era già venuto, ma doveva tornare a disperdere le potenze malefiche sulla terra”. C. Pascal, Cit., pp.26.

E le potenze malefiche sarebbero rappresentate da Roma: “Il fuoco, il fuoco devastatore avrebbe posto fine all’abominio e rigenerata l’umanità nell’innocenza. Come la potenza della luce era preceduta da quella delle tenebre, e il regno di Dio da quello del mostro, così il fuoco divino doveva essere preceduto dal fuoco umano, che avrebbe annientata la sede stessa dell’impero”. C. Pascal, Cit., p.41.

In una Roma in cui tutti i culti vivono alla luce del sole, non può essere tollerata una disputa che travalica i confini religiosi assumendo un sapore di sovversione, attentato allo Stato e all’ordine sociale.
Infatti “è facile immaginare quanto larga e immediata diffusione avesse il cristianesimo tra gli schiavi, i quali sentivano più che mai prepotente la brama di rivendicazioni e da secoli prorompevano di tratto in tratto alla rivolta… Qual meraviglia che tutto questo complesso di aspettazioni e speranze abbia eccitato le menti incolte e fanatiche degli schiavi miserrimi e li abbia spinti all’atto forsennato?... Solo dunque l’ultimo strato sociale, cui si era portata la parola dell’eguaglianza e dell’amore, poteva erompere all’opera distruttrice. Quell’ultimo strato sociale era abbeverato di odio contro tutto l’ordine presente”. C. Pascal, Cit., pp.6, 28, 39.

Intollerabile per Roma!!! Se lo stesso Tacito li definisce “meritevoli di ogni pena più esemplare” e Svetonio “malefici”, figuriamoci le Istituzioni romane non certo pronte ad affrontare questioni “sindacali” sulla tenuta del loro dominio e della loro stessa esistenza. Peggio ancora sotto Nerone se pensiamo che erano cristiani molti suoi pretoriani e servi.

CRISTIANI CONTRO CRISTIANI
Ma allora chi sono i Cristiani a quel tempo? Per alcune testimonianze “un’immensa moltitudine” che non fa proseliti cercando di dipanare solo questioni dogmatiche.
E in Paolo si legge la protesta che vi siano nella Chiesa “alcuni che sono nemici della croce di Cristo, perché il loro Dio è il ventre, il loro affetto è alle cose terrene”, Pietro parla a lungo di quelli tra “i Cristiani che sono schiavi di lor lascivia, che come animali senza ragione vanno dietro all’impeto della natura, destinati a perire nella corruzione, essi che reputano tutto il loro piacere consistere nelle giornaliere delizie, e non restano giammai di peccare, adescando le anime deboli, e avendo il cuore esercitato all’avarizia”. “E, come Paolo, anche Pietro esorta i Cristiani alla soggezione verso le autorità terrene, i sovrani e i governatori, e a ritenerli come inviati da Dio stesso, per punire i malfattori e premiare quelli che fanno bene”. C. Pascal, Cit., p.31.

Come interpretare questa esortazione? Come la presenza tra i Cristiani di una fazione turbolenta? “E che tal fazione avesse in Roma il Cristianesimo, si deduce dalla lettera stessa di Paolo ai Romani. Vi s’industria in ogni maniera di incutere il rispetto all’autorità, tenta perfino di far credere divina la potestà terrena: “‘Ogni persona sia sottoposta alle potestà superiori, perciocché non vi è potestà se non da Dio; e le potestà che sono, sono da Dio ordinate. Talché chi resiste alla potestà, resiste all’ordine di Dio, e quelli che vi resistono riceveranno giudizio sopra di loro’”. C. Pascal, Cit., pp.32-33.

MEGALOMANIA, APOCALISSE, CASUALITÀ. E SE L’INCENDIO PIACE A TUTTI?
Fino ad ora sembrano contrastarsi da un lato un imperatore incendiario, paranoico architetto e tragicomico canterino, dall’altro una setta che vagheggia l’Apocalisse: “I cieli e la terra del tempo presente per la medesima parola son riposti, giacché sono riserbati al fuoco, nel giorno del giudizio e della perdizione degli empi… Alleluia! La salute e la potenza e la gloria e l’onore al Signore Iddio nostro. Perciocché veraci e giusti sono i suoi giudizii; e infatti egli ha giudicato la gran meretrice che ha corrotto la terra con la sua fornicazione, e ha vendicato il sangue dei servi suoi, dalla mano di lei, alleluia! E il fumo di essa sale nei secoli dei secoli”. C. Pascal, Cit., pp.37, 49.

Le cronache del disastro sono impietose: “L’incendio neroniano fu devastante. Forse quando scoppiò il vento era teso e forte come mai era stato prima, fatto sta che, dei quattordici quartieri di Roma, più della metà andarono completamente distrutti. Il torto dell’imperatore è stato, forse, di aver anticipato l’intenzione di voler utilizzare le aree mangiate dal fuoco per dare a Roma una sistemazione più ariosa e razionale. Ma nel progetto era anche previsto di occupare una bella fetta dello spazio che si era reso disponibile con la Domus Aurea, una residenza imperiale che neanche i sovrani dei regni orientali si erano mai sognati di costruire… Ma l’incendio aveva ridotto un buon numero di Romani nella condizione di disastrati senza tetto… Per cui l’opinione pubblica popolare forse anche imbeccata da qualche suggerimento velenoso e fazioso dei nemici aristocratici del principe, cominciò a pensare davvero che Nerone s’era fatto piromane per costruirsi la reggia”. G. Antonelli, Cit., p.289-292.

“Nerone… Oltre al numero imprecisato di morti, dovette prendere coscienza che più della metà dei Romani erano senza casa, privi di mezzi di sostentamento, in balia della disperazione. Davanti non avevano che le ceneri dei loro beni e il vuoto delle speranze. Ma c’era di peggio: quegli stessi popolani, che fino all’altro ieri, urlando come forsennati, l’avevano applaudito e osannato, ora gli si rivoltavano contro, lo accusavano apertamente di imprevidenza, di incapacità, di inutili grandezze; anzi molti già lo indicavano come il vero e solo responsabile dell’incendio, richiamando alla mente quel suo disegno megalomane di rifondare Roma e chiamarla Neropoli”. F. Sampoli, Cit., p.177.

Ma da qui cominciano a sorgere incongruenze e contraddizioni. È Nerone a dare l’ordine di appiccare il fuoco? Forse perché non soffre le vie tortuose e strette? Questa ragione regge poco: “L’incendio fu appiccato a tutte le regioni più nobili e sontuose di Roma; perirono i templi vetusti, i bagni, le passeggiate, i luoghi di delizia, le case più ricche. Le regioni dei poveri, l’oscuro Trastevere, il centro della comunità giudaica e cristiana furono rispettati”. C. Pascal, Cit., p.23.

Perché vuole godere lo spettacolo e cantar tra le fiamme? “Ma arrivato a Roma, Nerone trovò che perfino il Palazzo e domus transitoria, con la quale aveva congiunto il Palatino ai giardini di Mecenate sull’Esquilino, erano divorati dalle fiamme”. F. Sampoli, Cit., p.177.

Questo fa venir meno il palcoscenico della sua esibizione con l’inno a Roma in fiamme: “Se Nerone avesse deciso l’incendio, sua prima cura sarebbe stata portare via i capolavori. Non solo, spento una prima volta, l’incendio riparte dal palazzo del luogotenente neroniano Tigellino e colpisce il miglio quadrato d’oro di quella Roma dove risiedeva l’aristocrazia dell’Impero, mentre l’incendio non raggiunge i quartieri popolari”. C. Pascal, Cit., p.74.

“Le motivazioni attribuitegli sono del tutto inconsistenti. Si dice infatti – ed è l’unica ragione che si porta – che Nerone voleva trovare spazio per il suo nuovo, fantastico palazzo, la Domus Aurea e ridisegnare la città secondo i proprio gusti. Si confonde, evidentemente, la causa con l’effetto e si addebita a Nerone, come prova della sua colpa, quello che fu invece un suo merito: l’aver ricostruito Roma molto più bella, secondo criteri urbanistici più razionali, adottando, oltretutto, una serie di intelligenti misure antincendio… L’Imperatore non aveva bisogno di ricorrere a questi mezzi estremi per realizzare i propri progetti urbanistici: gli espropri immobiliari a fini di pubblica utilità esistevano anche allora e il capo dell’impero, monarca quasi assoluto, aveva, per farli attuare, mezzi certamente superiori e più persuasivi di quelli di un attuale sindaco”. M. Fini, Nerone, p.165.

In questo scenario un po’ contraddittorio rispetto alle intenzioni distruttive di tutto ciò di insopportabile per l’Imperatore, troviamo Nerone occupato a soccorrere i senza tetto, dar loro assistenza e viveri: “Quando egli tornò a Roma, e come riferisce Tacito, cercò di opporsi al fuoco, ed aprì per ristoro al popolo il campo di Marte, i portici e le terme di Agrippa, gli orti suoi, e fece costruire provvisorie capanne, e diminuì il prezzo del frumento… Si narra come certo il fatto che nessuno osò opporsi alla violenza del fuoco, poiché uomini minacciosi vietavano di estinguere le fiamme. Anzi le ravvivavano, dicendo di agire per consiglio altrui… E quando l’incendio imperversa, liberti e pretoriani neroniani intervengono minacciando chi cerca di estinguere le fiamme, come se latori di un comando neroniano; e però Nerone, quando giunge nella Roma in fiamme, va tra il popolo, dirige le operazioni di soccorso. Lo avrebbe fatto se avesse dato l’ordine di appiccarlo ai suoi liberti?”. C. Pascal, Cit., pp.16, 24, 74.

Ancora Tacito racconta che “…si applica a soccorrere l’immensa folla dei sinistrati… Si rivolge alle città vicine, chiede loro di inviare degli utensili, vale a dire senza dubbio il piccolo materiale domestico essenziale ai più elementari bisogni dell’esistenza quotidiana. Durante quei sette giorni spaventosi, è certo che egli paga di persona, senza calcolo. Tutti gli storici sono d’accordo. Raccontano anzi questo aneddoto: nei quartieri bruciati, lo si vede la notte senza guardie, senza scorta, talmente solo, sprovvisto a tal punto di qualsiasi difesa che taluni dei suoi nemici concepiscono per un istante il pensiero di abbatterlo in perfetta impunità. Più tardi di rimprovereranno di non averlo osato; in quel momento sono stati fermati da quell’istintivo pudore di assassinare un Cesare mentre compiva il suo mestiere di Cesare”. G. Roux, Cit., pp.151-152.
 
Chi sono davvero coloro i quali impediscono di domare l’incendio? Per conto di cosa o di chi agiscono? Può esser plausibile che vogliano aumentare il disastro e il disordine per poi abbandonarsi a saccheggio e rapine. Viceversa seguono un disegno preordinato. Trattandosi di figure vicine a Nerone è presto detto, oppure no: “Dalle notizie che abbiamo, ci è dato discernere perfino il piano della sciagurata impresa. Anzitutto si profittò della lontananza di Nerone da Roma, la vigilanza era allora diminuita… Tra i pretoriani e i servi dell’imperatore erano numerosi i cristiani… La corte di Nerone era un pullulare di ebrei e cristiani…”. C. Pascal, Cit., pp.50-51, 73.

“Esistevano simili fanatici? Sì, esistevano e potevano essere trovati in alcune frange estremiste del movimento cristiano. I primi cristiani aspettavano la fine del mondo e la desideravano ardentemente come catarsi, punizione dei malvagi e riscatto dei buoni, dei poveri, dei diseredati… Nel mirino dei più esaltati c’era soprattutto Roma che, per i suoi liberi costumi e il tono carnascialesco, di festa, che aveva assunto con Nerone, era assimilata a Babilonia, era considerata la nuova Sodoma e Gomorra… ”. M. Fini, Cit., p.174.

Quindi la distruzione di Roma può far comodo a Nerone per le sue ambizioni di costruttore di una nuova capitale, e può far comodo ai Cristiani facendone ricadere la responsabilità sull’Imperatore. In un caso o nell’altro, si pianterà il primo vero seme del trionfo cristiano dalle immani sofferenze che verranno.

E infatti prendono forma diverse ipotesi in direzione dei cristiani. Ma perché?: “Il primo pensiero che viene allo spirito è quello di un inevitabile conflitto religioso. Ma questa idea è completamente falsa. Lo scontro del paganesimo e del cristianesimo non si verificherà che molto più tardi, a partire dalla seconda metà del II secolo… Una seconda ipotesi – anche correntemente ammessa – è che Nerone avrebbe accusato i Cristiani allo scopo di mascherare la propria colpevolezza… ma nell’estate del 64, nessuno sembra mettere realmente in causa la responsabilità dell’imperatore, giacché la sua popolarità rimane ancora a lungo intatta… Finalmente una terza visione suggerisce che se l’opinione pubblica si è trovata diretta contro i Cristiani, sarebbe stato su istigazione stessa dei Giudei, sia che fossero preoccupati per l’onda di antisemitismo, sia fors’anche, per soddisfare un personale rancore. Infatti, dicono i fautori di questa tesi, se i Romani si disinteressano del cristianesimo nascente, nel quale non vedono che una insignificante sottosetta ebraica, ben altrimenti avviene per gli Israeliti, i quali, più vicini, ed informati, hanno immediatamente distinto i pericoli di ciò che considerano come una imperdonabile dissidenza”. G. Roux, Cit., pp.155-157.
 
“Ma si può fare anche un’ipotesi intermedia che è forse la più probabile: l’incendio fu casuale, ma gli ultrà cristiani fecero del loro meglio per alimentarlo e per impedire che fosse spento, con la pia intenzione di assecondare la mano del Signore che si abbatteva sulla nuova Sodoma. Ciò spiegherebbe anche, al di là degli sciacalli, la presenza di quelle misteriose figure che, secondo il racconto di Tacito, nei giorni e nelle notti dell’incendio si aggiravano tra le fiamme, alimentandole con torce e minacciando i soccorritori”. M. Fini, Cit., p.176.

FIACCOLE UMANE AD ILLUMINAR LA DOTTRINA DI CRISTO NEI SECOLI
Comunque sia è necessario che Nerone trovi un colpevole per togliersi di dosso un’accusa infamante: “Il suo reale coinvolgimento nell’incendio di Roma non sarebbe mai stato completamente provato, ma il fatto importante è che all’epoca molti ritennero che egli fosse colpevole. Dopo tutto, aveva assassinato la madre e la moglie; quindi, un uomo del genere era capace di tutto. In una simile atmosfera, Nerone aveva una sola possibilità e non se la lasciò sfuggire, cominciando a cercare dei capri espiatori. Li trovò nei cristiani…”. M. Twiss, I personaggi più malvagi della storia, p.74.

“Morirono fra tormenti, aggravati da derisioni e insulti. Alcuni inchiodati sulla croce, altri cuciti dentro pelli di bestie feroci ed esposti alla rabbia dei cani; altri, coperti di materie combustibili, servirono da torce per illuminare l’oscurità della notte… La colpa dei cristiani meritava sì la più esemplare delle punizioni, ma la ripugnanza popolare si mutò in compassione, pensando che quelle vittime infelici fossero sacrificate non tanto per il pubblico bene, quanto alla crudeltà di un geloso tiranno”. F. Sampoli, Cit., p.178.

A badar bene, la punizione dei “presunti” colpevoli non passa solo da un terrificante spettacolo per la plebe, ma segue pur sempre canoni di diritto vigente: “Non tutti gli accusati furono però condannati a morte. Alcuni vennero assolti o condannati a pene minori. In tutto furono condannate dalle duecento alle trecento persone su una comunità cristiana che a Roma era di circa tremila unità. Le pene inflitte appaiono spaventose a noi moderni… Ma la pena del rogo… era da sempre prevista per i responsabili di incendio doloso, a essa si era aggiunta, più recentemente, quella dell’esposizione alle bestie. In quanto alla crocefissione era il supplizio destinato ai non cittadini e agli schiavi. Tutto quindi si svolse secondo le norme e i costumi del tempo. Niente di più. Ma anche niente di meno”. M. Fini, Cit., p.178.

Contraddizioni o meno, il vero risultato dell’incendio non lo troviamo nel Nerone tragico visionario di una nuova Roma, ma nella vittoria del Cristianesimo col “grande mito delle efferate persecuzioni del potere imperiale contro la chiesa del Cristo che trionfa in ragione del sangue dei martiri, e la prima grande persecuzione è quella scatenata dal folle sanguinario Nerone che, con una manovra universale delle tirannidi, scatena un pogrom contro i cristiani… Gli orti suoi furono illuminati da quelle fiaccole umane, in mezzo alle grida selvagge della turba briaca e plaudente. Ma da quelle fiaccole spirò più gagliardo il soffio dell’idea cristiana. D’allora in poi quell’idea, inoculata nel sangue dell’umanità, ne resse le sorti” C. Pascal, Cit., pp.51, 73.

14 maggio 2012

AŚOKA, IL CONQUISTATORE PENTITO CHE INVENTÒ IL REGNO BUDDHISTA

Nell’India del 300 a.C. un monarca guerriero in crisi di coscienza si converte, rinuncia alla caccia, si fa vegetariano e fonda un’amministrazione imperiale retta da 3 virtù: sincerità, pietà e non violenza

DALLE ARMI ALL’ILLUMINAZIONE DEL DHARMA
Dalle campagne militari per estendere i propri domini ad una filosofia religiosa come progetto umano e politico. Aśoka (Pataliputra 304-232 a.C) della dinastia Maurya, tra i più grandi monarchi di tutta la storia dell’India, intraprende sulle orme dei suoi predecessori una campagna di espansione del proprio impero concentrato per lo più nella parte Settentrionale, per poi ampliarlo all’odierno Afghanistan, alla Persia, il Bengala e l’Assam. Sarà tuttavia la sanguinosa guerra del Kalinga, odierna Orissa, a segnare il destino del sovrano che camminando tra i cadaveri resta sconvolto dallo spaventoso tributo della vittoria in termini di vite umane. “Centomila persone erano state uccise, e i feriti erano ancor più numerosi. Profondamente colpito e pieno di rimorsi, decise che non avrebbe portato a termine la conquista militare dell’India, e avrebbe anzi rinunciato a qualunque azione aggressiva. Come filosofia religiosa adottò il buddhismo, e cercò di mettere in pratica le virtù prescritte dal dharma, che comprendono la sincerità, la pietà e la non violenza”. M. Hart, Gli uomini che hanno cambiato il mondo, p.32.

Come reazione personale Aśoka proibisce la caccia, il ferimento di animali e favorisce il vegetarianismo. Ma molto più importanti sono le decisioni conseguenti sul piano politico e umano: costruzione di ospedali, riserve per animali, università, ostelli gratuiti per pellegrini, mitigazione di molte leggi giudicate troppo severe, costruzione di nuove strade, sistemi di irrigazione e traffico fluviale.
Ma la caratteristica principale del regno è rappresentata dalla grande tolleranza religiosa: “Nominò anche speciali funzionari governativi, i funzionari del dharma, che avevano il compito di istruire il popolo nella pietà, e di incoraggiare i rapporti umani basati sull’amicizia… Aśoka promosse in particolare il buddhismo, che naturalmente godette in quel periodo di enorme popolarità. Missionari buddhisti vennero inviati in numerosi paesi stranieri, e riscossero particolare successo a Ceylon”. M. Hart, Cit., p.32.

UNA RIVOLUZIONE CULTURALE: L’UOMO CENTRO DI UN REGNO
Questa conversione trova un sua ulteriore energia nella convinzione che la fede buddhista abbia la capacità di far proprie le caratteristiche di altre tradizioni religiose diffuse nell’area. Una soluzione utile a stemperare le forti tensioni in un impero molto vasto. Ciò determina nella gestione del potere una vera e propria rivoluzione culturale che apre anche a leggi non discriminatorie verso i cittadini per casta, credo o schieramento politico. E poi tolleranza di tutte le opinioni, obbedienza ai genitori e rispetto per tutti i maestri religiosi, generosità verso gli amici e trattamento umano dei servitori.
Nel fatale e spesso involontario oblio della storia questa è la più grande eredità di Aśoka alla cui morte il suo Impero, che comincia a vedere la luce successivamente alle campagne indiane di Alessandro Magno, non sopravvive più di cinquant’anni.
“Al momento della sua ascesa al trono, questa religione era diffusa soltanto a livello locale, popolare esclusivamente nell’India del Nord-Ovest. Ma quando il monarca morì essa contava fedeli in tutto il paese, e si andava diffondendo rapidamente nei paesi vicini. Ad esclusione dello stesso Gautama, Aśoka è il maggior responsabile del fatto che il buddhismo è diventato una delle maggiori religioni del mondo”. M. Hart, Cit., p.33.