L’autobiografia quotidiana
di uno dei principali sovrani egizi in un tripudio di monumenti, guerre, mogli
e figli. Alla sfida dei millenni, un esempio ineguagliabile di “culto della
personalità” esaltato più che narrato in un irrefrenabile furore architettonico
ARCHITETTO
INSTANCABILE DEL PROPRIO CULTO
Se l’Egitto, nella sua storia millenaria, è terra di
misteri per antonomasia, pur avendo lasciato all’umanità evidenti tracce di
magnificenza artistica e di governo; Ramesse
II ha combattuto questa tradizione esistenziale enigmatica con un
estremismo di propaganda e autocelebrazione di sé che non ha pari con nessuno dei
suoi “colleghi” delle Piramidi. Per questo lo si può annoverare tra i più
grandi faraoni che siano mai esistiti in più di 3000 anni, alcuni dei quali
però – seppur importanti – restano completamente avvolti nei segreti più fitti
dell’antichità.
Del resto il nostro protagonista è stato facilitato da
una parabola di vita lunga 85 anni in cui ha regnato per 67. Un abbondantissimo
percorso in cui si è raccontato giorno dopo giorno e atto dopo atto in un’autopoiesi continua come necessità di
definirsi costantemente, trasformandosi da soggetto umano/divino a metabolismo
vivente da cui tutto parte e tutto torna: “Re autopoietico per eccellenza,
Ramesse II ha fatto mito di sé, per iscritto e con immagini, portando
all’estremo una caratteristica della civiltà faraonica i cui regali
protagonisti, lo ricordiamo, hanno saputo fin dalle origini usare tutti gli
strumenti della propaganda”. E.
Bresciani, Ramesse II, p.10.
Figlio di Sethi
I, Ramesse II nasce ad Avaris intorno al 1297 a.C. e i primi anni di regno,
a partire dal 1279 a.C., lo vedono impegnato negli affari interni proprio “inaugurando
la tendenza, già mostrata dal padre, a un’accentuata monumentalità in ambito
edificatorio”. A. Frediani, I Grandi
condottieri che hanno cambiato la storia, p.451.
Il perno della sua azione, in sintesi, nell’ambito di un
regno tra i più longevi della storia sta “nelle ampie tracce di sé e un’opera
di difesa delle frontiere egiziane efficace quanto lo era stata quella di
espansione di Thutmosi III… La fama
di cui Ramses ha goduto presso i posteri si deve, in larga misura, alla figura
che il faraone stesso ha tramandato di sé, riempiendo i templi edificati nel
corso del suo lungo regno di tributi al proprio valore guerriero”. A. Frediani,
Cit., pp.451, 454.
… E continuerà a stare al
centro dell’attenzione anche nell’infermità della morte (1212 a.C.), grazie
alla scoperta della sua mummia e alla possibilità, dal 1976, di analizzarne il
caso clinico a partire da una carie piuttosto dolorosa forse dovuta ad un
eccessivo consumo di miele: “Il faraone soffriva di lesioni dentarie
importanti; negli ultimi anni della vita aveva sofferto di devastanti forme di
arteriosclerosi ed era affetto da una forma gravissima di spondilartrite
anchilosante, tanto che doveva camminare curvo appoggiandosi ad un bastone,
almeno durante gli ultimi vent’anni di vita”. E. Bresciani, Cit., p.11.
QADESH, DA UNA QUASI
SCONFITTA A UN TRIONFO DIPLOMATICO
Ramesse II assaggia molto presto la polvere delle
campagne militari, già a 10 anni segue il padre in alcune spedizioni. Da
faraone risolve la questione dei pirati
Shardana le cui incursioni minacciano le relazioni commerciali sulla costa
mediterranea. I depredatori sconfitti verranno inglobati nel proprio esercito e
nella guardia personale. Ed ecco una delle tante stele commemorative che
descrivono l’evento: “Colui il cui prestigio ha traversato il mare (Egeo),
sicché la gente delle isole che sono nel mezzo sono sotto il timore di lui e
vengono a lui, con i tributi dei loro principi. Gli Sciardana dal cuore ribelle,
che non si sapeva come combatterli fin da sempre, che venivano col cuore pieno
di fiducia (perché navigavano su navi) da combattimento nel mezzo del mare e
non si sapeva come affrontarli, invece lui li ha presi con la forza del suo
braccio valoroso e li ha portati in Egitto, il re dell’Alto e del Basso Egitto,
figlio di Ra (Dio Sole), Ramesse Meriamon”.
E. Bresciani, Cit., pp.45-46.
Li ingloba quindi come mercenari. Servono uomini perché
all’orizzonte si affaccia il vero nemico, gli Ittiti. Nel frattempo, l’esigenza di un’azione forte in politica
estera e sul tema della sicurezza delle frontiere spinge il faraone
“costruttore” ad edificare una nuova capitale più adeguata, sarà Piramesse: “La posizione della residenza
era anche strategicamente opportuna, con facilità di comunicazione col
Mediterraneo ma anche col Mar Rosso, atta al controllo sulle regioni limitrofe
e come piazzaforte ben munita di soldati e arcieri scelti”. E. Bresciani, Cit., p.41.
Dalla sua città si pone a portata di tiro verso gli
avversari: “Il loro impero premeva sulle frontiere egiziane, che prima del loro
avvento inglobavano pressoché l’intera area siriana; col tempo, invece, Qadesh
e Amurru, estreme propaggini settentrionali del regno egizio, erano divenute i
capisaldi più meridionali dell’impero ittita, e Ramses fu costretto a condurre
una prima spedizione…”. A. Frediani, Cit.,
p.451.
Qadesh è uno snodo
formidabile nella storia delle guerre, in quanto prima battaglia cui si possono
ricostruire la tattica e la disposizione degli eserciti. Ramesse II si lancia
con 20.000 uomini in 4 divisioni e 200 carri e questo scontro può rappresentare
la sua fine cadendo nella trappola preparata dal re ittita Muwatalli II: “Con uno stratagemma riuscì a far credere di trovarsi
lontano, presso Aleppo, a 200 chilometri di distanza. In realtà era appostato
nei pressi… celato alla vista dall’altura sulla quale sorgeva la città. Aveva
con sé molta fanteria con nutrite formazioni di carri da combattimento, più
numerosi della sabbia delle spiagge”. M. Hart, Gli uomini che hanno cambiato il mondo, p.394.
Ramesse II, troppo sicuro di sé, convinto di cogliere
una facile vittoria trascura ogni precauzione e va all’attacco con una sola
divisione, mentre le altre tardano ad arrivare. L’imprevisto assalto ittita
crea un fuggi fuggi generale, ma secondo gli agiografi il faraone conserva il
controllo nello sbandamento collettivo e dice al suo auriga: “Sta saldo,
rincuora te stesso! Io agirò su di loro come l’artiglio del falco, ucciderò,
massacrerò, li stenderò al suolo! Non sono venuti i principi, gli ufficiali, i
soldati ad aiutarmi mentre combattevo. Ho vinto milioni di nemici da solo, ero
con i miei due grandi cavalli… Io darò loro da mangiare con le mie mani ogni
giorno quando sarò rientrato a Palazzo, perché sono loro che mi sono trovato
accanto quando ero in mezzo ai nemici, così come il conduttore del mio carro,
il mio scudiero Menna e le genti della mia guardia, che sono state al mio
fianco e furono con me nel combattimento”. M. Hart, Cit., p.394.
“Ramses era rimasto con un pugno di carri, circondato
dall’avversario. Sopraggiunse proprio allora, da nord, il distaccamento che
aveva inviato lungo la costa, che soprese da tergo i carri ittiti e liberò il
faraone dalla morsa, aiutandolo a sostenere ben sei attacchi successivi… Nel
frattempo sopraggiunse anche la terza divisione, che contribuì a mettere in
fuga i mezzi ittiti… La notte pose fine al combattimento e il giorno seguente
Muwatalli richiese un armistizio; egli non aveva ancora impiegato la fanteria,
ma d’altronde anche Ramses aveva almeno un quarto dell’esercito integro. Tuttavia
il faraone aveva dovuto rimproverare aspramente i suoi uomini, che lo avevano
abbandonato, e non se la sentiva di rischiare una nuova battaglia con le truppe
che non gli davano pieno affidamento. Ramses accettò pertanto la tregua e tornò
a Sud”. A. Frediani, Cit., pp.454-455.
La battaglia di Qadesh si risolve in una mezza
vittoria, il faraone non riesce a conquistare la città e le ostilità riprendono
più volte negli anni senza che nessuno dei due antagonisti riesca a prevalere
definitivamente. Si arriva così, anche per via della minaccia assira, ad un
trattato di pace con il nuovo re ittita Hattusil
III. Questa l’altra fondamentale specificità storica del conflitto: il
primo accordo che si ricordi tra due stati di pari livello. Si tratta di una pace vera e propria che apre a forme
di collaborazione attiva, anche per l’opportunità di proteggersi dal pericolo
comune dell’Assiria: “Impegno alla pace e alla fratellanza, il grande signore
di Khatti non attaccherà l’Egitto per depredarlo, e il grande re d’Egitto non
invaderà mai il paese di Khatti per depredarlo… Segue, nel testo del trattato,
l’impegno reciproco di soccorso in caso di attacco da parte nemica dei due
territori, impegno a non concedere diritto di extraterritorialità a transfughi
importanti o anche a persone non importanti nell’uno e nell’altro Paese”. E.
Bresciani, Cit., pp.60-61.
Dai pochi resoconti pervenuti si può tentare una
valutazione un po’ più slegata dalla fama presso i posteri che questa figura
tramanda di sé: “Traiamo l’impressione che Ramses II fosse un personaggio
dotato di uno straordinario coraggio, ma un tattico di scarsa levatura, che
osava aggirarsi in territorio nemico con un esercito sfilacciato, e un
comandante di tenue carisma, incapace di tenere a freno i propri uomini presi
dal panico. Senza dubbio migliore ci appare il grande faraone come stratega. La
sua opera consentì all’Egitto di approfittare delle difficoltà degli ittiti per
sottrarre loro territori e guadagnarsi una pace tutto sommato favorevole, e
apportò sicurezza anche lungo le frontiere sud-occidentali, che da lungo tempo
erano sottoposte alla costante minaccia dei libici e dei pirati”. A. Frediani, Cit., p.454.
UN’ETERNITÀ SCOLPITA
IN VITA
Una volta equilibrata e normalizzata la propria
sicurezza da minacce più o meno insidiose, Ramesse II si dedica con tutte le
sue forze alle tendenze di grande costruttore completando i monumenti edificati
dal padre e arricchendo l’Egitto di una serie straordinaria di opere. Da Abu Simbel al Ramesseum, da Karnak a Luxor a Piramesse, “Ramses parla all’immaginazione attraverso i resti
colossali dei templi che eresse, delle tombe, delle statue, degli obelischi. Le
sue gesta guerresche sono state tramandate dagli scribi, esaltate dall’epica,
scolpite nella pietra”. M. Hart, Cit., p.393.
È nell’attività edilizia che Ramesse II crea il mito
di se stesso come eroe di guerra, in una drammatizzazione “patetica”
finalizzata all’esaltazione personale. Peraltro in questo “monumentalismo”
insaziabile non si preoccupa di demolire edifici eretti precedentemente da Akhenaton, per riutilizzarne i
materiali, né di sfigurare altre costruzioni. “L’Egitto
raggiuge il vertice della propria potenza politica sotto i sovrani della XIX
dinastia. Ramsete II, detto più tardi ‘Grande’, durante i suoi anni di regno
esprime la propria potenza in monumenti colossali ad Abu Simbel, Karnak, Luxor,
nel ‘Ramesseum’, ad Abido, a Menfi”. C. W. Ceram, Civiltà sepolte, p.131.
Monumenti che parlano e tramandano. Già moltissimo tempo dopo, nel primo secolo d.C., (immaginando politiche di conservazione dei beni culturali non molto sviluppate), questo Germanico raccoglie nel suo viaggio: “Visitò le grandi rovine dell’antica Tebe, là dove sui grandiosi edifici si conservavano ancora dei geroglifici che chiudevano in sé la voce della grandezza antica. Un sacerdote degli anziani, pregato di tradurre la lingua dei suoi padri, riferiva che là avevano abitato settecentomila uomini atti alle armi, e che con quell’esercito il re Ramses si era impadronito della Libia, dell’Etiopia, della Media, della Persia, della Battriana e della Scizia e delle terre abitate dai Siriaci, dagli Armeni e dai vicini Cappadoci e che lo stesso re aveva dominato da quella parte il mare di Bitinia, da questa il mare di Licia. Si leggevano in quelle iscrizioni anche i tributi, imposti alle genti, la quantità d’oro e d’argento, il numero delle armi, dei cavalli e i doni offerti dai templi, l’avorio e i profumi, la quantità di grano e di ciò che serve ai bisogni della vita e che ogni nazione doveva pagare, in non minori proporzioni di quanto oggi richiedano la prepotenza dei Parti o la potenza dei Romani”. E. Bresciani, Cit., p.91.
UNA COLOSSALE MOLTIPLICAZIONE DI MOGLI E FIGLI
Oltre a riempire l’Egitto di monumenti, Ramesse II “invade” il suo paese con circa 100 figli grazie ad un significativo numero di mogli. Molti di questi affiancano il padre in ruoli militari o religiosi e altrettanti, naturalmente, ne testimonieranno la grandezza attraverso i millenni “ornando” costruzioni a loro dedicate: “Ostentò una fierezza quasi ossessiva per i numerosissimi figli (almeno 50 figli e 40 figlie) di madri diverse, nominandoli e facendoli rappresentare sui suoi monumenti con una insistenza che non si conosce per faraoni precedenti, e che potrebbe essere considerato parte del programma propagandistico perseguito dal re… Ad Abu Simbel, ai lati dei colossi di facciata sono raffigurati 6 figli, all’interno del tempio 9 figlie; a Karnak, nelle scene della battaglia di Qadesh, ben 12 figli… Non meraviglia che per una progenie così numerosa il faraone abbia fatto approntare nella Valle dei Re, proprio di fronte alla propria, una tomba multipla”. E. Bresciani, Cit., pp.31-32.
L’harem del faraone invece comprende molte donne, Nefertari la più nota e forse la più amata; figura onnipresente, furba, intelligente e bellissima. Secondo alcuni studiosi addirittura probabile sorellastra del faraone. Infatti tra le spose di Ramesse II figurano anche alcune figlie, ma non è accertato se si sia trattato di vere unioni carnali oppure titolature onorifiche o rituali. Molta risonanza viene data al matrimonio del faraone con la figlia di Hattusil III, Maatneferura, per consolidare ulteriormente i rapporti tra egiziani e ittiti dopo la pace. Avvenimento commemorato, come al solito, su grandi stele ad Abu Simbel e Karnak; su quest’ultima si legge: “Ed ecco che la figlia del grande principe di Kheta fu condotta alla presenza di Sua Maestà e siccome piacque al cuore di Sua Maestà, Sua Maestà fece redigere il suo nome in qualità di grande sposa regale: Maatneferura (Colei che vede la bellezza di Ra)… E’ stata una meraviglia misteriosa che non si era mai verificata prima in Egitto. Il paese di Kheta venne, con cuore devoto, sotto i piedi di Sua Maestà, di modo che, se qualcuno, uomo o donna, doveva recarsi in Asia e giungere al Paese di Kheta, non c’era paura nel suo cuore, grazie alla grandezza e alle vittorie di Sua Maestà”. E. Bresciani, Cit., p.29.
Per tutta questa scenografia vivente che intreccia governo e famiglia, Ramesse II resta una delle figure più emblematiche della gloria e del potere dell’Egitto faraonico: “Ha ben meritato d’essere chiamato grande. Avendo fatto prova nella battaglia di Qadesh d’un coraggio straordinario, è entrato ancora in vita nella leggenda. Tutta la sua vita ha esercitato coscienziosamente il suo mestiere di re. Il suo egoismo mostruoso era temperato dalla bontà di cui hanno beneficiato i suoi soldati, i suoi artisti, i membri della sua famiglia e si può perfino dire l’insieme dei suoi sudditi”. E. Bresciani, Cit., pp.12-13.
L’UNICO VERO MISTERO CIÒ CHE APPARE PIÙ NOTO: L’ESODO E IL MAR ROSSO
Ma Ramesse II è o non è il faraone a cui la Bibbia allude, senza nominarlo, come colui che in un primo momento concede la libertà agli israeliti guidati da Mosè nel grande Esodo e poi per dar loro la caccia annega nel Mar Rosso? Ne è più convinta la cinematografia, con il suo celebre Kolossal (ovvio) I dieci comandamenti, che non gli studiosi: “Il racconto biblico afferma che il faraone annegò nelle acque del mare; allora i re di queste dinastie di cui esistono le mummie dovrebbero venire esclusi; ma per la XVIII dinastia mancano le mummie di Hatsepsut e di Akhenaton; per la XIX dinastia la mummia di Seti I c’è, intatta. Ramesse II è morto tranquillamente ottuagenario; la sua mummia, sottoposta a numerosi esami in occasione del suo restauro e pulizia, non ha mostrato segni di annegamento”. E. Bresciani, Cit., p.68.
Altre interpretazioni attribuiscono questa responsabilità al successore del grande faraone, il figlio Merneptha, per via di una stele che riporta una lista di paesi vinti: “I re sono abbattuti e dicono Salam! Nessuno tiene alta la testa tra i Nove Archi. La Libia è devastata, Kheta è pacificata, Canaan è depredata con ogni male, Askalon è deportata, Gezer è conquistata, Yonoam ridotta come se non esistesse, Israel è desolata e non c’è più il suo seme, la Palestina è divenuta per l’Egitto come una (debole e indifesa) vedova…
Ma anche la mummia di Merneptha è intatta, senza tracce di annegamento”. E. Bresciani, Cit., pp.69-71.
Mistero!!! Colossale mistero!!!
Monumenti che parlano e tramandano. Già moltissimo tempo dopo, nel primo secolo d.C., (immaginando politiche di conservazione dei beni culturali non molto sviluppate), questo Germanico raccoglie nel suo viaggio: “Visitò le grandi rovine dell’antica Tebe, là dove sui grandiosi edifici si conservavano ancora dei geroglifici che chiudevano in sé la voce della grandezza antica. Un sacerdote degli anziani, pregato di tradurre la lingua dei suoi padri, riferiva che là avevano abitato settecentomila uomini atti alle armi, e che con quell’esercito il re Ramses si era impadronito della Libia, dell’Etiopia, della Media, della Persia, della Battriana e della Scizia e delle terre abitate dai Siriaci, dagli Armeni e dai vicini Cappadoci e che lo stesso re aveva dominato da quella parte il mare di Bitinia, da questa il mare di Licia. Si leggevano in quelle iscrizioni anche i tributi, imposti alle genti, la quantità d’oro e d’argento, il numero delle armi, dei cavalli e i doni offerti dai templi, l’avorio e i profumi, la quantità di grano e di ciò che serve ai bisogni della vita e che ogni nazione doveva pagare, in non minori proporzioni di quanto oggi richiedano la prepotenza dei Parti o la potenza dei Romani”. E. Bresciani, Cit., p.91.
UNA COLOSSALE MOLTIPLICAZIONE DI MOGLI E FIGLI
Oltre a riempire l’Egitto di monumenti, Ramesse II “invade” il suo paese con circa 100 figli grazie ad un significativo numero di mogli. Molti di questi affiancano il padre in ruoli militari o religiosi e altrettanti, naturalmente, ne testimonieranno la grandezza attraverso i millenni “ornando” costruzioni a loro dedicate: “Ostentò una fierezza quasi ossessiva per i numerosissimi figli (almeno 50 figli e 40 figlie) di madri diverse, nominandoli e facendoli rappresentare sui suoi monumenti con una insistenza che non si conosce per faraoni precedenti, e che potrebbe essere considerato parte del programma propagandistico perseguito dal re… Ad Abu Simbel, ai lati dei colossi di facciata sono raffigurati 6 figli, all’interno del tempio 9 figlie; a Karnak, nelle scene della battaglia di Qadesh, ben 12 figli… Non meraviglia che per una progenie così numerosa il faraone abbia fatto approntare nella Valle dei Re, proprio di fronte alla propria, una tomba multipla”. E. Bresciani, Cit., pp.31-32.
L’harem del faraone invece comprende molte donne, Nefertari la più nota e forse la più amata; figura onnipresente, furba, intelligente e bellissima. Secondo alcuni studiosi addirittura probabile sorellastra del faraone. Infatti tra le spose di Ramesse II figurano anche alcune figlie, ma non è accertato se si sia trattato di vere unioni carnali oppure titolature onorifiche o rituali. Molta risonanza viene data al matrimonio del faraone con la figlia di Hattusil III, Maatneferura, per consolidare ulteriormente i rapporti tra egiziani e ittiti dopo la pace. Avvenimento commemorato, come al solito, su grandi stele ad Abu Simbel e Karnak; su quest’ultima si legge: “Ed ecco che la figlia del grande principe di Kheta fu condotta alla presenza di Sua Maestà e siccome piacque al cuore di Sua Maestà, Sua Maestà fece redigere il suo nome in qualità di grande sposa regale: Maatneferura (Colei che vede la bellezza di Ra)… E’ stata una meraviglia misteriosa che non si era mai verificata prima in Egitto. Il paese di Kheta venne, con cuore devoto, sotto i piedi di Sua Maestà, di modo che, se qualcuno, uomo o donna, doveva recarsi in Asia e giungere al Paese di Kheta, non c’era paura nel suo cuore, grazie alla grandezza e alle vittorie di Sua Maestà”. E. Bresciani, Cit., p.29.
Per tutta questa scenografia vivente che intreccia governo e famiglia, Ramesse II resta una delle figure più emblematiche della gloria e del potere dell’Egitto faraonico: “Ha ben meritato d’essere chiamato grande. Avendo fatto prova nella battaglia di Qadesh d’un coraggio straordinario, è entrato ancora in vita nella leggenda. Tutta la sua vita ha esercitato coscienziosamente il suo mestiere di re. Il suo egoismo mostruoso era temperato dalla bontà di cui hanno beneficiato i suoi soldati, i suoi artisti, i membri della sua famiglia e si può perfino dire l’insieme dei suoi sudditi”. E. Bresciani, Cit., pp.12-13.
L’UNICO VERO MISTERO CIÒ CHE APPARE PIÙ NOTO: L’ESODO E IL MAR ROSSO
Ma Ramesse II è o non è il faraone a cui la Bibbia allude, senza nominarlo, come colui che in un primo momento concede la libertà agli israeliti guidati da Mosè nel grande Esodo e poi per dar loro la caccia annega nel Mar Rosso? Ne è più convinta la cinematografia, con il suo celebre Kolossal (ovvio) I dieci comandamenti, che non gli studiosi: “Il racconto biblico afferma che il faraone annegò nelle acque del mare; allora i re di queste dinastie di cui esistono le mummie dovrebbero venire esclusi; ma per la XVIII dinastia mancano le mummie di Hatsepsut e di Akhenaton; per la XIX dinastia la mummia di Seti I c’è, intatta. Ramesse II è morto tranquillamente ottuagenario; la sua mummia, sottoposta a numerosi esami in occasione del suo restauro e pulizia, non ha mostrato segni di annegamento”. E. Bresciani, Cit., p.68.
Altre interpretazioni attribuiscono questa responsabilità al successore del grande faraone, il figlio Merneptha, per via di una stele che riporta una lista di paesi vinti: “I re sono abbattuti e dicono Salam! Nessuno tiene alta la testa tra i Nove Archi. La Libia è devastata, Kheta è pacificata, Canaan è depredata con ogni male, Askalon è deportata, Gezer è conquistata, Yonoam ridotta come se non esistesse, Israel è desolata e non c’è più il suo seme, la Palestina è divenuta per l’Egitto come una (debole e indifesa) vedova…
Ma anche la mummia di Merneptha è intatta, senza tracce di annegamento”. E. Bresciani, Cit., pp.69-71.
Mistero!!! Colossale mistero!!!
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