Le
contraddizioni di un reazionario e “repressore” che attua un’intensa attività
legislativa per il suo regno e una fondamentale riforma della giustizia.
Protagonista dell’eclettismo giuridico della Restaurazione post napoleonica che
paradossalmente apre la strada alle speranze costituzionali dei popoli italiani
preunitari
Waterloo 1815: la fine del dominio
napoleonico sull’Europa riporta al trono i vecchi regnanti spazzati via
dall’ondata rivoluzionaria francese, e avvia un processo di Restaurazione dei sistemi di governo e
degli antichi poteri d’Ancien Régime;
immobilità delle stratificazioni sociali, appartenenza ad esse per nascita,
diseguaglianza giuridica, assolutismo regio e discendenza divina della
sovranità. Presto si dimostrerà nei fatti l’impossibilità di tornare davvero
all’antico per via dell’enorme difficoltà nel rimuovere l’eredità
rivoluzionaria sulle istituzioni politiche, gli ordinamenti giudiziari e la
vita sociale. Così anche il caso del Regno Sardo-piemontese e di Carlo Felice di Savoia, reazionario per
formazione e riformista suo malgrado davanti alla fortissima influenza delle
metamorfosi sociali apportate dalla Rivoluzione e dalla codificazione
napoleonica. Con l’Editto 27 settembre
1822 lancia una fondamentale riforma della giustizia, evidente richiamo ad una delle rivendicazioni principali del
Terzo Stato francese agli Stati Generali del 1789: “Dunque sostituire ad una
giustizia arbitraire et inhumaine un
sistema del tutto nuovo, ispirato dal giusnaturalismo illuministico e modellato
intorno alle istituzioni inglesi, fu l’obiettivo del legislatore costituente”.
P. Alvazzi del Frate, Riforme giudiziarie
e Rivoluzione francese, p.459.
In
breve emerge con evidenza che il potere restaurato non riesce a capovolgere gli
effetti dell’incontenibile spinta rivoluzionaria con cui “fu abolito
l’ordinamento corporativo e abrogato il sistema dei privilegi su cui si basava
l’Ancien Régime, mentre furono
proclamate la parità di ogni cittadino di fronte alla legge, la giustizia
eguale per tutti, la netta separazione fra potere legislativo, esecutivo,
giudiziario”. G. S. Pene Vidari, Aspetti
di storia giuridica del XIX secolo, p.165.
UN TRONO INASPETTATO,
1821-1831
Carlo
Felice nasce a Torino il 6 aprile 1765 da Vittorio
Amedeo III, poi re di Sardegna, e da Maria
Antonia di Borbone, figlia di Filippo
V re di Spagna. Studia con i fratelli sotto la guida di vari precettori ma,
non essendo destinato al trono poiché quarto dei figli maschi viventi, non gli
si riserva alcuna formale istruzione negli affari di Stato: “A questo fatto
possono… essere ricollegati alcuni suoi atteggiamenti nel concepire e
nell’esercitare il potere: il dommatismo della sua fede nell’origine divina
dell’autorità regia, il carattere ossessivo del suo misoneismo, il moralismo di
tipo paternalistico come metro di giudizio dei fatti politici, la proterva
intolleranza di divergenze e di opposizioni. …Tormentato da crisi nervose;
…temperamento coerente e inflessibile, …chiuso, diffidente, impulsivo; …di
animo onesto, sincero, capace di commozione e di tenerezza, ma anche
suscettibile, astioso e vendicativo; …mente perspicace, capace a volte perfino
di autoironia, ma anche culturalmente piuttosto sprovveduta e non molto
duttile”. G. Locorotondo, Carlo Felice, pp.365-366.
Nominato
viceré della Sardegna dopo la cacciata dal Piemonte nel 1798 ad opera dei
francesi, Carlo Felice dedica all’isola grandi cure: iniziative per favorire la
raccolta degli ulivi e la creazione di una Società agraria ed economica; crea
un ufficio per l’amministrazione delle miniere, dei boschi e delle selve. Non
potendo aumentare le imposizioni dirette o indirette, ricorse a contributi
volontari, prestiti e vendita di feudi, titoli nobiliari e cavalierati, o
all’alienazione dei beni demaniali. Organizza anche un programma di opere
pubbliche ed umanitarie attingendo spesso ai suoi fondi personali. Questa
azione legislativa si conclude il 16 gennaio 1827 con la promulgazione delle Leggi civili e criminali pel Regno di
Sardegna, una sorta di “codice” a carattere compilatorio simile alle
costituzioni piemontesi del 1770. L’abdicazione di Napoleone, il 6 aprile 1814, e l’ingresso degli austriaci a Milano,
il 28 aprile, creano le condizioni per il ritorno sul trono di Vittorio Emanuele I in Piemonte il 20
maggio. Carlo Felice conserva la carica di viceré della Sardegna, ma nel 1816,
a seguito dello scoppio della peste, torna a Torino allontanandosi dalla
politica. La mancanza di discendenti del re, che abdica successivamente allo
scoppio dei moti del 1821, e la morte del terzo fratello conducono Carlo Felice
al trono.
IL RE DEGLI EDITTI
TRA REPRESSIONE E RIFORME: L’ECLETTISMO GIURIDICO DELLA RESTAURAZIONE
Quale
sia lo spirito con cui Carlo Felice vuole inaugurare il suo regno, risulta fin
dal primo proclama ai sudditi il 16 marzo 1821: “Ben lungi dall’acconsentire a
qualunque cambiamento nella forma di governo preesistente alla detta
abdicazione del Re, nostro amatissimo fratello, consideriamo sempre come
ribelli tutti coloro dei Reali Sudditi, i quali avranno aderito o aderiscano ai
sediziosi, o i quali si saranno arrogati o si arrogheranno di proclamare una
costituzione…”. A. Aquarone, La politica
legislativa della Restaurazione nel regno di Sardegna, p.159.
“Il
nuovo re Carlo Felice diede corso alla reazione con arbitrari metodi
repressivi, mediante commissioni straordinarie per giudicare i ribelli e giunte
d’inquisizione politica per l’epurazione dell’esercito e della burocrazia”. G.
Astuti, Gli ordinamenti giuridici degli
Stati sabaudi, p.544.
Tuttavia
la reazione del restaurato assolutismo non sarà, per certi versi, troppo
severa: delle settantuno condanne a morte, pronunciate da un’apposita
commissione militare, tre vengono eseguite; solo trecentodiciotto ufficiali
sostituiti o giubilati nelle file dell’esercito e così anche nella pubblica
amministrazione l’epurazione è condotta da una commissione di scrutinio, ma
nella maggior parte dei casi ci si limita a sospensioni temporanee dai
rispettivi uffici, oppure a trasferimenti o soltanto ad una “severa
ammonizione”. Terminata la prima fase repressiva dei moti costituzionali, Carlo
Felice decide di ritornare a Torino nell’ottobre 1821 e, anche in conseguenza
delle sfavorevoli ripercussioni che presso numerose corti europee hanno avuto i
sistemi di governo dei suoi primi mesi di regno, già il 30 settembre emana un
editto che stabilisce l’indulto in favore di quanti sono stati implicati nei
moti escludendo, però, da tale beneficio capi e promotori, fiancheggiatori e
tutti i colpevoli di omicidio o estorsione.
Insomma, contrariamente ai suoi
esordi, il governo di Carlo Felice segna una ripresa di attività normativa che
porta ad alcune riforme istituzionali con infarciture francesi:
L’Editto 16 luglio
1822
per il riordino del sistema ipotecario piemontese, ristabilendo il rigoroso
principio della pubblicità e della specialità delle ipoteche; l’Editto 27 agosto 1822 sul diritto
penale militare, riunendo e coordinando le norme preesistenti in materia,
sparse in fonti di epoche diverse; l’Editto
27 settembre 1822 per la riforma del sistema giudiziario; Leggi civili e criminali pel Regno di
Sardegna, 16 gennaio 1827, per riorganizzare un corpo legislativo
disordinato e frammentario.
Tale
percorso ha il regno di Carlo Felice, tra reazione e riforme, in definitiva
un’opera legislativa che segue il filone del cosiddetto eclettismo giuridico della Restaurazione: “Carlo Felice, come ogni
uomo della Restaurazione, che comprende a un tempo sia i reazionari sia gli
innovatori, ha maturato molteplici esperienze e appare oscillante tra l’aperto
richiamo al dispotismo settecentesco, il cui sbocco era lo stato napoleonico, e
suggestioni storicistiche, peraltro, in Italia, scarsamente fortunate... Da un
lato si è in presenza di un tipico sforzo di aggiornamento dell’assolutismo
dinastico, dall’altro, in tale sforzo si attua una recezione sostanziale della
normativa francese, seppure con eccezioni e modificazioni”. E. Genta, Eclettismo giuridico della Restaurazione,
pp.357-362.
GIUSTIZIA ALLA
FRANCESE
La
Rivoluzione quale “grande crisi che determinò la formazione di un nuovo ordine
politico-giuridico e di un nuovo tipo di civiltà, fondato sopra principi che
mai si sarebbero potuti affermare nella realtà storica senza una netta e
violenta frattura rispetto all’Ancien
Régime… Da qui al sistema giudiziario napoleonico che rimase in vigore
nella nostra penisola solo per pochi anni, ma la sua superiorità sugli
ordinamenti antecedenti era tale da destinarlo inevitabilmente ad esercitarvi…
una lunga influenza. I magistrati diventavano un moderno corpo di funzionari
pubblici, nominati dal governo, inquadrati in un rigido sistema gerarchico
articolato in molteplici gradi, e sottoposti alla sorveglianza della corte di
cassazione, presieduta dal ministro della giustizia o Grand Juge. Pochi uffici giudiziari restarono in vita, coordinati
fra loro: giudici di pace, tribunali, corti di appello, corte di cassazione e
corti di assise… Nasceva un nuovo tipo di Stato, con un ordinamento
costituzionale diretto a garantire i diritti di libertà politica e civile dei
cittadini solennemente sanciti da una dichiarazione… Al vecchio sistema
pluralistico delle fonti del diritto comune e dei diritti particolari… si
veniva sostituendo, con la codificazione, un sistema organico, unitario, di
norme legislative ordinatamente raccolte in codici, articolate in forma concisa
e precisa, senza contraddizioni lacune, ispirate ai principi politici,
economici, sociali dell’Illuminismo”. G. Astuti, Cit., p.532.
Nel
campo giuridico l’eguaglianza civile, che rinnova radicalmente quel sistema di
rapporti fondato su privilegi e immunità di ceto sia nel diritto pubblico che
nel diritto privato o criminale, è destinata a trasformare profondamente la
vita sociale, a creare una società di cittadini liberi ed eguali nel diritto.
“Il regime napoleonico determinò la formazione di un nuovo ceto dirigente, in
massima parte borghese, di magistrati, funzionari, ufficiali, consapevoli delle
proprie possibilità e ricchi di esperienze preziose: dopo la caduta di
Napoleone, essi rappresentarono la vera élite
italiana, che doveva promuovere i primi moti risorgimentali, e affermarsi
nei diversi Stati come l’elemento fondamentale del processo di unificazione
nazionale”. G. Astuti, Cit., pp.536-537.
L’EDITTO 27 SETTEMBRE
1822: DALLE SPORTULE AL PROCURATORE
DEI POVERI
Carlo
Felice trova questo scenario e l’impossibilità di riuscire a reprimerlo.
L’organizzazione giudiziaria d’Ancien
Régime non può sopravvivere di fronte all’affermarsi di idee
sull’uguaglianza e sulla necessità di un nuovo sistema richiesto dallo sviluppo
economico. È quindi logico che venga completamente modificata dalle riforme del
periodo “giacobino” e napoleonico, e che, come si è visto, i tentativi di
ritorno all’antico dei primi anni della Restaurazione non possono servire ad
altro che a dimostrare la concreta incapacità di un tale ritorno. Vittorio
Emanuele I ha già ripristinato l’antica legislazione e numerose giurisdizioni
speciali: la cancellazione delle grandi riforme del diritto civile, penale,
processuale; l’abolizione dell’eguaglianza giuridica dei cittadini, il
ripristino delle disparità dipendenti dagli Status o dalla fede religiosa;
dalla certezza del diritto nuovamente alla confusione e insicurezza di ogni rapporto
conseguente all’annullamento dei diritti acquisiti sotto l’impero della
legislazione francese. Se
la Rivoluzione sviluppa un sistema basato sull’abrogazione dei privilegi d’Ancien Régime, sulla uguaglianza di ogni
cittadino di fronte alla legge, sulla netta separazione fra potere legislativo,
esecutivo e giudiziario; la Restaurazione invece ristabilisce il sistema delle sportule, contributi che i privati
devono pagare ai giudici per ottenere giustizia e che penalizzano i ceti meno
abbienti: “Le sportule consistevano in una somma che i litiganti delle cause
civili dovevano pagare al giudice in proporzione del valore della cosa
litigiosa, e che i condannati in criminale gli dovevano pagare in proporzione
dell’ammontare pecuniario della condanna. Nelle cause civili la sportula era
rappresentata dal due o tre per cento, nelle cause penali da una somma
graduale, in rapporto alla pena… Questo legame di dare e avere fra il giudice e
le parti non era soltanto indecoroso, immorale e contraddicente al concetto dell’essere
la giustizia un dovere dello Stato verso i cittadini, ma spingeva i magistrati
a ricercare e sollecitare le cause ricche, i processi contro persone doviziose,
e nei processi li istigava alle condanne”. E. Piola Caselli, La
Magistratura. Studio sull’ordinamento giudiziario nella storia, nelle leggi
straniere, nella legge italiana e nei progetti di riforma, p.51.
Ma
“per quanto il governo si studiasse di rifare lo Stato sul modello antico, esso
non poteva rimanere affatto sordo alle voci del maggior numero dei suoi sudditi
che malissimo contenti dell’avviamento preso da chi li reggeva, chiedevano
leggi conformi alla ragione ed alle esigenze dei tempi. Si ponea quindi innanzi
l’idea di una certa quale riforma che colmasse qualche lacuna…”. F. Sclopis, Storia della legislazione italiana
dall’epoca della Rivoluzione francese, 1789, a quella delle Riforme italiane,
1847, p.206.
Così
il 27 settembre 1822 viene promulgato l’Editto
sulla riforma dell’ordinamento giudiziario: “L’editto riorganizzava i primi
gradi di giustizia dividendo il Regno, Sardegna esclusa, nei circondari di 40
tribunali di prefettura, dai quali dipendevano 416 giudicature di mandamento,
risistemando quindi in modo uniforme l’amministrazione giudiziaria di
terraferma… Venivano abolite alcune delle antiche giurisdizioni speciali, come
la giunta sopra i delitti di gioco d’azzardo o il regio capitanato della
darsena. Si rendeva infine la giustizia
gratuita, almeno tendenzialmente... La nuova legge… sostituiva all’antico
sistema delle sportule, una specie di tasse giudiziarie, di importo non
trascurabile, che le parti in causa pagavano direttamente ai giudici e che
costituivano la maggior parte delle loro retribuzioni, un regolare sistema di
stipendi a carico del bilancio dello Stato”. P. Saraceno, Storia della magistratura italiana. Le origini – la magistratura nel
Regno di Sardegna, pp.40-41.
“Con
questo editto vennero creati in tutti i capoluoghi di provincia i tribunali
collegiali, che prima… esistevano in tre sole provincie, abolendosi così
l’antica magistratura singolare dei prefetti… Furono chiamati “tribunali di
prefettura”, e vennero divisi in quattro classi, secondo la importanza dei
luoghi, affidandosi poi a speciali membri di questi tribunali l’istruzione dei
processi. Sotto dei tribunali e dei loro dipendenti vi erano 416 giudicature di
mandamento, pur esse divise in quattro classi con assegnamento diverso di
stipendi… Mantenuta la competenza civile e penale del Senato e della Camera dei
conti, furono, però, abolite molte giurisdizioni speciali e, riforma sovratutto
importantissima, furono sostituiti ai diritti di regalìa, sportule, relazione,
ecc., precedentemente in uso, stipendi fissi, sia per i magistrati maggiori che
per i minori, distinti nel loro ammontare, secondo il grado giudiziario, non
solo, ma secondo l’importanza dei tribunali in ordine alle varie
circoscrizioni”. E. Piola Caselli, Cit., pp.226-227.
“Le
giurisdizioni eccezionali e privilegiate vengono ridotte ma non abolite; si
istituiscono i giudici di mandamento e i tribunali collegiali di prefettura
come organi di prima istanza per le cause civili e si adotta il doppio grado di
giurisdizione eliminando la pluralità degli appelli; si istituisce l’avvocato
fiscale con funzioni di pubblico ministero; si abolisce finalmente il sistema
delle sportule sostituendolo con stipendi ai magistrati (che comunque rimangono
revocabili dal Re)”. M. Taruffo, La
giustizia civile in Italia dal ‘700 ad oggi, p.94.
Così come l’Editto provvede a ridefinire il
ruolo degli Avvocati fiscali, allo stesso modo ribadisce l’importanza delle
funzioni del Procuratore dei poveri,
un istituto assai antico e particolare nella storia del nostro paese. Esso si
concretizza principalmente attraverso l’istituzione, nel foro, di un difensore
con lo specifico incarico del patrocinio degli interessi dei poveri. La riforma
pertanto apre la strada ad una sorta di “convivenza” tra il modello francese e
le antiche Costituzioni piemontesi perseguendo un maggior grado di razionalità
ed efficienza. Certamente ancora non bastano i provvedimenti introdotti da
Carlo Felice ma, seppur timidi e limitati ad alcuni specifici settori della
legislazione, hanno indubbiamente il merito di aver avviato una stagione di
riforme che giungerà a maturazione nel successivo regno di Carlo Alberto.