1 dicembre 2011

CARLO FELICE DI SAVOIA, RE “PER CASO” CHE ISPIRÒ LO STATUTO ALBERTINO

Le contraddizioni di un reazionario e “repressore” che attua un’intensa attività legislativa per il suo regno e una fondamentale riforma della giustizia. Protagonista dell’eclettismo giuridico della Restaurazione post napoleonica che paradossalmente apre la strada alle speranze costituzionali dei popoli italiani preunitari
 
Waterloo 1815: la fine del dominio napoleonico sull’Europa riporta al trono i vecchi regnanti spazzati via dall’ondata rivoluzionaria francese, e avvia un processo di Restaurazione dei sistemi di governo e degli antichi poteri d’Ancien Régime; immobilità delle stratificazioni sociali, appartenenza ad esse per nascita, diseguaglianza giuridica, assolutismo regio e discendenza divina della sovranità. Presto si dimostrerà nei fatti l’impossibilità di tornare davvero all’antico per via dell’enorme difficoltà nel rimuovere l’eredità rivoluzionaria sulle istituzioni politiche, gli ordinamenti giudiziari e la vita sociale. Così anche il caso del Regno Sardo-piemontese e di Carlo Felice di Savoia, reazionario per formazione e riformista suo malgrado davanti alla fortissima influenza delle metamorfosi sociali apportate dalla Rivoluzione e dalla codificazione napoleonica. Con l’Editto 27 settembre 1822 lancia una fondamentale riforma della giustizia, evidente richiamo ad una delle rivendicazioni principali del Terzo Stato francese agli Stati Generali del 1789: “Dunque sostituire ad una giustizia arbitraire et inhumaine un sistema del tutto nuovo, ispirato dal giusnaturalismo illuministico e modellato intorno alle istituzioni inglesi, fu l’obiettivo del legislatore costituente”. P. Alvazzi del Frate, Riforme giudiziarie e Rivoluzione francese, p.459.
 
In breve emerge con evidenza che il potere restaurato non riesce a capovolgere gli effetti dell’incontenibile spinta rivoluzionaria con cui “fu abolito l’ordinamento corporativo e abrogato il sistema dei privilegi su cui si basava l’Ancien Régime, mentre furono proclamate la parità di ogni cittadino di fronte alla legge, la giustizia eguale per tutti, la netta separazione fra potere legislativo, esecutivo, giudiziario”. G. S. Pene Vidari, Aspetti di storia giuridica del XIX secolo, p.165.
 
UN TRONO INASPETTATO, 1821-1831
Carlo Felice nasce a Torino il 6 aprile 1765 da Vittorio Amedeo III, poi re di Sardegna, e da Maria Antonia di Borbone, figlia di Filippo V re di Spagna. Studia con i fratelli sotto la guida di vari precettori ma, non essendo destinato al trono poiché quarto dei figli maschi viventi, non gli si riserva alcuna formale istruzione negli affari di Stato: “A questo fatto possono… essere ricollegati alcuni suoi atteggiamenti nel concepire e nell’esercitare il potere: il dommatismo della sua fede nell’origine divina dell’autorità regia, il carattere ossessivo del suo misoneismo, il moralismo di tipo paternalistico come metro di giudizio dei fatti politici, la proterva intolleranza di divergenze e di opposizioni. …Tormentato da crisi nervose; …temperamento coerente e inflessibile, …chiuso, diffidente, impulsivo; …di animo onesto, sincero, capace di commozione e di tenerezza, ma anche suscettibile, astioso e vendicativo; …mente perspicace, capace a volte perfino di autoironia, ma anche culturalmente piuttosto sprovveduta e non molto duttile”. G. Locorotondo, Carlo Felice, pp.365-366.

Nominato viceré della Sardegna dopo la cacciata dal Piemonte nel 1798 ad opera dei francesi, Carlo Felice dedica all’isola grandi cure: iniziative per favorire la raccolta degli ulivi e la creazione di una Società agraria ed economica; crea un ufficio per l’amministrazione delle miniere, dei boschi e delle selve. Non potendo aumentare le imposizioni dirette o indirette, ricorse a contributi volontari, prestiti e vendita di feudi, titoli nobiliari e cavalierati, o all’alienazione dei beni demaniali. Organizza anche un programma di opere pubbliche ed umanitarie attingendo spesso ai suoi fondi personali. Questa azione legislativa si conclude il 16 gennaio 1827 con la promulgazione delle Leggi civili e criminali pel Regno di Sardegna, una sorta di “codice” a carattere compilatorio simile alle costituzioni piemontesi del 1770. L’abdicazione di Napoleone, il 6 aprile 1814, e l’ingresso degli austriaci a Milano, il 28 aprile, creano le condizioni per il ritorno sul trono di Vittorio Emanuele I in Piemonte il 20 maggio. Carlo Felice conserva la carica di viceré della Sardegna, ma nel 1816, a seguito dello scoppio della peste, torna a Torino allontanandosi dalla politica. La mancanza di discendenti del re, che abdica successivamente allo scoppio dei moti del 1821, e la morte del terzo fratello conducono Carlo Felice al trono.
 
IL RE DEGLI EDITTI TRA REPRESSIONE E RIFORME: L’ECLETTISMO GIURIDICO DELLA RESTAURAZIONE
Quale sia lo spirito con cui Carlo Felice vuole inaugurare il suo regno, risulta fin dal primo proclama ai sudditi il 16 marzo 1821: “Ben lungi dall’acconsentire a qualunque cambiamento nella forma di governo preesistente alla detta abdicazione del Re, nostro amatissimo fratello, consideriamo sempre come ribelli tutti coloro dei Reali Sudditi, i quali avranno aderito o aderiscano ai sediziosi, o i quali si saranno arrogati o si arrogheranno di proclamare una costituzione…”. A. Aquarone, La politica legislativa della Restaurazione nel regno di Sardegna, p.159.
 
“Il nuovo re Carlo Felice diede corso alla reazione con arbitrari metodi repressivi, mediante commissioni straordinarie per giudicare i ribelli e giunte d’inquisizione politica per l’epurazione dell’esercito e della burocrazia”. G. Astuti, Gli ordinamenti giuridici degli Stati sabaudi, p.544.
 
Tuttavia la reazione del restaurato assolutismo non sarà, per certi versi, troppo severa: delle settantuno condanne a morte, pronunciate da un’apposita commissione militare, tre vengono eseguite; solo trecentodiciotto ufficiali sostituiti o giubilati nelle file dell’esercito e così anche nella pubblica amministrazione l’epurazione è condotta da una commissione di scrutinio, ma nella maggior parte dei casi ci si limita a sospensioni temporanee dai rispettivi uffici, oppure a trasferimenti o soltanto ad una “severa ammonizione”. Terminata la prima fase repressiva dei moti costituzionali, Carlo Felice decide di ritornare a Torino nell’ottobre 1821 e, anche in conseguenza delle sfavorevoli ripercussioni che presso numerose corti europee hanno avuto i sistemi di governo dei suoi primi mesi di regno, già il 30 settembre emana un editto che stabilisce l’indulto in favore di quanti sono stati implicati nei moti escludendo, però, da tale beneficio capi e promotori, fiancheggiatori e tutti i colpevoli di omicidio o estorsione.
Insomma, contrariamente ai suoi esordi, il governo di Carlo Felice segna una ripresa di attività normativa che porta ad alcune riforme istituzionali con infarciture francesi: L’Editto 16 luglio 1822 per il riordino del sistema ipotecario piemontese, ristabilendo il rigoroso principio della pubblicità e della specialità delle ipoteche; l’Editto 27 agosto 1822 sul diritto penale militare, riunendo e coordinando le norme preesistenti in materia, sparse in fonti di epoche diverse; l’Editto 27 settembre 1822 per la riforma del sistema giudiziario; Leggi civili e criminali pel Regno di Sardegna, 16 gennaio 1827, per riorganizzare un corpo legislativo disordinato e frammentario.
Tale percorso ha il regno di Carlo Felice, tra reazione e riforme, in definitiva un’opera legislativa che segue il filone del cosiddetto eclettismo giuridico della Restaurazione: “Carlo Felice, come ogni uomo della Restaurazione, che comprende a un tempo sia i reazionari sia gli innovatori, ha maturato molteplici esperienze e appare oscillante tra l’aperto richiamo al dispotismo settecentesco, il cui sbocco era lo stato napoleonico, e suggestioni storicistiche, peraltro, in Italia, scarsamente fortunate... Da un lato si è in presenza di un tipico sforzo di aggiornamento dell’assolutismo dinastico, dall’altro, in tale sforzo si attua una recezione sostanziale della normativa francese, seppure con eccezioni e modificazioni”. E. Genta, Eclettismo giuridico della Restaurazione, pp.357-362.
 
GIUSTIZIA ALLA FRANCESE
La Rivoluzione quale “grande crisi che determinò la formazione di un nuovo ordine politico-giuridico e di un nuovo tipo di civiltà, fondato sopra principi che mai si sarebbero potuti affermare nella realtà storica senza una netta e violenta frattura rispetto all’Ancien Régime… Da qui al sistema giudiziario napoleonico che rimase in vigore nella nostra penisola solo per pochi anni, ma la sua superiorità sugli ordinamenti antecedenti era tale da destinarlo inevitabilmente ad esercitarvi… una lunga influenza. I magistrati diventavano un moderno corpo di funzionari pubblici, nominati dal governo, inquadrati in un rigido sistema gerarchico articolato in molteplici gradi, e sottoposti alla sorveglianza della corte di cassazione, presieduta dal ministro della giustizia o Grand Juge. Pochi uffici giudiziari restarono in vita, coordinati fra loro: giudici di pace, tribunali, corti di appello, corte di cassazione e corti di assise… Nasceva un nuovo tipo di Stato, con un ordinamento costituzionale diretto a garantire i diritti di libertà politica e civile dei cittadini solennemente sanciti da una dichiarazione… Al vecchio sistema pluralistico delle fonti del diritto comune e dei diritti particolari… si veniva sostituendo, con la codificazione, un sistema organico, unitario, di norme legislative ordinatamente raccolte in codici, articolate in forma concisa e precisa, senza contraddizioni lacune, ispirate ai principi politici, economici, sociali dell’Illuminismo”. G. Astuti, Cit., p.532.
 
Nel campo giuridico l’eguaglianza civile, che rinnova radicalmente quel sistema di rapporti fondato su privilegi e immunità di ceto sia nel diritto pubblico che nel diritto privato o criminale, è destinata a trasformare profondamente la vita sociale, a creare una società di cittadini liberi ed eguali nel diritto. “Il regime napoleonico determinò la formazione di un nuovo ceto dirigente, in massima parte borghese, di magistrati, funzionari, ufficiali, consapevoli delle proprie possibilità e ricchi di esperienze preziose: dopo la caduta di Napoleone, essi rappresentarono la vera élite italiana, che doveva promuovere i primi moti risorgimentali, e affermarsi nei diversi Stati come l’elemento fondamentale del processo di unificazione nazionale”. G. Astuti, Cit., pp.536-537.
 
L’EDITTO 27 SETTEMBRE 1822: DALLE SPORTULE AL PROCURATORE DEI POVERI
Carlo Felice trova questo scenario e l’impossibilità di riuscire a reprimerlo. L’organizzazione giudiziaria d’Ancien Régime non può sopravvivere di fronte all’affermarsi di idee sull’uguaglianza e sulla necessità di un nuovo sistema richiesto dallo sviluppo economico. È quindi logico che venga completamente modificata dalle riforme del periodo “giacobino” e napoleonico, e che, come si è visto, i tentativi di ritorno all’antico dei primi anni della Restaurazione non possono servire ad altro che a dimostrare la concreta incapacità di un tale ritorno. Vittorio Emanuele I ha già ripristinato l’antica legislazione e numerose giurisdizioni speciali: la cancellazione delle grandi riforme del diritto civile, penale, processuale; l’abolizione dell’eguaglianza giuridica dei cittadini, il ripristino delle disparità dipendenti dagli Status o dalla fede religiosa; dalla certezza del diritto nuovamente alla confusione e insicurezza di ogni rapporto conseguente all’annullamento dei diritti acquisiti sotto l’impero della legislazione francese. Se la Rivoluzione sviluppa un sistema basato sull’abrogazione dei privilegi d’Ancien Régime, sulla uguaglianza di ogni cittadino di fronte alla legge, sulla netta separazione fra potere legislativo, esecutivo e giudiziario; la Restaurazione invece ristabilisce il sistema delle sportule, contributi che i privati devono pagare ai giudici per ottenere giustizia e che penalizzano i ceti meno abbienti: “Le sportule consistevano in una somma che i litiganti delle cause civili dovevano pagare al giudice in proporzione del valore della cosa litigiosa, e che i condannati in criminale gli dovevano pagare in proporzione dell’ammontare pecuniario della condanna. Nelle cause civili la sportula era rappresentata dal due o tre per cento, nelle cause penali da una somma graduale, in rapporto alla pena… Questo legame di dare e avere fra il giudice e le parti non era soltanto indecoroso, immorale e contraddicente al concetto dell’essere la giustizia un dovere dello Stato verso i cittadini, ma spingeva i magistrati a ricercare e sollecitare le cause ricche, i processi contro persone doviziose, e nei processi li istigava alle condanne”. E. Piola Caselli, La Magistratura. Studio sull’ordinamento giudiziario nella storia, nelle leggi straniere, nella legge italiana e nei progetti di riforma, p.51.
 
Ma “per quanto il governo si studiasse di rifare lo Stato sul modello antico, esso non poteva rimanere affatto sordo alle voci del maggior numero dei suoi sudditi che malissimo contenti dell’avviamento preso da chi li reggeva, chiedevano leggi conformi alla ragione ed alle esigenze dei tempi. Si ponea quindi innanzi l’idea di una certa quale riforma che colmasse qualche lacuna…”. F. Sclopis, Storia della legislazione italiana dall’epoca della Rivoluzione francese, 1789, a quella delle Riforme italiane, 1847, p.206.
 
Così il 27 settembre 1822 viene promulgato l’Editto sulla riforma dell’ordinamento giudiziario: “L’editto riorganizzava i primi gradi di giustizia dividendo il Regno, Sardegna esclusa, nei circondari di 40 tribunali di prefettura, dai quali dipendevano 416 giudicature di mandamento, risistemando quindi in modo uniforme l’amministrazione giudiziaria di terraferma… Venivano abolite alcune delle antiche giurisdizioni speciali, come la giunta sopra i delitti di gioco d’azzardo o il regio capitanato della darsena. Si rendeva infine la giustizia gratuita, almeno tendenzialmente... La nuova legge… sostituiva all’antico sistema delle sportule, una specie di tasse giudiziarie, di importo non trascurabile, che le parti in causa pagavano direttamente ai giudici e che costituivano la maggior parte delle loro retribuzioni, un regolare sistema di stipendi a carico del bilancio dello Stato”. P. Saraceno, Storia della magistratura italiana. Le origini – la magistratura nel Regno di Sardegna, pp.40-41.
 
“Con questo editto vennero creati in tutti i capoluoghi di provincia i tribunali collegiali, che prima… esistevano in tre sole provincie, abolendosi così l’antica magistratura singolare dei prefetti… Furono chiamati “tribunali di prefettura”, e vennero divisi in quattro classi, secondo la importanza dei luoghi, affidandosi poi a speciali membri di questi tribunali l’istruzione dei processi. Sotto dei tribunali e dei loro dipendenti vi erano 416 giudicature di mandamento, pur esse divise in quattro classi con assegnamento diverso di stipendi… Mantenuta la competenza civile e penale del Senato e della Camera dei conti, furono, però, abolite molte giurisdizioni speciali e, riforma sovratutto importantissima, furono sostituiti ai diritti di regalìa, sportule, relazione, ecc., precedentemente in uso, stipendi fissi, sia per i magistrati maggiori che per i minori, distinti nel loro ammontare, secondo il grado giudiziario, non solo, ma secondo l’importanza dei tribunali in ordine alle varie circoscrizioni”. E. Piola Caselli, Cit., pp.226-227.
 
“Le giurisdizioni eccezionali e privilegiate vengono ridotte ma non abolite; si istituiscono i giudici di mandamento e i tribunali collegiali di prefettura come organi di prima istanza per le cause civili e si adotta il doppio grado di giurisdizione eliminando la pluralità degli appelli; si istituisce l’avvocato fiscale con funzioni di pubblico ministero; si abolisce finalmente il sistema delle sportule sostituendolo con stipendi ai magistrati (che comunque rimangono revocabili dal Re)”. M. Taruffo, La giustizia civile in Italia dal ‘700 ad oggi, p.94.
 
Così come l’Editto provvede a ridefinire il ruolo degli Avvocati fiscali, allo stesso modo ribadisce l’importanza delle funzioni del Procuratore dei poveri, un istituto assai antico e particolare nella storia del nostro paese. Esso si concretizza principalmente attraverso l’istituzione, nel foro, di un difensore con lo specifico incarico del patrocinio degli interessi dei poveri. La riforma pertanto apre la strada ad una sorta di “convivenza” tra il modello francese e le antiche Costituzioni piemontesi perseguendo un maggior grado di razionalità ed efficienza. Certamente ancora non bastano i provvedimenti introdotti da Carlo Felice ma, seppur timidi e limitati ad alcuni specifici settori della legislazione, hanno indubbiamente il merito di aver avviato una stagione di riforme che giungerà a maturazione nel successivo regno di Carlo Alberto.
 
 

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