Dalla figura di un
imperatore romano-sibarita definito “il più turpe di quanti mai cinsero la
corona dell’imperio”, una controstoria sui tiranni bizzarri dell’antica Roma.
Gran Sacerdote di una religione solare, anarchica, orgiastica e incestuosa,
travolto dal tentativo di sovvertimento e perversione dell’ordine costituito
“Una
ricostruzione storica non può basarsi esclusivamente sulla concretezza dei
fatti: sapere chi ha vinto o perso una battaglia serve a poco se non si indaga
sul perché, sul come, sugli uomini che furono protagonisti di trionfi o
disfatte. Una chiave di lettura imprescindibile della storia esamina la natura
dell’uomo, sempre complessa e inquieta”. Così scrive Furio Sampoli nella
premessa del suo libro Passioni, intrighi
atrocità degli Imperatori romani. Una galleria senza fiato di odii,
turpitudini, efferatezze nell’arco di 350 anni.
Da questa
galleria, con estrema facilità si possono tirar fuori Tiberio il depravato, il cavallo di Caligola, Nerone
l’incendiario o Commodo il
gladiatore. Eppure, da una lettura più attenta è possibile estrarre pagine ben
peggiori, figure condannate non già alla damnatio
memoriae – che pur sempre memoria è – ma sprofondate in un irrimediabile
oblio. È il caso dell’imperatore Eliogabalo,
di origine siriana, che in soli quattro anni di regno tra il 218 e il 222 d.C.
raccoglie quanto tramandato da Elio
Lampridio nella sua Historia Augusta:
“non era mio intento scrivere di Vario Antonino Eliogabalo, perché avrei voluto
che andasse perduto perfino il ricordo di un imperatore della sua sorta...
figlio di Giulia Semiamira, libera di
costumi, attraente, sensuale, che aveva condotto una vita più che dissoluta,
comportandosi da vera e propria sgualdrina… già il nome Vario gli veniva dai
suoi compagni di scuola, giacché con una simile madre non poteva non essere il
figlio di vari padri”.
IL GRAN
SACERDOTE DEL SOLE: TRA ORGE E ANARCHIA
In veste di gran sacerdote del Sole, venerato
nel tempio di Emesa in Siria, Eliogabalo cerca di importare il suo Dio nel
Pantheon romano per renderlo divinità principale della religione imperiale;
introducendo così a Roma un culto eminentemente orgiastico, per abbandonarsi
poi a mollezze e stravizi d’ogni tipo. “…Eliogabalo che è giovane e si diverte.
Di quando in quando lo si riveste, lo si getta sui gradini del tempio, gli si
fanno compiere dei riti che il suo cervello non comprende…”. A. Artaud, Eliogabalo o l’anarchico incoronato,
p.42.
In Eliogabalo si intrecciano strettamente
aspetto religioso e sessuale come previsto nella cultura orientale ma non nella
società romana che considera stravaganti e scandalose le pratiche sessuali del
proprio imperatore, tra cui le orge, i rapporti omosessuali e transessuali, la
prostituzione (sacra), all’interno delle quali va intesa la ricerca
dell’androginia e della castrazione. “È nato in un’epoca in cui tutti
fornicavano con tutti; né si saprà mai dove e da chi fu realmente fecondata sua
madre… Per un principe siriano, quale egli fu, la filiazione avviene attraverso
le madri; e in fatto di madri vi è intorno a questo figlio una pleiade di
Giulie; e che esse influiscano o no su un trono, tutte queste Giulie sono delle
fiere puttane… Si può dire in proposito che Eliogabalo è stato fatto dalle
donne, che ha pensato attraverso la volontà di donne; e che quando ha voluto
pensare da sé, quando l’orgoglio del maschio frustrato dall’energia delle sue
donne, delle sue madri, le quali hanno tutte fornicato con lui, ha voluto
manifestarsi, si è visto che cosa ne è risultato”. A. Artaud, Cit., pp.7-13.
Per quanto ne sappiamo, orrore, infamia,
sozzura, abiezione morale sarebbero stati i tratti caratteristici del regno di
Eliogabalo protagonista di esempi di mollezza, disordine e depravazione. “Egli
può dare alle abitudini e ai costumi romani tutti gli storcimenti che vorrà,
gettar la toga romana alle ortiche, indossare la porpora fenicia, dare
quell’esempio di anarchia che consiste, per un imperatore romano, nel prendere
il vestito di un altro paese, e per un uomo indossare abiti femminili, coprirsi
di pietre, perle, pennacchi, coralli e talismani… Eliogabalo ha intrapreso una demoralizzazione sistematica e allegra
dello spirito e della coscienza latini; e avrebbe spinto all’estremo questa
sovversione del mondo latino se avesse potuto vivere abbastanza a lungo per
condurla a buon fine… Nel viaggio verso Roma una strana marcia del sesso,
uno scatenamento folgorante di feste attraverso tutti i Balcani. A volte
correndo a gran velocità col suo carro, ricoperto di tele, e dietro di lui il
Fallo di dieci tonnellate che segue il convoglio… entra in Roma e davanti a lui
vi è il Fallo tirato da trecento fanciulle dai seni nudi che precedono trecento
tori…”. A. Artaud, Cit., pp.108-113.
E ancora, dalla proclamazione ad imperatore,
il trasferimento per la capitale dell’impero “divenne una specie di apoteosi di
dissolutezze e riti orientali. Inimmaginabile il corteo che si mosse dalla
Siria, trascinandosi dietro mimi, ballerine, musici, eunuchi in un profluvio di
esotismi, riti propiziatori, vittime sacrificali, profumi, e abbandonandosi
soprattutto a licenziosità, perversioni, impudicizie”. F. Sampoli, Cit., p.326.
Per Eliogabalo, infatti, il trono “era un
balocco, e lo usò come tale. Nella sua infantile innocenza, quel ragazzetto era
anche simpatico come un cucciolone. Il suo piacere preferito era quello di fare
scherzi a tutti, ma innocenti: tombole e lotterie con la sorpresa, burle,
giuochi di carte. Ma era anche un sibarita, voleva il meglio di tutto, e ci
spendeva cappellate di quattrini. Non viaggiava con meno di cinquecento carri
al seguito, e per una boccetta di profumo era pronto a pagare milioni. Quando
un indovino gli disse che sarebbe morto di morte violenta, vuotò le casse dello
stato per provvedersi di tutti i più raffinati strumenti di suicidio: una spada
d’oro, un armamentario di corde di seta, scatole tempestate di brillanti per la
cicuta”. I Montanelli, Storia d’Italia 3
– Apogeo e caduta dell’Impero romano,
pp.102-103.
PERVERTIRE
L’IMPERO
A parte questa estrema fantasia libertina,
non risultano capacità o volontà di governo di qualunque natura: “A Roma come
imperatore fu inesistente sul piano politico sia militare, deleterio su quello
amministrativo per lo sperpero delittuoso dell’erario pubblico, criminale e
perverso per i costumi…”. F. Sampoli, Cit.,
p.326.
E anarchici furono i primi atti politici,
mentre al suo posto governerà la nonna Giulia
Mesa. “Giunto a Roma caccia dal Senato gli uomini e pone le donne al loro
posto. Per i Romani questa è anarchia ma nella religione dei mestrui, per
Eliogabalo… un ritorno ragionato alla legge, poiché è la donna, la nata prima,
la prima giunta nell’ordine cosmico che fa le leggi… Quando si veste da
prostituta e si vende per quaranta soldi alla porte delle chiese cristiane, dei
templi romani, egli non cerca solo la
soddisfazione di un vizio ma l’(auto)umiliazione del monarca romano… Quando
fa eleggere un ballerino a capo della sua guardia pretoriana, realizza una
specie d’anarchia incontestabile, ma pericolosa”. A. Artaud, Cit., pp.111-116.
È la
ricerca di una degradazione e perversione sistematica di ogni ordine e valore, arrivando a
scegliere i propri ministri sulla base dell’enormità del loro membro. “Le
sconcezze di palazzo, le esibizioni all’esterno, le nomine dei suoi amanti ai
posti di responsabilità dello Stato (prefetto del pretorio un saltimbanco, dei
vigili un auriga, dell’annona il suo barbiere, un mulattiere alle tasse di
successione: unico titolo di merito l’esuberanza dei genitali)… Le sue perversioni
avevano raggiunto una misura tale da riuscire insopportabili anche alle persone
più dissolute. Una delle ultime fu l’apertura di un bagno pubblico nel palazzo
imperiale al solo scopo di avvicinare e quindi conoscere i cittadini più
prestanti e virili”. F. Sampoli, Cit.,
pp.326-328.
Lampridio racconta che l’imperatore progetta
di porre in ogni città, in qualità di
prefetti, persone dedite professionalmente alla corruzione dei giovani. È ben
deciso ad elevare alle cariche quanto di più abbietto, e gli uomini delle più
basse professioni. Arriva ad erigere un tempio al proprio Dio, nel pieno
centro della devozione romana, al posto di quello consacrato a Giove
capitolino: “Ogni tanto, ricordando i suoi trascorsi sacerdotali, aveva crisi
mistiche. Un giorno si circoncise, un alto tentò di evirarsi, un altro ancora
si fece spedire da Emesa il famoso meteorite del suo bisnonno materno, vi fece
costruire sopra un tempio e propose agli ebrei e ai cristiani di riconoscere la
loro religione come quella di stato, se gli uni accettavano di sostituire
Jeovah e gli altri Gesù con quella sua pietruzza”. I Montanelli, Cit., p.103.
Alla fine ci penseranno i pretoriani allorché
Eliogabalo si avventura accompagnato dalla madre al Castro Pretorio per
denunciare e placare trame contro di lui. Finisce soffocato con la stessa madre
tra i liquami di una latrina dove si è nascosto. Ha diciotto anni ed è salito
al potere a quattordici.
PER UNA
MODERATA RILETTURA DI NERONE
E allora cosa c’entra Nerone puntualmente
tirato in ballo quale imperatore dissoluto per antonomasia? Approfondendo la
storia del potere a Roma e delle decine di figure ascese al soglio imperiale
risulta provato che Nerone sia megalomane, matricida, uxoricida… ma non è solo
questo, è anche uomo di governo attivo in politica estera, opere pubbliche,
arti, non un Eliogabalo qualunque.
Ha un’idea pratica d’impero, una sua
perversa costruttività. Da un’attenta rilettura delle fonti dell’epoca: Tacito, Svetonio, Dione Cassio e la storiografia
successiva, forse è possibile aggiungere ulteriori dettagli lasciati cadere.
Sintetizzando quanto scrive Massimo Fini nel suo Nerone – 2000 anni di calunnie: “Fu sacrificato dall’infinita
ambizione della madre Agrippina a caricarsi sulle spalle l’impero a soli
diciassette anni mentre lui avrebbe forse preferito occuparsi delle arti
predilette. Ciò tuttavia non gli impedì di dedicarsi alla poesia, al canto,
alle curiosità tecniche e scientifiche divenendo un grande showman”.
Rivisitare la sua figura pertanto non
significa riabilitarlo ma tentare di ampliarne la vicenda umana molto più
complessa della cornice che abbiamo ereditato. Un caso tra tutti l’accusa di
aver incendiato Roma il 19 luglio del 64 d.C. Sono tanti gli aspetti che
potrebbero invalidare un responsabilità assurta ad universale luogo comune:
1. L’immagine iconografica dell’imperatore
che suona la lira dal punto più alto del Palatino mentre Roma brucia è ormai
ampiamente superata e considerata inattendibile. Al contrario, l’imperatore
apre addirittura i suoi giardini per mettere in salvo la popolazione,
attirandosi l’odio dei patrizi a causa del sequestro di imponenti quantitativi
di derrate alimentari per sfamarla;
2. Roma viene ricostruita secondo criteri
urbanistici più razionali e funzionali prevedendo anche misure antincendio, e
lasciando ai posteri la Domus Aurea;
3. La congiura di Gaio Calpurnio Pisone è già in fase avanzata, pertanto può essere
conveniente avvalorare la tesi del Nerone incendiario;
4. Probabile lo scoppio casuale dell’incendio
in un quartiere dove si fa un uso troppo disinvolto di bracieri, torce, lampade
tra catapecchie di legno che non aspettano altro;
5. Per Dione Cassio molti pretoriani al
servizio di Fenio Rufo impediscono i soccorsi; lo stesso risulta tra i
principali protagonisti della congiura di Pisone nel 65;
6. Tacito riferisce che Nerone trova il capro
espiatorio della persecuzione dei cristiani, ritenuti colpevoli, per tagliar
corto alle voci che lo danno come incendiario. A torto infatti l’imperatore è
considerato il primo persecutore, le condanne a morte non vengono comminate per
odio teologico ma per un eventuale
reato di diritto comune e circoscritte alla sola città di Roma. In realtà le
persecuzioni hanno inizio con Domiziano (81-96
d.C.), e proseguono dopo di lui.
…Ma questo è un aspetto
biografico specifico dell’imperatore “artista” che narriamo più avanti.
Nessun commento:
Posta un commento