Teorico del
nazionalismo imprime in una rivista mensile il progetto per lo Stato forte, l’ordine
sociale e l’evoluzione imperialista della Nazione
DA GIORNALISTA
IDEOLOGICO UN PROGETTO PER LA NAZIONE
Francesco
Cóppola
nasce a Napoli il 27 settembre 1878, si laurea in giurisprudenza e inizia da subito
l’attività di giornalista schierato sul fronte nazionalista, che dalla fine
dell’800 si impone tra le principali ideologie culturali e politiche del Paese.
Questa chiara identificazione ideale lo porterà a fondare, nel 1911, insieme ad
altri protagonisti, l’Associazione
Nazionalista Italiana propugnatrice di obiettivi imperialisti in politica
estera e una radicale riforma della politica interna, da ripulire dei suoi
immobilismi democratici o socialisteggianti, individualisti o clericali. Un vero
e proprio partito politico, dunque, che nella concezione del Cóppola deve avere
un percorso distinto e divergente dal liberalismo.
Il tormentato dibattito sull’intervento o
la neutralità dell’Italia nella Prima
Guerra Mondiale lo vedrà partecipare da influente teorico ad un vero e
proprio scontro che animerà quell’epocale momento. In suoi articoli pubblicati
sul settimanale “L’Idea Nazionale”,
tra l’ottobre e il novembre 1914, quali Per
la democrazia o per l'Italia? e Il
sacro egoismo, prospetta la possibilità per la nazione di cogliere
l’occasione storica di elevarsi al rango di potenza mondiale. In Precisiamo le idee e ancor più in Le ragioni politiche della nostra guerra redige una lista di obiettivi cui l’Italia
potrebbe aspirare: salda unità nazionale, sicurezza dei confini, domini nell’Adriatico
e nel Mediterraneo a spese degli
Ottomani, espansione economica, emancipazione dell’industria e dell’economia
italiana, soprattutto nei settori siderurgici e marittimi.
Ma proprio la Grande Guerra non darà le
soddisfazioni nazionaliste auspicate. Scoppia il mito della Vittoria mutilata dalle mancate
compensazioni territoriali per l’Italia previste nel Patto di Londra stipulato segretamente nel 1915 con inglesi,
francesi e russi per intervenire contro gli austro-tedeschi: “Indubbiamente il
patto di Londra impegnava ancora, anche se nel frattempo uno dei suoi
contraenti, la Russia, era venuta meno, l’Italia, la Francia e l’Inghilterra,
entrambe decise a rispettarlo. Il suo spirito era stato però profondamente superato
dagli avvenimenti successivi alla sua stipulazione. Non solo gli slavi del sud
avevano avuto riconosciute le loro aspirazioni d’indipendenza ed erano stati in
un certo senso associati al blocco antitedesco e potevano, quindi pretendere di
fare sentire ora anche la loro voce sull’assetto territoriale di zone che li
riguardavano direttamente, ma, ciò che più conta, l’associazione degli Stati
Uniti aveva profondamente mutato tutti i termini della questione. Gli Stati
Uniti non avevano sottoscritto il patto di Londra, non lo avevano mai
riconosciuto o accettato…”. R. de Felice, Mussolini il rivoluzionario
1883-1920, pp.444-445.
UNA
RIVISTA TRA TEORIA E AZIONE
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Il Nazionalismo entra così nella sua fase
propagandistica più vigorosa, avvicinandosi via via ad una piattaforma comune
con il nascente movimento fascista. In questo Cóppola trova la valvola di sfogo
per le sue teorie fondando insieme ad Alfredo
Rocco, nel dicembre 1918, il mensile “Politica”
– rivista di cultura, di critica, di informazione e di azione politica. In sostanza
uno strumento, una tribuna dove esporre dottrine e visioni sulla storia e le
prospettive nazionali tra Risorgimento ed evoluzione imperiale: “Dando inizio alla
rivista Politica, Alfredo Rocco e
Francesco Cóppola avevano redatto un manifesto che è stato a ragione
considerato la magna charta teorica
della politica estera nazionalistica e ad un tempo la sistemazione teorica del
movimento. In quel manifesto, i due esponenti del nazionalismo italiano, dopo
aver fornito della guerra un’interpretazione che poneva al centro di essa l’urto
di opposti imperialismi ma anche di opposte ideologie, individuano nella
democrazia e nelle azioni che si richiamano ad essa il nemico da battere… Si
profila così il modello dello stato voluto dai nazionalisti: pacificato all’interno
dall’abolizione della lotta di classe e dai saldi principi d’ordine,
disponibile all’esterno a lottare con gli altri stati, per la conquista dello
spazio necessario all’espansione nazionale”. N. Tranfaglia, La Prima Guerra Mondiale e il Fascismo, p.148.
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“Politica”, imponendosi per
successo e autorità come l’unica grande rivista di politica estera, raccoglierà
illustri adesioni e collaborazioni da parte di Benedetto Croce, Giovanni Gentile e molti altri. Dal 1919, poi, le delusioni italiane
verranno raccolte dai nazionalisti in funzione antiborghese e antiliberale
avviando una progressiva correlazione con la rivoluzione fascista che Cóppola descrive
come “nuova vittoria dell’idealità nazionalista
sopra le ideologie democratiche della decadenza europea… Nata, sia pure
inconsapevolmente, da uno stato d’animo nazionalista, preceduta e guidata
idealmente dal nazionalismo in tutti i carripi
della politica, fiancheggiata dal nazionalismo nella dura battaglia quotidiana,
sanzionata e consacrata dal nazionalismo nella sua vittoria, essa non può non
riconoscere nel nazionalismo la propria coscienza, la propria essenza e la
propria regola. A patto che la rivoluzione fascista si riconosca e si affermi
consapevolmente in quella organica interpretazione del più grande Risorgimento
e della storia italiana nella storia del mondo che è appunto la dottrina
nazionalista”. In altre parole egli descrive la tesi della
“fase fascista della rivoluzione nazionalista”
e del “compito immenso di ricostruire lo
Stato italiano, fondare l'Impero italiano”. Sarà il fascismo, invece, ad ingoiare il
nazionalismo.
Giornalista, ma anche giurista, ritroviamo
il Cóppola delegato italiano alla Società delle nazioni (progenitrice dell'attuale Onu), poi membro della
Commissione dei diciotto per concludere la riforma costituzionale diretta da
Alfredo Rocco; e ancora Accademico d’Italia dal 1929, Professore di diplomazia
e storia dei trattati presso la facoltà di scienze politiche dell’Università di
Perugia, e di diritto internazionale all’Università di Roma.
Altalenanti invece le sue posizioni
rispetto al partito nazista: se agli inizi manifesta sfavore per la presa del
potere di Hitler, soprattutto
rispetto alla contestata ideologia razzista, successivamente supera le sue
resistenze intravedendo nella Guerra
di Spagna (1936-1939) l’inevitabile confronto di blocchi ideologici, che con lo
scoppio della Seconda Guerra Mondiale significherà, per lui, la riedizione del
vecchio tema della guerra rivoluzionaria e della crociata per la salvezza della
civiltà europea dalla “barbarie bolscevica e americana”. Morendo ad Anacapri nel 1957, farà in
tempo a veder trionfare proprio quella “barbarie” contro cui aveva sparso fiumi
d’inchiostro nella sua rivista.
IL MANIFESTO
DI POLITICA
Primo numero di fondamentale importanza perché
fissa in punti chiaramente definiti un’ideologia di stampo nazionalista ed un
progetto “essenzialmente spirituale ed
intellettuale rivolto assai più a creare nel pubblico uno stato di coscienza e
di cultura antitetico a quello diffuso dalla ideologia liberal-democratica, che
non a propugnare mutamenti di istituzioni e di regimi politici”.
L’articolo, molto ampio, parte da una
complessa valutazione della Grande Guerra,
soffermandosi principalmente su quella che viene considerata la profonda
contraddizione tra la realtà della guerra
e l’ideologia della guerra. La
prima, indubbia espressione di “un
conflitto tra nazioni, razze ed imperi quale eterna lotta dei popoli per l’esistenza
e il dominio”. La seconda quale immane scontro tra dottrine e concezioni
politiche: “Una lotta fra la democrazia e
l’autocrazia, fra il diritto e la forza, fra il principio di nazionalità e
l’imperialismo”, dimenticando, si rileva, che le potenze dell’Intesa (Inghilterra, Francia e Russia),
ad eccezione dell’Italia, sono non meno imperialiste degli Imperi Centrali (Germania e Austria-Ungheria).
Allora si cerca di giustificare la guerra democratica, antimperialista e pacifista come “il miglior mezzo per ottenere dalle masse i
sacrifici individuali necessari alla vittoria”. Dunque nasce, e viene
inappellabilmente condannata, l’assurda concezione della guerra antimilitarista, della guerra
antiguerresca, definendo l’ideologia
democratica come ideologia della sconfitta. Viene quindi condannata per il suo
spirito di rinunzia, per la sua demagogia e per il suo vacuo umanitarismo ed
universalismo. Pertanto l’obiettivo di “Politica” è la trasformazione del
sentimento oscuro ed istintivo in dottrina e volontà. Più chiaramente è
un’opera di ricostruzione spirituale del rapporto tra società ed individuo. La
società non va considerata, in base alla filosofia demoliberale, come una somma
di individui, ma come un vero e proprio organismo avente esistenza e fini
completamente distinti da quelli dei singoli. Diversamente ancora dal mito
dell’unica società umana che è invece somma di società che conducono fra di
esse una lotta darwiniana di sopravvivenza e predominio dei più adatti. E
questi i punti fermi: “La disciplina
delle disuguaglianze, la gerarchia e l’organizzazione all’interno; la libera
concorrenza e la lotta tra i popoli
in campo politico, economico o anche militare all’esterno”.
Come si vede, si tratta della più coerente
applicazione delle idee di Enrico
Corradini sullo spostamento della lotta tra le classi alla lotta tra le
nazioni; non più lotta di classe sul piano internazionale ma scontro tra
nazioni plutocratiche e proletarie. Insomma una vera e propria ideologia di guerra. Da ciò nasce la visione dello Stato come la più
alta forma di organizzazione della società sotto un potere supremo. E dallo
Stato tutto si muove, la stessa libertà. Si contrappone in questo modo il
principio del governo dei più capaci alla sovranità popolare. In altre parole,
lo Stato percorre la strada della
subordinazione delle masse ad un potere il cui interesse è uno sviluppo non
individualista, e della coordinazione da parte di un’élite capace di superare i
propri settarismi e particolarismi per realizzare i grandi interessi dello
Stato.
All’esterno invece esso si pone in un
rapporto di concorrenza e di lotta
in base alla formula “A ciascuno secondo
la sua potenza”. Si sviluppa pertanto l’idea dello Stato-forza come
interesse di tutti, “più forte, più
potente, più ricco è lo Stato, più prospera è la vita dei cittadini”. A
questa idea si aggiunge quella dello Stato-Nazione, vista come la coscienza di
un unico organismo sociale che, ad esempio, ha favorito in forza e prosperità
nazioni quali la Spagna, l’Inghilterra
e la Francia contrariamente a nazioni in
ritardo quali l’Italia e la Germania.
Eppure, viene osservato, con la Grande Guerra lo Stato-Nazione può proiettarsi verso una gara
imperiale, come dimostrato da Stati Uniti, Inghilterra,
Francia e Russia, a cui lo spirito italiano deve votarsi indirizzando a questo
obiettivo tutti i valori politici e i mezzi militari, economici, sociali,
culturali e religiosi la cui efficacia può essere garantita sola dalla “restaurazione dell’autorità dello Stato,
come volontà organizzata della potenza, e la disciplina interiore della nazione”.